EVOÈ 2024: A RECCO LE GIOIE DEL SAPORE

Dove c’è Bacco c’è gioia, soprattutto per il palato, ed è da ricondurre alla divina elargizione di felicità la scelta di battezzare un evento gastronomico con il nome di Evoè, l’esclamazione di giubilo delle baccanti in onore di Dioniso. È accaduto a Recco, cittadina della Liguria di Levante celebre per la Focaccia al formaggio IGP, dove si è svolto Evoè Festival 2024, rassegna organizzata dal Consorzio della Focaccia di Recco col formaggio Igp dedicata all’arte bianca e gastronomica e ad alcuni prodotti Dop e Igp di qualità, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza del valore dei giacimenti gastronomici della regione e dei territori confinanti attraverso assaggi, racconti, esibizioni di chef professionisti del territorio genovese, cimenti tra i fornelli di studenti degli istituti alberghieri di tre regioni e un “Fuori campionato” di pesto al mortaio.

L’estasi dionisiaca come forma di conoscenza dunque, innanzitutto delle specialità liguri di piccoli produttori selezionati e certificati Genova gourmet come sciroppi e conserve di petali di rosa, dolciumi a base di nocciole, ortaggi antichi, zafferano e altre spezie, formaggi di Cabannina, nocciole misto Chiavari, oltre a prodotti con marchio Dop, Igp e Docg di regioni confinanti, per esempio Salumi piacentini, Salame d’oca di Mortara, Roccaverano e Brachetto d’Acqui piemontesi. Sotto i riflettori soprattutto lei, la Focaccia di Recco al formaggio Igp la cui preparazione è regolata da un preciso disciplinare ed è consentita esclusivamente nelle zone di Recco, Camogli, Sori e Avegno. Come stabilisce il Consorzio della Focaccia di Recco col formaggio Igp, si tratta di “un prodotto da forno ottenuto dalla lavorazione di un impasto a base di farina di grano tenero, olio extravergine di oliva italiano, acqua, sale, farcito con “formaggio fresco” e successivamente cotto in forno” e con fierezza il Consorzio sottolinea la tutela del marchio europeo Igp (Indicazione Geografica Protetta). Ingredienti semplici, dunque, e pertanto cruciali perché la qualità dei prodotti usati svolge un ruolo determinante nel pregio del risultato: le farine di mulini locali o comunque selezionati, l’olio extravergine d’oliva che rappresenta un’altra bandiera della Liguria oltre che dell’Italia tutta. Il formaggio poi non può essere scelto a caso, ma deve essere una crescenza freschissima, l’unica giudicata adatta per le giuste caratteristiche di umidità e acidità. Non sono ammessi sostituti, e soprattutto si raccomanda di non usare la prescinsêua, prodotto caseario tipico del genovese con consistenza fra lo yogurt e la ricotta, la cui cagliata liquida e il sapore acido comprometterebbero in un colpo solo sia la consistenza sia il gusto della focaccia. Dall’impasto sono ugualmente banditi grassi, lievito, vino o zucchero; insomma non bisogna paciugare ma rispettare la ricetta tradizionale.

