NEL REGNO “FMR”
Una mostra singolare in un luogo speciale.
Il luogo è la Collezione Franco Maria Ricci al Labirinto della Masone nella campagna di Fontanellato, provincia di Parma. Non è una semplice pinacoteca o quadreria privata, è una collezione che desta meraviglia, un luogo di suggestioni che procede per analogie e contrasti, una Wunderkammer perpetua. Tutti gli amanti del bello, del curioso e dello stravagante dovrebbero vederla e rivederla: la visita si trasforma in visitazione, in un’epifania ipnotica di esperienze estetiche.

Franco Maria Ricci
È il grande lascito del raffinato bibliofilo, editore e collezionista parmigiano Franco Maria Ricci (1937-2020), personaggio di spicco della cultura italiana e figura centrale del suo “mecenatismo” moderno.
Nel 1963 ristampa il Manuale Tipografico dell’incisore e tipografo Giambattista Bodoni vissuto tra Settecento e Ottocento (il carattere tipografico che ne prende il nome sarà usato come “font” dallo stesso Ricci nelle sue pubblicazioni) in un’edizione in 900 esemplari numerati su carta Fabriano rilegati in pelle nera che oggi sono una rarità d’antiquariato. “Bodoni è il mio vero Maestro: le opere di questo meraviglioso artigiano dalle mani sporche d’inchiostro, l’immacolata nitidezza dei suoi alfabeti, delle sue pagine bianche dai grandi margini, hanno formato il mio gusto neoclassico e alimentato il mio amore per il libro come oggetto emozionante” ha dichiarato lo stesso Ricci. Nel 1965 nasce la casa editrice Franco Maria Ricci, che, tra le altre memorabili cose, pubblica nel 1972 i 18 volumi dell’Encyclopédie de Diderot et d’Alembert; nel 1977 l’epocale La Biblioteca di Babele curata da Jorge Luis Borges, che Ricci aveva conosciuto tre anni prima a Buenos Aires; e nel 1981 il bizzarro, surreale Codex Seraphinianus dell’architetto e designer romano Luigi Serafini (la cui meravigliosa casa d’arte a due passi dal Pantheon è oggi a rischio di sfratto e demolizione) in due volumi rilegati in seta (la prima edizione numerata e firmata dall’autore è oggi un oggetto conteso dai bibliofili): un’enciclopedia fantastica e visionaria, scandita da 300 illustrazioni (città, esseri umani, animali, piante) e costruita su un alfabeto immaginario quanto coerente (le uniche due parole leggibili delle 400 pagine sono quelle del titolo).
Il successo arriva nel 1982 con la rivista d’arte FMR, acronimo diventato celebre e progetto condiviso con la moglie Laura Casalis e con i collaboratori Giulio Confalonieri, Massimo Listri, Vittorio Sgarbi e Giovanni Mariotti. Mai slogan di lancio – “la più bella rivista del mondo” – fu più veritiero: 162 numeri “antiaccademici” e distinguished, diffusi in cinque lingue (italiana, inglese, francese, spagnola, tedesca) e in veste lussuosa, con le migliori riproduzioni mai viste, un’attenzione particolare a tutte le arti (comprese quelle applicate), un gusto orientato al bizzarro e al capriccioso, una serie di contributi d’autore. Nel 2003 Ricci abbandona la direzione e vende il marchio FMR (sarà riacquistato nel dicembre 2020 dagli eredi, che promuoveranno la rinascita della rivista, pubblicata con cadenza trimestrale a partire dal 2022) per dedicarsi alla costruzione del labirinto più grande nel mondo, come aveva promesso un giorno a Borges passeggiando nell’incolto dove alcuni decenni dopo sarebbe stato eretto.
Realizzato con più di 300.000 piante di bambù di 20 diverse specie e inaugurato nel giugno del 2015, si estende per 7 ettari, si ispira ai labirinti romani, è stato realizzato con la consulenza degli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto, ed è diventato un parco culturale di 5.000 metri quadri. Al centro del dedalo c’è una piazza chiusa da porticati, scandita da ampi saloni per concerti e fronteggiata da una cappella di forma piramidale. Tutt’intorno spazi ortogonali in cui passeggiare, meditare, perdersi nei propri pensieri o ritrovare la via d’uscita (in caso contrario, se cioè vi smarrite, non preoccupatevi: prima dell’ingresso vi viene dato il filo d’Arianna della modernità, ovvero un numero di cellulare da chiamare per il vostro recupero).
L’eclettica Collezione ospita più di 4.000 opere tra dipinti, sculture e oggetti d’arte che spaziano dal Cinquecento al contemporaneo. Basta giusto un attimo per sintonizzarsi con l’ordinamento tematico delle 9 sale neoclassiche (“Il Labirinto”, “Paradigmi del Seicento”, “Approdo al Cinquecento nel segno di Parmigianino”, “Tra Seicento nobiliare e Settecento borghese”, “Novecento alternativo”, “Wunderkammer”, “L’editoria come arte”, “La terracotta”, “Effetto Napoleone”) e farsi ipnotizzare dai tondi con le Allegorie delle arti e delle scienze di Martin Knoller; dalle triplici, vertiginose copie di Amore che fabbrica l’arco di Parmigianino e dalla Sacra Famiglia con angelo di Girolamo Mazzola Bedoli, cugino del Parmigianino (a poca distanza da qui la Rocca Sanvitale di Fontanellato ospita le 14 lunette con gli affreschi che il grande pittore parmigiano – da cui il suo soprannome – dedicò al mito di Diana e Atteone); dalla Venere che benda gli occhi a Cupido di Luca Cambiaso; dalle due Testa di tigre di Antonio Ligabue (pittore che Franco Maria Ricci contribuì a far riscoprire); dalle Ballerine dalle movenze Art Decò di Demétre Chiparus; dall’impressionante testa del Vir Temporis Acti dello scultore milanese Adolfo Wildt (opera al contempo sensuale, animalesca, simbolica, astratta, decadente: una forza primigenia sembra scaturire dalle sue potenti forme plastiche); dai teschi della Vanitas (con un cortocircuito temporale tra il Memento mori di Jacopo Ligozzi d’inizio Seicento e quello novecentesco di Maurizio Bottoni) e dalla Testa di Polifemo in terracotta con un dente di narvalo infilato nell’occhio di Jacques Canonici, dentro una Wunderkammer scandita da estasi e supplizi sotto teca. Per tacere della Galleria con le copertine della rivista FMR, i disegni originali di Tullio Pericoli che ritraggono celebri scrittori e diversi volumi, anche consultabili, delle collane Morgana, Quadreria, Curiosa, La Biblioteca di Babele, La biblioteca blu, Guide impossibili…
Negli spazi del Labirinto è possibile visitare fino al 17 settembre la mostra Ugo Celada da Virgilio. Enigma antico e moderno, a cura di Cristian Valenti, un’occasione per riscoprire una figura appartata e misconosciuta del Novecento italiano. L’aspra presa di posizione del pittore mantovano (era nato nel 1895 a Cerese come Ugo Celada e assunse il vezzo di aggiungere il “da Virgilio” per rimarcare la propria origine) contro il Movimento del Novecento di Margherita Sarfatti, propugnatore di una linea nazionalista per un’Arte di Stato, lo isolò a tal punto da provocarne l’oblio in precedenza: era il 1931 e solo cinque anni prima Émile Bernard, presidente della Biennale di Venezia, lo aveva definito il più grande pittore italiano del tempo. Nonostante la lunga carriera e la longevità (morirà nel 1995 all’età di 99 anni), la sua rivalutazione sarebbe avvenuta soltanto a metà degli anni Ottanta. Oggi possiamo così ristabilirne il valore, che non è inferiore a quello dei più celebri Cagnaccio di San Pietro o Antonio Donghi, pittori della sua generazione che, come lui, abbracciarono uno stile tra il Realismo Magico e la Nuova Oggettività, ovvero un ritorno al figurativo, e dunque al classico (specie rinascimentale), dopo le tempeste delle avanguardie. In Ugo Celada la fitta rete di rimandi e rielaborazioni coinvolge anche il contemporaneo, dal Giorgio De Chirico dei manichini e degli autoritratti al Segantini del Paesaggio montano di Macugnaga.

