LA GALASSIA STELLARE DI ENRICO BARTOLINI
Nove stelle Michelin, di cui quattro ricevute contemporaneamente nel novembre 2016 (un record a livello internazionale nella storia della mitica ‘Rossa’), pongono Enrico Bartolini nell’empireo internazionale, confermandone le doti di chef raffinato, rigoroso professionista e solido imprenditore. Ma chi lo conosce e lo segue da qualche anno sa bene quanto sia stata una crescita graduale, costante e senza sconti. Classe 1979, originario di Castelmartini in Toscana, comincia a lavorare a quattordici anni ma a diciannove la stampa si è già accorta di lui e lo qualifica come enfant prodige, un appellativo che lo accompagnerà a lungo e ci abituerà, anno dopo anno, a leggere dei suoi successi professionali e degli importanti riconoscimenti ai suoi ristoranti, che di volta in volta apre e gestisce con mano sicura. Oggi lo potete trovare al terzo piano del Mudec (Museo delle Culture di Milano), dove ha conquistato tre stelle Michelin. La sua è una mano personalissima che entusiasma per armonia, equilibrio e piacevolezza, dove la precisione delle esecuzioni fanno il paio a notevoli abilità tecniche e a risultati tanto efficaci quanto seducenti. Ma è anche presente in altri cinque locali dove il timone è affidato a resident chef che Bartolini ha scelto personalmente e che pur nella più ampia libertà espressiva, infondono alla cucina il suo particolarissimo tocco.
La sua formazione inizia con l’alberghiera e prosegue con esperienze di rilievo a Parigi da Paolo Petrini, a Londra da Mark Page, a Rubano da Massimiliano Alajmo, che ne forgiano le abilità. A 29 anni non fa in tempo ad aprire Le Robinie in Oltrepò Pavese, che arriva la prima stella. Nel 2010 si inaugura il ‘Devero Ristorante’ e il ‘Dodici24 Quick Restaurant’ a Cavenago, che a 33 anni frutta la seconda stella; nel 2016 è la volta del Ristorante Enrico Bartolini al Mudec; a cui si aggiungono il Casual a Bergamo; L’Andana a Castiglion della Pescaia dove gestisce il ristorante e la trattoria; il Glam a Venezia; le consulenze a Hong Kong, Dubai, Abu Dhabi; e ancora la Locanda del Sant’Uffizio nel Monferrrato e il ristorante Poggio Rosso a Borgo San Felice.
Con i collaboratori vive un rapporto profondo, fatto di condivisione, consapevolezza e conoscenza dei propri limiti, che richiede a sé stesso e ai suoi: “Chiedo molto alle persone che lavorano con me perché l’azienda sia sostenibile e il concetto di ristorazione arrivi a tavola, prima ancora del risultato economico. Per farlo occorre complicità, altrimenti non arriva nemmeno il messaggio intrinseco della cucina che facciamo, che deve avere dei valori e raccontare una storia che parla di bontà, confezionata con cura da chi maneggia gli ingredienti e ancora prima da chi li produce. La sensibilità che poniamo nel rapportarci con l’altro è proporzionata non solo ai caratteri delle persone e all’approfondimento umano, ma anche alla qualità del lavoro. Cerchiamo di porre attenzione nel valorizzare le persone di talento, aiutandole a vincere la timidezza, quando si percepisce quella sfumatura e quella energia vanno canalizzati, in modo che col minimo sforzo si ottenga il migliore risultato e giunga un segnale di benessere alle persone intorno, al team e ai clienti”. Il percorso di ognuno è fatto di momenti, esperienze e incontri, che vanno saputi cogliere per trarne ispirazione: “Quando ho iniziato a fare ristorazione per conto mio, avevo un livello di esperienza che si è ampliata crescendo e continua a definirsi, l’attenzione alle persone e agli ingredienti non era quella di oggi, c’è di mezzo anche la maturità. Massimo Bottura a livello internazionale ha molta più esperienza di me, ha potuto attraverso le sue esperienze e il suo talento mettere a punto concetti e messaggi profondi, oltre ad averli pensati ha potuto metterli in pratica ed essere contagioso in modo estremamente positivo, coinvolgendo le persone che ha intorno. Ognuno quando prende la propria strada fa tesoro di queste esperienze vissute accanto a persone come lui”. Il lavoro dello chef è fatto di opportunità e di scelte quotidiane: “In questi anni aver saputo dire di no a ciò che ritenevamo futile o ricco di distrazioni o dire di sì a persone che con meno possibilità ma grande talento esprimevano qualcosa ci ha fatto pensare che il nostro percorso è stato bello finora, ricco di fatica, di pensieri ma anche di belle opportunità. Dobbiamo renderci conto delle cose belle fatte, altrimenti come molti cuochi continuiamo a pensare che non abbiamo fatto abbastanza e viviamo nel timore di ciò che accadrà”.

