HEBBO E IL FIENILE, DESTINAZIONE GOURMET
Dormire sotto il cielo stellato delle Dolomiti, sulle rive del Lago di Dobbiaco, che rispecchia il profilo del gigante che dorme come un quadro di Magritte. Che sia estate oppure inverno, bianco immacolato o verde saturo, è difficile immaginare una location migliore. Eppure qui per molto tempo c’è stato solo il camping, aperto settant’anni fa da Panzenberger senior, che nel dopoguerra ha ospitato un campo militare delle truppe americane. Poi è arrivato il figlio Herbert, che ha convertito la struttura a fini turistici.
Ad alzare l’asticella, tuttavia, ha provveduto Andreas Panzenberger, oggi trentenne, innamorato fin da giovanissimo della cucina e del vino. Dopo aver frequentato l’alberghiero a Cortina d’Ampezzo, non soddisfatto del titolo di sommelier professionista AIS, si è diplomato al WSET livello 4, mentre continuava a infilare le ginocchia sotto le tavole più mitiche del mondo, dal Noma di René Redzepi a Gannan Anand. In mente un progetto: fare di quel campeggio nella natura un paradiso gourmet. E l’impresa è oggi quasi compiuta.
Prima ha alzato il livello dell’ospitalità, erigendo nel 2019 dodici chalet in legno totalmente aperti sullo spettacolo della natura, i più lussuosi dotati di jacuzzi esterna e sauna a infrarossi. Qui la colazione arriva in un festoso cesto lasciato sulla soglia al mattino, colmo di delizie dolci e salate. Né è stato violato il valore della sostenibilità: confezionati da artigiani del posto, gli edifici non hanno richiesto l’abbattimento di alberi, mentre il servizio si svolge con uso di veicoli elettrici.
Poi Andreas ha pensato di elevare il livello della ristorazione. Fino a quel momento c’era solo un locale un po’ rustico, creato da Herbert insieme alla moglie: Il Fienile. Oggi è stato completamente ristrutturato: oltre alle pizze, offre proposte tipiche come taglieri, Spätzle e canederli, zuppe di orzo, guance di manzo e un piatto tirolese con wurstel, maiale affumicato e crauti, per chiudere con un ottimo Strudel. Essendo l’unico esercizio di somministrazione aperto lungo il lago, è facile immaginare il viavai degli sciatori, che percorrono la famosa pista di fondo.
Andreas tuttavia sognava un fine dining e lo ha aperto lo scorso giugno: si chiama Hebbo, soprannome del padre, ed è un moderno parallelepipedo affacciato sul lago, con i tavoli nudi. Il partner in crime si chiama David Senfter, giovane chef austriaco come metà della brigata, formatosi per stellati nel suo paese, fra cui il Silvio Nickol Gourmet Restaurant, bistellato a Vienna. Ci tiene a mettere in chiaro che i prodotti sono tutti locali: il pesce di lago come i vegetali e le carni, senza un goccio di olio d’oliva. Gli animali vengono utilizzati interi, come i vegetali, secondo il principio dello scarto zero. E quando la temperatura cala, si ricorre all’uso di fermentati, che creano nel piatto nuove armonie. La cantina segue con un pairing altoatesino, flessibilizzabile in senso interregionale e internazionale. Perché nella ricca carta disegnata da Andreas, che durante il servizio funge anche da sommelier, c’è l’imbarazzo della scelta: le sue passioni sono lo Champagne, il Pinot nero francese o altoatesino e il Riesling. Ma fra le 1500 etichette non mancano grandi toscani e piemontesi.
La proposta, completa e importante, ha convinto la guida tedesca Falstaff, che ha immediatamente conferito il premio di novità dell’anno. La cucina, del resto, è tanto tecnica e precisa, quanto ficcante in bocca. Segue il verbo naturalista, come si usa a queste altitudini, ricorrendo spesso alla brace e alle fermentazioni, per acidità ben compensate dalla generosità delle pièce.
Sono già ottimi gli appetizer, che partono dal pesce di lago: il sashimi di salmerino con crema di ciliegie di Corniola e ravanello, servito sulla testa essiccata del pesce per un cenno di cucina della crudeltà; la trota al pino, burro nocciola ed erba cipollina in spiedino, l’intenso e profondo dashi di pino affumicato; i funghi fritti pralinati, quale violazione delle regole una deliziosa chips di pasta al pomodoro con maionese al basilico, per finire con la tartare di carota con patata e spuma di carote fermentate, deliziosa tessitura di sfumature e consistenze. È poi sontuoso il pane, con la baguette e lo scandinavo al lievito madre, una pagnotta al pomodoro, alla birra e le croste croccanti, in accompagnamento a due burri montati, uno dei quali aromatizzato ai funghi.
I piatti veri e propri attaccano dai vegetali: il porro bruciato con salsa romanesca e fiori di sambuco, dove protagonista è il condimento, come la barbabietola essiccata, traslucida e dolce come melagrana, servita con panna ridotta al timo e polvere di Schüttelbrot. La pelle di pollo sminuzzata sulla succulenta trota salmonata simula una golosa panatura; altrettanto succulenta la pancia di maiale con cotenna soffiata e salsa di basilico. L’anatra arriva con la sua mousse e un taco al cavolo rosso e ragù; il petto in cottura classica col suo fondo, abete e bacche. Delizioso il predessert di zucca, fragole bianche fermentate e cime di maggio, che pizzica il palato con il piccante e l’acidità, spazzando via la stanchezza, per chiudere infine con la radice di dente di leone, bacche di sambuco e aglio nero.
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