L’alfabeto vegetale di Crippa

Metti una zucchina bollita nell’ultimo menù di Piazza Duomo. Un elemento di quella costellazione che è l’Antipasto all’Italiana, un excursus che vuole “ricordare la tradizione italiana dell’antipasto misto e la tradizione piemontese di quando si va al ristorante, ci si siede e iniziano ad arrivare i piatti”.

Una tavola che s’imbandisce vorticosamente in pochi minuti, secondo un rituale che Enrico Crippa pone sapientemente a metà strada tra tradizione nostrana ed estremo oriente. Una trasversalità geniale che coniuga l’abbondanza italiana della tavola imbandita con l’eleganza imperiale della cucina kaiseki.

Come spiegato nel testo di Massimo Montanari Storia e geografia dell’alimentazionenel periodo di Edo o Tokugawa (1600-1858), la cucina elaborata connessa alla cerimonia del tè definiva un ordine di servizio e un modo di mangiare. La cucina kaiseki si affermò come il modo di mangiare più raffinato e si trasformò in un pasto formale indipendente dai piatti della cerimonia del tè da cui era nata. Si esaltavano i cibi freschi, di stagione, e la qualità degli ingredienti era molto ricercata. Il servizio kaiseki stabiliva che ciascun elemento del pasto doveva essere servito separatamente e preparato separatamente dagli altri per garantire che fosse fresco e cucinato o elaborato in base alla sua natura. […] Ciò che impressiona non è la quantità del cibo o l’ampiezza del menù, quanto la varietà e le ingegnose combinazioni di ogni portata, in un linguaggio gastronomico che oggi appare davvero esoterico”.

Ed è qui che torniamo in Italia, alla straordinaria abilità di Crippa nel conoscere e indagare la sfera vegetale.

Noi italiani siamo il popolo che mangia più verdure in assoluto, quindi sono un elemento fondante della nostra cultura. In questo momento sono molto di moda il plancton e i muschi, ma ho sentito dire che durante la guerra nel nord Italia si mangiavano i muschi, oppure le patate con la buccia. Ecco, se io oggi provassi a dare a mio nonno le patate con la buccia lui mi direbbe “ma mangiatela tu la buccia!”. Credo sia importante avere rispetto per questi dettagli, per il nostro sostrato, e ricercare sapori autentici”.

È qui che la zucchina bollita trova la sua quadratura: “Ogni vegetale ha la propria cottura. La zucchina trombetta o si mangia cruda oppure cotta stracotta, perché solo così riesce a sprigionare tutto il suo sapore. Lo stesso vale per i fagiolini stortini bolliti, non si possono mangiare al dente, sono sgradevoli. Devono essere morbidi come quelli che cucina la mamma”.

La celebrazione del gesto quotidiano che riporta a una dimensione domestica e materna, tutta giocata sull’elemento vegetale e nobilitata da un’estetica impeccabile.

D’altronde la dedizione di Crippa al mondo della flora è cosa nota ai più, con l’orto che scandisce il ritmo della giornata dello chef e della sua cucina, altrove definito “pensatoio della sua creatività”. Fulcro della propria filosofia, attorno cui Crippa modella piatti sulla duplice direttrice etica-estetica e oriente-tradizione autoctona, si crea in tal modo un prisma che come una Biblioteca borgesiana offre innumerevoli combinazioni, come nel caso dell’ormai leggendaria Insalata 21… 31… 41… 51, vero compendio linneano di vegetali.

Una composizione di erbe aromatiche, germogli, insalate, fiori e semi che variano in base alla disponibilità dell’orto e alle stagioni e che Crippa seleziona personalmente ogni giorno nell’orto di Barolo, l’orto e la serra della Bernardina, tutti a coltivazione biodinamica, e che ogni giorno comporta 3-4 ore di lavoro tra taglio, lavaggio e asciugatura fino al momento della preparazione del piatto che deve essere mangiato con le pinze, più congeniali per piluccare ogni singola fogliolina senza infilzarla e per mantenere l’integrità del sapore fino all’incontro con il palato.

Il vegetale per Crippa come una sorta di Aleph, un punto d’inizio verso cui tutto tende, come l’Uno di Plotino da cui tutte le cose nascono per emanazione e a cui tutto fa ritorno.

Photo by Lido Vannucchi