AMELIA, “BISTROT DEL CUORE”

A Roma ci sono locali per tutti i gusti: ristoranti stellati e trattorie del quartiere, raffinate caffetterie e pizzerie alla mano, locande rustiche e sofisticati whisky bar, ma in zona Piazza Re di Roma c’è ne uno in particolare, così genuino, così vero, che entra subito nel cuore. Si chiama Amelia Bistrot, ed è un creazione di Stefano e Edoardo Palmieri, due giovani ragazzi, due fratelli, che hanno osato ad inseguire e a realizzare il proprio sogno.

Nessuna inaugurazione in pompa magna, niente stampa ne pubbliche relazioni, solo un’apertura in sordina, duro lavoro a testa bassa e tanta voglia di arrivare. Niente filosofie complesse né voli pindarici: in questo luogo che i fratelli vogliono che ci si sente a casa, si mangia pesce fresco del Tirreno e si beve vino naturale, punto.

Stefano, il fratello più grande, pensa alla sala e si occupa di vino, e spiega così la sua scelta: ha iniziato a bere il vino solo pochi anni fa, e ha cominciato, senza neanche saperlo, con i vini naturali. Gli sono piaciuti, e così è cominciata la sua ricerca di piccole aziende e di produttori appassionati. Nel frattempo ha provato a bere anche i vini convenzionali, confessa, etichette blasonate e non, ma non è mai riuscito ad amarli tanto quanto naturali. Quant’è vero: il primo amore non si scorda mai. In carta circa 50-60 etichette, ma al ristorante ce ne sono almeno 120, molti delle quali fanno parte della “collezione” di Stefano, che ne parla con visibile emozione.

Tartare

Edoardo, il più piccolo – ha solo 23 anni – è tanto felice in cucina. Autoditatta, ama il pesce e ama lavorarlo, “poco, per non rovinarlo, ma esaltare le caratteristiche di ogni prodotto”. Cambia spesso il menù (in carta sono pochi piatti per volta), circa ogni mese e mezzo, per non tradire la stagionalità e poter creare le nuove ricette. Gli viene facile: i suoi piatti sono freschi, mai banali, con quel pizzico di creatività “qb” per non stravolgere i sapori. Timido, per niente mediatico, lui preferisce esprimersi attraverso i gusti, i colori e gli impiattamenti, puliti ed eleganti.

Spaghetto ai ricci di mare

Pepite di coda di rospo

Triglia con carciofi

La bellezza della tartare del pescato del giorno alla puttanesca lascia spazio al minimalismo delle cappesante con pomodorini, pinoli e basilico; le dorate e croccantissime pepite di coda di rospo si alternano al salmastro deciso della triglia con carciofi. Un semplice spaghetto ajo ojo peperoncino si arricchisce di sapidità e di dolcezza della polpa dei ricci di mare, e la genovese di polpo nasconde una sorpresa: una grattata del tartufo bianchetto che sconvolge piacevolmente il palato. Non manca un ricciolo di polpo: un prodotto modaiolo che negli ultimi anni ha invaso le cucine di tutti i ristoranti, ma la cottura perfetta e l’abbinamento con l’avocado mettono in pace anche gli animi più insofferenti.

Insomma, qui si viaggia tra il pesce azzurro e i pregiati crostacei, si va dal pescato “nobile” ai molluschi, valorizzando la materia prima. Il pane è fatto in casa, ed è talmente buono che sembra uscito da un qualche forno con cento anni di esperienza.

Last but not least: i dessert. Freschi, belli, equilibrati e non troppo dolci, sono un giusto finale per una piacevole cena a base di pesce.

 

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