Enrico Bartolini e Gabriele Boffa
La gestione dell’errore e delle complicazioni legate al miglioramento delle prestazioni e all’autostima, sono un tema che sta molto a cuore a Bartolini: “occorre avere la lucidità di fare a sé stessi e al proprio team una fotografia reale e oggettiva. Se io so di essere bravo, so anche molto bene di poter non piacere a qualcuno e devo essere cosciente che può accadere che un servizio venga eseguito male. È importante distinguere bene questi tre aspetti. ‘Essere bravo’ significa essere riconosciuti nelle aspettative delle persone che vengono da noi per stare bene, vuol dire avere l’opportunità di esprimersi e non c’è cosa più bella che possa capitare a un cuoco. ‘Non piacere a qualcuno’ mi deve stimolare a migliorare la capacità di ascolto verso le persone e devo provare a piacergli un po’ di più. ‘L’errore di esecuzione’ va affrontato subito, altrimenti si trascura la cosa più importante del nostro mestiere, se il risultato qualitativo non è impeccabile tutto quello che hai fatto prima diventa vano. L’esperienza del pranzo e della cena vanno continuamente testate altrimenti sei esposto a rischi. Cerchiamo di premiare le persone, ascoltando, incoraggiando, motivando, fornendo stimoli per dare il massimo, ma qualcuno alle volte entra in un vortice, gli è stata richiesta più energia di quanto poteva dare e si trova destabilizzato. Va guidato fuori da quella zona di stress e va sostenuto cercando di capire come fare ad aiutarlo”. Sei ristoranti e alcune centinaia di collaboratori impongono un protocollo ben definito nelle assunzioni e una persona dedicata: “vorrei stare tutta la vita con le persone che oggi ho a bordo, ma so perfettamente che non sarà così e ci sarà un turn-over, è inevitabile visto il coinvolgimento emotivo che c’è e gli aspetti psicologici che questo mestiere richiede, allora siamo obbligati a lasciare quella porta aperta. Ogni ristorante ha il suo organigramma completo e in base a eventuali defezioni si scelgono nuovi professionisti da inserire e si rinfrescano le posizioni. Al Mudec abbiamo 8 tavoli e circa 30 collaboratori che si occupano di ufficio, cucina, lavaggio, sala e accoglienza. Arrivano curriculum tutti i giorni, in un anno sono alcune migliaia, e questo ci fa piacere perché lascia intuire che vi sono tantissime persone che amano la ristorazione, ma ognuno ha differenti motivazioni e necessità, c’è chi invia il curriculum a dieci ristoranti, c’è chi sogna di venire a lavorare da noi o è appena uscito da scuola e cerca di capire se questa è la strada giusta o no”. Giocoforza la formazione del personale è fondamentale: “il nostro non è un istituto alberghiero, è un ristorante, dove si cucina a pranzo e cena tutti i giorni. Non può esserci un giorno dedicato alle prove, alla ricerca, agli assaggi, è tutto mescolato, ma nella settimana c’è una pianificazione in relazione alla quantità di lavoro che c’è e a come è distribuito. Ottimizziamo tutte le parti senza trascurarne alcuna, la ricerca ricopre un ruolo determinante, non si può smettere di farla, anche un piatto che è in carta da dieci anni fa parte della ricerca e del laboratorio. Due volte al giorno c’è un breef tra di noi, si parla del lavoro di oggi, soprattutto di quello di ieri, dei difetti del servizio passato, vi sono curiosità e aggiornamenti rispetto al menù e alla pianificazione. In queste ore stiamo pensando un dessert, lo abbiamo provato più volte coinvolgendo tutto il team perché sia consapevole dell’evoluzione che sta avendo, non è ancora pronto, ma lo sarà nei prossimi giorni. Durante l’anno invitiamo professionisti ad aiutarci a scoprire qualcosa del loro mestiere, è venuto un produttore biodinamico che ci ha raccontato qualcosa del lavoro che fa in campagna e di cosa si aspetta che succeda in cucina e viceversa. Il confronto con persone ambiziose come noi è la parte più ricca”.