Manuelina, Focaccia di Recco

Ulteriore peculiarità della Focaccia di Recco consiste nel suo essere “la prima specialità tutelata al mondo in cui l’intero ciclo di produzione può avvenire all’interno di ristoranti oltre che negli asporti e nei panifici (dove si producono già prodotti Dop e Igp)” sottolinea il Consorzio. Se tante persone si mettono in coda davanti alle panetterie per portare a casa la propria dose quotidiana di focaccia di Recco (un esempio su tutti l’ormai storico forno Moltedo, fra i pochi a lavorare ancora la notte su ingredienti freschi oltre che selezionati, senza usare preparati surgelati e che chiude quando esaurisce la disponibilità di pane e focacce, cosa che accade spesso prima di mezzogiorno), anche i ristoranti della cittadina ligure del Levante la propongono in menu. Accade dagli anni cinquanta del secolo scorso ed è sempre servita con l’ostia-bollino Igp a garantire l’autenticità e la qualità dell’Indicazione Geografica Protetta. Alcune insegne cittadine sono diventate vere e proprie mete di pellegrinaggio la cui fama valica i confini della Liguria. Manuelina per esempio, che considera la Focaccia di Recco “un piacere senza tempo, senza orari e per tutte le età”, e può ben dirlo data la storia fondativa dell’osteria avviata dalla capostipite Manuelina nel 1885. Un’eredità perpetuata nel tempo e oggi guidata da un’altra donna volitiva, Cristina Carbone. L’osteria nel tempo è diventata un ristorante, oggi composto da due sale eleganti e una veranda dove sono proposti sia la focaccia simbolo sia un Menu di impronta classica e moderna. La ricetta della focaccia di Manuelina si compone di pochi ingredienti: “farina di buona qualità del Mulino Vigevano, olio extravergine (1 dl ogni kg di farina) e stracchino del piacentino al posto della formaggetta usata dalla nonna che era ottenuta facendo cagliare il latte lasciato a stagione 3-4 giorni” racconta Cristina Carbone, uniti a una sapienza maturata nei lustri per trovare le dosi ottimali e maturare l’esperienza nella lavorazione: “l’impasto ottenuto dall’impastatrice viene diviso in piccoli panetti poi rimpastati con le mani e messi a riposare circa un’ora; la pasta non deve essere manipolata troppo altrimenti si arrabbia, ossia non si stende a sufficienza, quindi l’impasto deve essere da una parte un po’ nervoso ma dall’altra anche docile”. Il sale, fino, è il tocco finale, non unito all’impasto “perché può generare un processo più veloce di fermentazione della pasta e toglierle elasticità” ma aggiunto insieme all’olio dopo aver steso le due sottili sfoglie, proceduto alla farcitura e praticato piccoli buchi sulla falda superiore. Il risultato di tanti decenni di esperienza è una straordinaria fragranza della focaccia sia nella parte superiore più brunita sia in quella inferiore leggermente più spessa, affinché regga l’umidità creata dal formaggio posato a tocchi in file di geometrica regolarità. Le due sfoglie unite nel morso si trasfigurano e fondono sul palato creando insieme al formaggio un sapore unico, avvolgente, con una piacevole punta salata, in uno studiato equilibrio che si associa alla storia del luogo.

Quanto alla cucina, accanto ai classici il menu si è dischiuso alla modernità per andare incontro al cambio di gusti e alle nuove tecniche. Un’evoluzione “che ha come desiderio essere una tradizione in cammino, che si aggiorna, è in movimento, ma resta legata alle proprie origini”. Si cercano ingredienti migliori per i piatti classici che però non cambiano ed è sempre possibile trovare in carta Cappon magro, Lasagnette al pesto, profumato Coniglio alla ligure e Pansotti fatti a mano ripieni di prebuggiun, la “carne di campo” ossia una miscela di erbe spontanee liguri alla base di numerose ricette della tradizione; ma si introducono anche novità e piccole fantasie come il pesce alla ligure preparato con una riduzione di vino rosso invece che bianco, o il Filetto di Morone, un pregiato pesce del Mar Ligure di profondità dalla polpa delicata, cotto su uno zoccolo di sale e accompagnato da una salsa ai limoni tenuti sotto sale per perdere liquido e acidità, ricavando una salsa di limoni confit lievemente aspra contrapposta alla polpa grassa del pesce e da chips sottilissime di patate per dare croccantezza. Nella scelta degli ingredienti si ravvisano sempre un senso, un’armonia, un pensiero, come nel Risotto alle erbe odorose della Liguria dove salvia, rosmarino, alloro, basilico sono preparati separatamente per ottenere una riduzione che conferisce un gusto erbaceo e sul quale una salsa al Montebore disegna e rievoca un’affinità storica oltre che la vicinanza geografica. Infatti la Val Borbera, sull’appennino ligure-piemontese dove da secoli si produce il formaggio artigianale a forma di torta nuziale, faceva parte dell’entroterra ligure fino al 1815, quando passò al Regno di Sardegna e poi a metà del XIX secolo all’Alessandrino, e il prodotto caseario conosciuto anche da Leonardo Da Vinci che lo inserì nel banchetto nuziale di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona è rimasto un patrimonio comune da preservare, come tutte le piccole produzioni dell’entroterra, da sostenere per scongiurare lo spopolamento e la scomparsa di tradizioni distintive.

