I GOLOSI DI CIBO NELLA FOTOGRAFIA DI MARTIN PARR
Lo sguardo del fotografo Martin Parr si è sempre posato sulle ossessioni dei propri connazionali con l’indulgenza di chi si immedesima negli stessi vizi e virtù; un’indulgenza stemperata però dalla “malizia del fotoreporter” come lui stesso dichiara, applicata anche nel ritrarre soggetti che, nelle più varie circostanze e luoghi, indugiano nei piaceri della gola. Una manciata di scatti nei quali il tema goloso è protagonista rintracciabile fra le opere esposte nella mostra Martin Parr Short & Sweet ospitata al Mudec di Milano fino al 30 giugno 2024 e curata da Martin Parr insieme a Magnum Photos. La ricerca del dettaglio perfetto che offra una rappresentazione irripetibile e spesso provocatoria della società, si ravvisa già nelle fotografie in bianco e nero di piccolo formato della serie “The Non-Conformists” (dal nome delle cappelle metodiste e battiste) scattate dal 1975 al 1980 da Parr insieme a Susie Mitchell (compagna e futura moglie) che aprono l’esposizione. Apparentemente più intimiste e delicate rispetto ai soggetti dai colori saturi e iper vivaci che contraddistinguono lo stile più attuale di Parr, si rivelano miniature altrettanto mordaci. Emblematico il “Banchetto inaugurale del sindaco di Todmorden”, uno scatto del 1977 nel West Yorkshire, in cui l’obiettivo abbraccia frontalmente in tutta la sua estensione orizzontale un tavolo da rinfresco con una sardonica inquadratura da Ultima cena leonardesca. Gli invitati, presumibilmente gli apostoli-elettori del sindaco, sfilano curvati in avanti come un’onda che avanza, occhieggiando il cibo sui vassoi e offrendo a chi guarda un teatrale repertorio di espressioni e gestualità. Chi ha già riempito il piatto a chi cerca ancora di insinuarsi nella fila torcendo il busto e le spalle in posa innaturale, chi dalle retrovie scopre un pertugio e allunga un braccio per artigliare un tramezzino e chi non ha ancora trovato un varco nella muraglia umana e ammicca speranzoso, chi a metà della tavolata ha il piatto già stracolmo e guarda dentro quello del più morigerato vicino. Fa parte dello stesso reportage ma offre un’inquadratura molto diversa, la fotografia nella quale un piccolo gruppo di signore siede intorno a un tavolino imbandito per il tè. Protagonista assoluta è la cerimonia che accompagna il tè, partecipata passione nazionale, messa in scena sulla tovaglia candida insieme alle tazze posate sui piattini decorati da una greca, coordinate a una lattiera e a piatti colmi o di pasticcini di taglia considerevole o di tartine imburrate e, al centro, un mazzolino di fiori, richiamo all’altro sport nazionale, il giardinaggio. Delle ladies riunite (c’è anche un uomo in giacca e cravatta ma quasi non lo si nota) non si vedono i volti, tagliati completamente dall’obiettivo, ma solo i gesti, ora sicuri ora ansiosi, di chi porge una tazza piena fin quasi all’orlo, di chi è già pronta a sollevare la chicchera per sorbirne il contenuto, sino alla figura centrale, ripresa di spalle in soprabito e vistoso cappello di paglia il cui stile non può non far pensare a quello della regina Elisabetta II, che domina l’intera scena come se lei fosse noi che osserviamo. Meno riguardoso lo scatto che in una ricca scala di grigi coglie sia una donna con una bianca acconciatura i cui riccioli evadono da un turbante che ne allunga il profilo mentre spalanca le mandibole per ingollare un pasticcino, sia la vicina che ne sta già triturando uno fra le gote rigonfie, le rispettive tazze del tè ancora colme posate davanti a loro su una panca da chiesa rivelatrice del luogo in cui la scena si consuma. Il tè è un’ossessione che ritorna, ammantato di una veste ancor più sacrale, nella foto in cui il rito è celebrato da tre persone in età, sovrastate da una parete sulla quale un enorme affresco raffigura l’Ultima cena, con un profano parallelo fra il Cristo che abbraccia con la mano la coppa del vino e la donna in primo piano con cappello dalle larghe falde, spilla al bavero della giacca e sguardo sulla tazzina-Graal nella quale sta versando un cucchiaino di zucchero, indifferente al sipario al quale dà le spalle.
Nei reportage a colori che ritraggono le feste studentesche dell’upper class, le vacanze delle famiglie a basso reddito nella piccola località balneare di New Brighton in declino e, in un crescendo di satira feroce, tutto ciò che negli anni a venire diviene volgare e stonato, anche il cibo perde la dimensione intimista e si inspessisce diventando debordante, chiassoso e rozzo, specchio del periodo di degrado economico in cui si trovava il nord-ovest dell’Inghilterra a metà degli anni ’80 e di una nuova concezione consumistica della vita in ascesa. È la bottiglia di vino vuotata senza riguardo per il contenuto fino a rivelarne il fondo dallo studente brufoloso nel calice del compagno in smoking al buffet di una festa, i gelati dai colori pastello che sbiadiscono sciogliendosi sulle mani dei bimbi in vacanza nei tristi sobborghi balneari, la forchetta infilata nei fish and chips mangiati nelle vaschette di metallo dalla famigliola sulla panchina con vista sul cestino dal quale l’immondizia deborda arrivando a toccare i loro piedi, il ketchup nel dispenser gigante monopolizzato dalla ragazza per schizzarlo con prodigalità sull’hot dog, il trito di prezzemolo verde acceso che infarcisce i gusci delle lumache alla Bourguignonne esposte chissà dove.
Il cibo si insinua anche in molte delle immagini dell’installazione “Common Sense” composta da duecento fotografie stampate in piccoli formati a basso costo a ricoprire compatte intere pareti con i soggetti kitsch più disparati, bombardandoci un po’ come fanno certe immagini sui social, in una cinica rappresentazione della mania per l’accumulo e dello spreco. Soggetti attraverso i quali Martin Parr ritrae con lo stile documentario e la precisione dei suoi dettagli una società nella quale turismo di massa, consumismo e cibo spazzatura si mescolano e connettono al declino dei valori, con nostalgia agli anni ’60 e alle qualità del mondo operaio. Lo sguardo è ironico ma anche pervaso di tenerezza in due immagini a colori di grande formato: in una la coda ordinata delle persone ferme come birilli davanti al furgoncino dei gelati atterrato come un lucente ufo sulla spiaggia trova compiutezza nel bambino che dal margine destro della foto arriva sgambettando, magari a sparigliare la fila ordinata. Nell’altra una donna sottile come un filo di fumo, camicia a righe e gonna con pappagallo disegnato, è seduta in spiaggia su una sdraio con tettuccio in stoffa color corallo sbiadito davanti al bungalow e a una tenda a fiori viola gonfiata dal vento, sul tavolino una tazza vuota con le tracce dell’immancabile tè. In mano tiene un libro aperto ma lo sguardo sotto il foulard bianco è rivolto all’obiettivo che la sta fissando e lo rimanda sorniona, forse per voltare pagina e chiedere un gin tonic che si credeva fosse il segreto della longevità della regina Elisabetta II?
mudec.it
Cover: Martin Parr, Banchetto inaugurale del sindaco di Todmorden (Inghilterra, West Yorkshire, Todmorden, 1977). Da “The Non-Conformists”. Magnum Photos (dettaglio)