Enrico Bartolini/Mudec 2017
L’esperienza del viaggio per Bartolini è molto importante: “quello che consiglio sempre, ma occorre tempo, è andare a vedere con i nostri occhi. Lo abbiamo fatto con il team nei mesi scorsi, abbiamo visitato un allevamento di storioni, un’azienda biodinamica, un commerciante di ingredienti di lusso per vedere la sua logistica e la sua selezione. Prima di andare a mangiare in un ristorante stellato, non avevo conoscenza di quali potessero essere le mie aspettative e quali fossero i pregi e difetti di quell’esperienza. Se non provo ad essere nel ruolo della persona che poi voglio soddisfare, che nel nostro caso è il cliente, è difficile che io possa trasmettere i giusti valori al mio team e portarli in una determinata direzione, vivere l’esperienza con gli occhi del cliente nel nostro ristorante e anche negli altri è la parte che ci avvicina di più alla realtà”. Il ristorante è fatto di persone e deve essere capace di accogliere chi vive delle diversità. È un aspetto di rilievo per Bartolini, che sul sociale è molto attento e a tu per tu rivela un lato umano molto profondo: “raccontare le iniziative sul sociale è l’azione meno elegante che si possa compiere, ma può essere utile per favorire la riuscita di una determinata iniziativa. La nostra attività non ci arricchisce, gira tanto denaro, siamo in una fascia protetta di ristorazione dove non manca il lavoro, ma lavorare non vuol dire guadagnare abbastanza da riuscire ad essere generosi come vorremmo, premiando le persone che lavorano con noi e l’esterno. Mi sento in debito verso le persone che ho premiato di più, perché ho ricevuto molto e vorrei fare molto di più verso le onlus. Cerchiamo di essere attenti, ma ci sembra sempre poco, il nostro contributo va a un’associazione che accoglie le persone meno fortunate, fornendo ospitalità ai parenti che hanno un caro all’ospedale, un supporto pensato per chi viene da lontano e deve pernottare. Sosteniamo un’iniziativa milanese che si chiama ‘pane quotidiano’, che ogni giorno regala migliaia di borse della spesa, senza che chi ne usufruisce debba dichiarare il reddito, ci si mette semplicemente in fila e per il mio 40° compleanno ho cucinato per cinquanta persone indigenti. Quando è uscita la legge che superati i quindici dipendenti si doveva assumere una persona con handicap l’avevo vissuta come un’imposizione che non sentivo di poter sostenere e invece poi ho scoperto un mondo ricco di contenuti, molto più vero. Mi sono trovato a confronto con persone più deboli, che avrebbero certamente subito forme di involontario bullismo se si fossero presentate da sole in un ambiente come questo dove c’è agonismo e invece l’aver intorno una persona che ha bisogno di un po’ di più per comprendere gli argomenti, in un ambiente dove di solito questo non succede, è stato molto bello”.
Il nutrito team di Enrico Bartolini ha scelto di percorrere un bel pezzo di strada con lui e di sposarne la filosofia. Abbiamo voluto conoscere meglio i suoi resident chef scegliendo i piatti che simboleggiano la sua idea di cucina e meglio descrivono l’idea fondante di ogni singola location, cercando l’abbinamento enologico più centrato.