Manuelina, Risotto, erbe e Montebore

Un ampio quanto gioioso racconto della storia di Recco dell’ultimo secolo è narrato dai gemelli Bisso, colossi del ristorante da Ö Vittorio insieme ai nipoti Paola, Mattia, Chiara e Federico. Alle tavole distribuite nelle svariate sale che inanellandosi una all’altra compongono il locale, ognuna con un suo stile, dal rustico all’elegante al romantico bovindo sino al pergolato, ne sono passati di personaggi celebri e la famiglia Bisso li ricorda tutti. Sorseggiando un Pigato o un Vermentino in piedi al bar del ristorante è bello ascoltare le storie raccontate dalla loro viva voce, una luce guizzante negli occhi e quell’umorismo pervaso di sagacità ligure che si mescola a una memoria intrecciata di aneddoti su figure dello spettacolo e della cultura del calibro di Renata Tebaldi, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Walter Chiari, Aldo Fabrizi, Mariangela Melato, Indira Gandhi, Umberto Eco, Mina, Ornella Vanoni e tanti altri nomi dell’attualità che, attraverso le fotografie esposte, perpetuano la loro presenza (nel ristorante è stato girato anche il film Agata e la tempesta di Silvio Soldini). Oggetto del desiderio dei vivi è naturalmente la focaccia di Recco e uno degli elementi che la caratterizzano rispetto a quella degli altri locali, racconta lo chef di Ö Vittorio Federico Bisso, è la sua temperatura di cottura: “siamo quelli che la cuociono a più alta temperatura, 360 gradi, mentre la media cittadina va dai 280 ai 300”. Un’abilità sviluppata con la pratica, per raggiungere il risultato ritenuto perfetto, così come la cucina, “sempre legata alla più antiche tradizioni o ricette e alle stagionalità come in passato” sostiene lo chef “con alcune eccezioni, accolte per rivisitare qualche piatto in chiave più moderna e per recepire l’influenza francese”. Il menu propone quanto offre il mare, in questo periodo i Rossetti (fritti, al vapore con i carciofi di Albenga crudi, o a condimento di sottili taglierini di pasta bianca), la Ricciola, magari lardellata con lardo di Colonnata che le conferisce aromi speziati preservando i suoi succhi e unita a una salsa sfumata al Moscato, o in Tartare aromatizzata con olio extravergine d’oliva e bucce di limone su una crema di Robiola e gocce di liquirizia, il Crudo “in rete” sempre diverso come le stagioni che a inizio primavera include rossetti, cappasanta francese tagliata sottile, ostriche, ricciola, gamberi e scampi, il Tian (tegame in dialetto ligure), una torta morbida senza pasta con base di patate tagliate sottili e una lavorazione di carciofi cotti con la Prescinsêua e uova; tra gli omaggi alla Francia, il Filetto alla Rossini incappellato da scaloppa di foie gras.

Ö Vittorio, Ciupin

Il piatto da non perdere in questo locale dalla storia più che centenaria è il Ciupin, ricetta ligure antica, qui perfezionata al punto da arrivare sul podio del BrodettoFest di Fano 2023 come miglior zuppa di pesce d’Italia. A comporre il sapore unico di questo brodetto presentato dallo chef anche durante l’Evoè Festival, concorrono le polpe dei cosiddetti pesci poveri, quelli che in pescheria restano invenduti perché laboriosi nella pulitura o per una ittica fisiognomica, come il bizzarro profilo affusolato del Pesce Prete. Giuseppe Bizioli, chef bergamasco conquistato dalla Liguria, da Ö Vittorio ha messo a punto una ricetta del Ciupin nella quale confluiscono pesci liguri sempre diversi, a seconda della disponibilità giornaliera, che può prevedere le varietà San Pietro, Gallinella, Scorfanetto, Tracina, Sciarrano, Rana pescatrice, Fiagallo (come è chiamato in genovese l’anguilliforme Grongo), ma anche seppioline, calamari, crostacei e molluschi, a conferire una certa eleganza e trame di sapore morbide. All’assaggio si riconoscono erbe aromatiche, verdure da soffritto, peperoncino, vino bianco e pomodoro, perché questa è decisamente una zuppa rossa che con la sua consistenza risolta e sontuosa e i profumi del mare e della costa intride la galletta del marinaio posta sul fondo del piatto, cinto da una corona di crostacei, vongole e cozze. Un piatto da espugnare a ritmo lento, senza alcuna remora o prudenza nei confronti del candore degli abiti, grazie all’ampio bavagliolo infiocchettato dai camerieri al collo degli ospiti prima del goloso cimento.