Mostra Ugo Celada da Virgilio, Nudo di schiena

Mostra Ugo Celada da Virgilio, Ritratto della moglie

Mostra Ugo Celada da Virgilio, Natura morta con panettone

Mostra Ugo Celada da Virgilio, Ritratto di uomo
A magnificare la qualità delle sue opere ci sono, nelle singole sezioni tematiche, alcune squisite nature morte (la Natura morta con panettone dal fascino secentesco; la Natura morta con selvaggina in cui la brocca dell’acqua riflette, come nella pittura fiamminga, l’ambiente circostante; o la Natura morta con violino e mandolino, che presenta sul tavolo citazioni esplicite di alcuni grandi quadri del passato), i magnifici ritratti (il Ritratto di uomo e il Ritratto di gentiluomo che appartiene alla Collezione Ricci o la stessa Bambina che legge che campeggia sulla locandina della mostra) e gli ancora più magnifici nudi: il Nudo di schiena in posa a là Degas; il Ritratto della moglie che omaggia Tiziano; due figure intere di nudo frontale, accostate per contrasto, come la giunonica La smorfiosa e, tra pudore e scabrosità, un Nudo di bimba (non datato) per il quale è difficile non pensare a Balthus; e il più bello di tutti, un Nudo di schiena dai molteplici riferimenti pittorici, dove il conturbamento è soprattutto spaziale per l’intersezione tra linee diagonali e prospettive centrali, per il conflitto visivo tra il drappo che mura la visione e la finestra sulla sinistra che illumina la scena.

Suite (photo credits Mauro Davoli)
Completano questa cittadella della fantasia e della sensorialità un paio di luoghi del gusto, curati da una brigata di giovani soci: c’è lo Shop Gastronomia dove trovare i prodotti tipici del territorio parmense ed emiliano, il Bistrò gestito da Alessandra Adorni (classe 2001) e il Ristorante dei 12 Monaci, “dépendance” di quello di Fontevivo di Andrea Nizzi e condotto ai fornelli da Matteo Ricci (classe 2000) e in sala da Rrham Marina (classe 1998). Tra salumi (dal Culatello di Zibello dei fratelli Dallatana al Prosciutto di Parma della famiglia Galloni, dalla Spalla cruda di Palasone allo strolghino) e tradizioni locali (Tortelli di erbette alla parmigiana, sempre imprescindibili), ecco piatti di buona fattura che rielaborano la cucina parmense come la Pancia di maiale cotta al bbq, pan brioche e salsa ai porri o la Punta di Parma moderna. Si chiude piacevolmente con il Gelato alla crema, crumble di sbrisolona e spuma di zabaione. Con la carta dei vini ci si può divertire attraverso le proposte “Degustazione alla cieca”, “Vini del territorio” e “Vins de Garage”. Ci sono anche due suite (raffinate e bellissime, va da sé) per prolungare il soggiorno in questo luogo da sogno.
labirintodifrancomariaricci.it