LA GALASSIA
Enrico Bartolini
Ristorante Mudec
Milano

Photo credits Paolo Chiodini
Qual è il primo ricordo che ha sulla cucina?
Il croccante di caramello che la mia maestra di asilo ha fatto davanti a me quando avevo tre anni
C’è stato un momento nel quale ha detto a se stesso, voglio fare questo nella vita?
Me lo ripeto ogni giorno da quando avevo 13 anni. Contemporaneamente, ogni giorno, continuo a mettermi in discussione
Cosa racconta con il suo lavoro?
La gioia di scoprire, condividere, viaggiare e conoscere gli artigiani della filiera
Cosa proporrà nel suo menù quando ci sarà la riapertura?
Non vedo l’ora. Il meglio di quella stagione ovviamente. Non mancheranno né i Bottoni olio e lime con salsa cacciucco e polpo arrosto, né il Risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola Evoluzione
Ci saranno dei cambiamenti nel locale?
Sarà ancora più ordinato… E ci sarà una nuova opera d’arte
il piatto
Il risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola

Photo credits Marco Poderi
Un signature per Bartolini, emblema di equilibrio e piacevolezza creato oltre una quindicina di anni fa in Lombardia e pluricopiato. “E’ un piatto richiestissimo, uno dei nostri cavalli di battaglia, comprensibile, originale e popolare, nato traendo ispirazione dall’Oltrepò pavese con ingredienti tipici. Un risotto che quando è nato prevedeva un gioco tecnico, con l’aggiunta della purea di rape rosse per preservare le vitamine, evitare le ossidazioni regalare l’acidità giusta al riso, ed è stato tra i primi esperimenti del genere, esempio di golosità e attenzione tecnica, poi però è diventato in qualche modo noioso, perché tra tutti gli altri piatti era quello meno affascinante dal punto di vista tecnico. Dopo un confronto con il team, si sono aggiunte le noci sottoforma di crema, una spruzzata di essenza di noce e qualche goccia di ciliegie conservate, ed oggi è in carta con la dicitura Evoluzione. Tostare il riso in pochissimo burro e sfumare con il vino bianco. Aggiungere il brodo, il sale e cuocere per circa 11 minuti (non oltre). Togliere il risotto dal fuoco e mantecare con burro e Grana Padano, aggiungere quindi la purea di rape rosse molto fredda e, se il gusto lo richiede, qualche goccia di limone. Quando ben cremoso, stendere il risotto nel piatto e con l’aiuto di un cucchiaio, macchiarlo con la salsa di gorgonzola, precedentemente fuso a bagno maria con poco latte, alternandola alla salsa di amarene; mentre con la salsa di noci creare una sorta di cornice al riso”
il vino
Barolo del Comune di La Morra 2017 Voerzio
Finezza, precisione, costanza, questi sono i primi aggettivi che caratterizzano i vini di Voerzio. Una cantina focalizzata sulla cura del vigneto, incentrata sulla produzione e sulla resa delle viti. Una scelta che può sembrare audace quella di combinare un Barolo ad un risotto così particolare, ma in questo caso il matrimonio riesce alla perfezione, offrendo al nostro palato esplosioni aromatiche legate all’ottimo floreale del vino e al mix dolce/sapido del piatto. Il Barolo in questa veste non gioca un ruolo da protagonista ma è un ottimo gregario che si mette al servizio del piatto, sostenendone la grassezza e la speziatura, accompagnandolo con le sue classiche note di Ciliegia matura e ginepro, andando a fare leva su una struttura monumentale che gli garantisce espressività e profondità, tipica dei vini di questo calibro. Il piacere viene percepito già a livello aromatico, dove la piccola frutta rossa del vino va ad incontrare la speziatura e la succulenza del piatto. Al palato il nebbiolo funge da pacificatore, arrotonda gli aromi e dona, grazie alla sua incredibile freschezza, pulizia e rigore, esaltando a sua volta le note del gorgonzola, evidenziando la mineralità della rapa. Un abbinamento inusuale, un abbinamento da provare.