Il nodo stretto nel territorio intorno a Genova tra la Focaccia di Recco e un più ampio panorama gastronomico, si è espresso all’Evoè Festival anche attraverso una gara che ha visto protagonisti gli Istituti alberghieri di Liguria, Emilia Romagna e Piemonte. Gli allievi delle scuole Marco Polo, Raineri-Marcora e Alberghiero Acqui Terme si sono sfidati nell’esecuzione di ricette della tradizione e moderne, impiegando prodotti Dop e Igp sia liguri che delle regioni confinanti, da rendere compiute attraverso l’abbinamento dei vini più consoni, in un fecondo scambio di esperienze che ha visto emergere i genovesi e i piacentini, in un testa a testa molto stretto con le studentesse piemontesi. Dopo le giovani leve del futuro, la conoscenza della gastronomia genovese e ligure è passata attraverso l’esibizione di esperti chef liguri, uomini e donne, presentati dal conduttore radiofonico Tinto, insieme al Lucio e Simona Bernini. Oltre ai recchesi Giulia Sicano e Francesco Giurato di Manuelina alle prese con un Baccalà al vapore su patate Quarantine e cipolle arrostite e Federico Bisso di Ö Vittorio che raccontando il Ciupin ha mostrato alcuni dei pesci liguri arrivati il giorno stesso e usati per la preparazione della zuppa di pesce, si sono esibiti da Genova Matteo Losio del Bruxaboschi con un dessert rappresentativo del tracciato che si snoda fra Levante e Ponente nota sapida del carciofo inclusa, Matteo Costa de Le Cicale con la maggiorana e il mare, piatto emblematico del dialogo fra pescato e profumi dell’entroterra, Cristiano Murena di Murena Suite con una ben presentata Seppia cbt, mela, sedano, lime e gel di piselli, Paolo Ferralasco di Zupp con una Crema di cannellini profumati alle nocciole misto Chiavari e gamberi viola saltati al Cognac, Umberto Squarzati della Trattoria Erbe che ha puntato sul Coniglio cotto a bassa temperatura sposato a patate e salsa rouille di eco provenzale, Roberto Panizza della Trattoria Il Genovese protagonista di una magistrale preparazione del pesto svolta impiegando un mortaio tradizionale di mole e peso non comuni, Simone Vesuviano e Matteo Rebora della Trattoria dell’Acciughetta con Ravioli fritti al tuccu ovvero il saporoso sugo di carne genovese, Daniel Nevoso dell’AC Hotel con Tortino di acciughe in salsa al bagnun che è una zuppa di acciughe del Levante ligure. Da Chiavari Israel Feller del Boccondivino ha evocato un viaggio in Oriente con il piatto Marrakesh, mentre da Santa Margherita Ligure Margherita Olivieri dell’Insolita Zuppa ha impiattato un Calamaretto pansato ossia farcito e Luciano De Angelis della Trattoria La Cambusa ha cucinato una succosa Palamita in agrodolce. Un omaggio alla focaccia è stato offerto dal Presidente Regionale Federazione Italiana cuochi Alessandro Dentone con il piatto Triglie di scoglio al profumo di focaccia, crema di stracchino della Val d’Aveto e polvere di olive taggiasche.

Ö Vittorio, Ciupin

L’evento recchese si è concluso con un momento di condivisione con il pubblico, la preparazione espressa e l’ambita degustazione della Focaccia di Recco col formaggio Igp a cura dei maestri dell’arte bianca di Recco e Camogli Stefano e Mauro Conti, Massimo De Ferrari, Lorenzo Moltedo, Marco Mura, Alberto Olivari, Fabrizio Passano e i fratelli Agostino Massimo e Luigi Revello, preceduta da un momento divertente e gioioso, il “Fuori campionato” di pesto al mortaio, definito dagli organizzatori come una “esibizione semiseria di pesto al mortaio dei cuochi del festival”, un mix di competenza, seria scelta degli ingredienti – primi fra tutti il Basilico genovese Dop e l’Olio extravergine d’oliva Dop della riviera ligure – e goliardia gastronomica che ha regalato non pochi sorrisi.

 

Photo credits: Maria Luisa Basile