La favola di Venissa

Photo by Lido Vannucchi

C’era una volta una famiglia di grandi produttori di vino in Valdobbiadene, il regno del prosecco e del Cartizze.

Un giorno il padre, Gianluca Bisol, viaggiatore curioso e sensibile al bello, durante una visita a Venezia, sull’isola di Torcello, di fronte alla basilica più antica della laguna, nota delle piante di vite. Rimane stupito da questa scoperta e, mosso da irrefrenabile curiosità, bussa alla porta della proprietà. L’incontro è folgorante e inizia un percorso di ricerca all’indietro nel tempo, coadiuvato dalla storica veneziana Carla Coco, che conduce a risultati sorprendenti.

Matteo Bisol

Il primo nucleo abitato di Venezia si è insediato tra queste isole, in particolare Mazzorbo, con una storia agricola e vitivinicola che può essere fatta risalire fino a 2.500 anni fa. Piazza San Marco fino al 1.100 era un vigneto: le piazze che oggi si chiamano “Campi” devono il loro nome perché anticamente furono terreni coltivati. In un luogo costituito per l’80% da acqua, quel 20% di terra emersa era considerata cosa sacra e serviva per lo più per la sopravvivenza e l’autosufficienza della repubblica veneziana.

Nel corso dei secoli la città si è poi sviluppata come la conosciamo oggi, mentre Mazzorbo, con le sue 20 chiese, divenne un convento, almeno fino all’800 quando le leggi napoleoniche lo chiusero dandolo in affitto a famiglie private.

Per un secolo e mezzo l’agricoltura a Venezia ha continuato a vivere indisturbata fino alla grande acqua alta del 1966 che, in due giorni, ha distrutto tutta le colture: da quel momento le coltivazioni in laguna sono pressoché scomparse a causa dei terreni impregnati di sale e quindi non più fertili.

Ma a Mazzorbo alcune piante di vite si sono miracolosamente salvate e sono state ritrovate da Gianluca Bisol nel 2002. Grazie a ricerche e microvinificazioni si è scoperto che le piante superstiti erano di Dorona, un’antica varietà specifica della zona, fino ad allora ritenuta estinta. L’incontro con un contadino che qui vinificava è stato d’ispirazione per recuperare la tecnica tradizionale: la dorona, a bacca bianca con buccia sottile e resistente e partente stretto della garganega e del trebbiano, ha sviluppato in questi terreni delle caratteristiche uniche grazie all’adattamento alla laguna, tra cui anche vinaccioli non amari. Per questi motivi e in nome del recupero di antiche tradizioni, Bisol ha condotto esperimenti di vinificazione con lunga macerazione sulle bucce. Nonostante si tratti di un vigneto a fortissimo rischio di acqua alta (ogni due anni circa viene completamente allagato), sono state scavate delle buche di scolmamento e sì è riusciti a produrre il vino Venissa, da coltivazione naturale che oggi vanta una produzione di 3/4.000 bottiglie l’anno a partire dalla prima annata del 2010.

Attorno a questo piccolo terreno, perfettamente circondato da mura come in un clos, ha preso corpo un complesso di edifici che già esistevano e che sono stati perfettamente restaurati e riadibiti: così la stalla, la cantina, il ricovero degli attrezzi e la casa padronale sono stati trasformati in albergo, osteria, sala degustazione ed eventi e ristorante gourmet. L’attuale gestione è curata quotidianamente dalla famiglia Bisol, in particolare Matteo, che oltre a occuparsi di vino assieme all’enologo Roberto Cipresso, da appassionato di cibo si è preoccupato di fornire alla cucina uno chef che fosse all’altezza della grandiosità del progetto di Venissa, che oggi vanta un albergo diffuso nell’adiacente Burano, un orto con coltivazione di frutta, verdure ed erbe a uso interno, alla cui conduzione collaborano i pensionati buranelli che fanno rivivere la tradizione orticola veneziana, in perfetta continuità e rispetto per il passato.

Francesco Brutto

Negli anni il ristorante è stato guidato da Paola Budel (grazie alla quale è arrivata la prima stella Michelin), poi Antonia Klugmann , successivamente un team di giovani chef che hanno saputo mantenere l’alto livello raggiunto, fino all’arrivo, a inizio 2017 di Francesco Brutto, giovane e visionario chef. Matteo conosce Francesco da tempo, il ragazzo aveva già lavorato qui con la Klugmann e ha saputo attenderlo. Considerato un fenomeno della cucina contemporanea creativa, one man show nella sua Vineria (non ha nessuno in cucina ad aiutarlo), allievo di quel Piergiorgio Parini del cui pensiero si dice infaticabile seguace, ha sposato con entusiasmo il progetto di Venissa ed è tornato volentieri, stavolta portando con sé Chiara Pavan, sua seconda e resident chef e alter ego che sa come afferrare e interpretare le idee del vulcanico chef.

Chiara Pavan

Quando mi ha chiamato Matteo, non avevo molto tempo per organizzarmi. In tre giorni ho imbastito il concept del ristorante e dell’osteria, molto diverso da Undicesimo Vineria. Ogni tre settimane circa cambiamo il menù, semplicemente mi siedo al tavolo, una sigaretta, una birra e un bloc notes: prendo appunti, mi segno alcune idee, poi vado in cucina e metto in pratica. I miei piatti sono in continua evoluzione, un antipasto può trasformarsi in un primo o in un secondo. Quando sono arrivato in primavera abbiamo piantato delle erbe, che per il terreno salino che abbiamo qui, hanno un sapore completamente diverso. Questo fatto straordinario costituisce per me ogni giorno nuova linfa per creare i piatti”, ci racconta Francesco. “Per quanto riguarda l’osteria contemporanea il discorso è leggermente diverso. Parto dalla tradizione veneziana cercando di alleggerirla, portando in tavola sarde in saor, moeche, bigoli in salsa di acciughe, usando pesce del nord dell’Adriatico, in nome di una cucina di materia prima, come una lasagna di ragù di gallinella che per l’intensità di sapore quasi ricorda un ragù di morra romagnola”.

Francesco di mattina è a Venissa per le preparazioni, poi prende la sua barchetta e l’auto e va a Treviso per il pranzo alla Vineria, poi va a fare la spesa, le preparazioni per la cena e dopo il servizio a Treviso vola di nuovo a Venissa. Chiara Pavan è di fatto resident chef, braccio destro e interprete della creatività di Brutto: una laurea in filosofia tra Pisa e Parigi, una passione concomitante per la cucina che decide di seguire lavorando prima con Valeria Piccini a Montemerano e quindi un’esperienza felice di 14 mesi nello stellato Zum Löwen di Tesimo. È lei che con la sua femminilità e carisma riesce a contenere e smussare le spigolature dell’istintività di Francesco, con i suoi piatti dai sapori proverbialmente sferzanti, che Chiara riesce a rendere con mano più morbida e sensuale, ma non meno esplosiva. È il caso del Cetriolo, mela verde, acqua di pomodoro ed erbe acide, con il cetriolo di Campocroce, più dolce del solito, reso fresco ed etereo dall’acqua di pomodoro e dalla nota agra delle erbe dell’orto di Venissa, in un ricordo di un’insalata greca estiva. La Scarpetta di occhi di seppia, con quel suo minimalismo tipico dell’Undicesimo Vineria, segna il raggiungimento del quinto sapore, l’umami, summa di dolce, amaro, acido e salato, nel bellissimo gesto del fare scarpetta che si fa qui atto unico del piatto anziché scena di chiusura.

Tra i primi, imperdibili i Ravioli di lumache di mare, i garusoli, con spugnole e infuso di spugnole al cardamomo, a conferire aromaticità e freschezza nell’incontro tra la terra e il mare, per un piatto emblematico di ciò che rappresenta la laguna, con la sua terra salmastra e i suoi colori che sfumano dal fango al verde al marrone. Interessante il pensiero creativo che indaga i vegetali e che subisce il fascino della lezione di Parini, a partire dalla Cipolla abbinata a cipresso e limone che ne esaltano il sapore agrodolce e la Melanzana cotta a 300° con limone bruciato, polvere di lavanda e succo di sambuco. Tra i dessert, molto ardito il Gelato di caramello di garugioli, spugna di cicoria, semifreddo di funghi, testura di caffè e gel di liquirizia, mentre il Lemon tart rientra nei canoni della classicità con una crema di limone montata al burro, meringa di sedano bruciato, sorbetto al calamansi (agrume di provenienza orientale dal sapore molto acido).

L’osteria e le camere sono aperte tutto l’anno, mentre il ristorante gourmet Venissa apre da maggio a ottobre e oltre alla carta si trovano tre menù degustazione: il 5 portate a 120 euro, il 7 portate a 150 euro, il 9 portate a sorpresa a 190 euro, con possibili abbinamenti con le dorate etichette della Dorona Venissa. Un’esperienza culinaria (e non solo) a bordo vigna, un’occasione unica per ripercorrere la storia, ma anche l’arte contemporanea con le esposizioni temporanee di artisti che si succedono nei giardini orticoli dove trovano un incantevole teatro naturale e per vivere un’esperienza che appaga tutti i sensi: Venissa è un’oasi di bontà e benessere senza eguali, emblema di armoniosa e rispettosa convivenza tra uomo e natura.

 

 

VENISSA

Fondamenta Santa Caterina, 3

Mazzorbo

30142 Venezia

Sito web: venissa.it

Tel. +39 041/5272281

Email: info@venissa.it