Marco Galtarossa
Ristorante Casual
Bergamo
Qual è il primo ricordo che ha sulla cucina?
La pasta e fagioli che faceva mia nonna la domenica. C’era un profumo inebriante nell’aria. Mi incuriosiva molto guardarla mentre faceva tutte le preparazioni, da quando tagliava le verdure per il fondo a quando una volta pronta la zuppa la sfumava con un olio alle erbe profumatissimo
C’è stato un momento nel quale ha detto a sé stesso, voglio fare questo nella vita?
È accaduto durante il mio primo stage in cucina a 15 anni, in un hotel di Abano Terme. Conoscevo lo chef perché era il papà di un mio amico, grazie alle sue conoscenze e all’amore che metteva in ciò che faceva, una volta entrato in cucina mi ha fatto innamorare di questo lavoro. Ho iniziato sempre di più ad incuriosirmi e ho capito che era la mia strada e che volevo sapere e conoscere sempre di più su questo mestiere
Cosa racconta con il suo lavoro?
Voglio raccontare il territorio tramite i piccoli produttori locali che ci riforniscono quotidianamente di materie prime stupende, e utilizzare la mia creatività in relazione a ciò che ci offre la natura in ogni momento dell’anno. Sarò sempre legato alla mia terra d’origine, il Veneto, ma voglio inserire contaminazioni dal mondo (dalle fermentazioni all’uso di prodotti giapponesi) per raccontare le mie esperienze in giro per l’Europa
Cosa proporrà nel suo menu quando ci sarà la riapertura?
Ci saranno piatti che abbiamo in carta dal mio arrivo a Bergamo in quanto molto apprezzati e richiesti come il gambero viola, acqua di mele e Caramello di mandorla amara o i mezzi paccheri in salsa di seppia, zotoli e limone nero. Se si riaprirà a marzo tornerà in carta sicuramente il piccione cotto intero con spugnole, mais dolce e ginepro, ma stiamo elaborando altre nuove idee per l’apertura
Ci saranno cambiamenti nel locale?
Non sono previste importanti modifiche al locale, tutto ripartirà nella normalità nell’attesa di riprendere da dov’eravamo rimasti, poi pian piano si vedrà
il piatto
Anguilla glassata, cime di rapa e succo di rabarbaro
L’anguilla proviene dal fiume Sile, pescata e non allevata quindi molto più gustosa. Una volta sfilettata marinare i filetti per 24 ore in una soluzione a base di soia e aceto di riso. Con le pance facciamo un ragù e con le lische uno jus molto aromatico. Al momento del servizio rosoliamo bene i filetti di anguilla e li disponiamo sopra al pane di plancton alternando con del ragout di anguilla ed infine con una gelatina di rabarbaro. Completiamo con cime di rapa sbianchite e crude condite con olio di kombu, senape in grani fermentata ed una salsa a base di centrifuga di rabarbaro emulsionata con colatura di alici ed olio extravergine per dare una nota di acidità e sgrassare il palato.
il vino
Vigna Au 2017 Tiefenbrunner
Tra i vitigni bianchi più importanti dell’Alto Adige, lo Chardonnay ha saputo imporsi sia per la sua capacità di adattarsi ai terreni della regione, che grazie all’interesse e all’abilita dei produttori, che con questa varietà hanno dato vita a vini di straordinaria qualità. Ma le difficoltà a conferire eleganza tramite l’affinamento in legno, in passato hanno creato vini dalle strutture monumentali che non prendevano in considerazione la parte dolce e morbida che questo materiale rilascia al vino, qualche volta creando vini leggermente stucchevoli e scomposti. Nulla a che spartire con l’espressività del Vigna Au di Tiefenbrunner, che si pone senz’altro ai vertici assoluti di questa varietà, lavorato con una punta di riduzione, cercata naturalmente, che spinge lo spettro aromatico su note di frutta gialla croccante in combinazione alla pietra focaia, dando mobilità e dinamismo all’aromaticità del vino. A livello gustativo si percepisce la struttura imponente dello Chardonnay, accompagnata da sentori di legno e frutta, grazie ai quali il vino ottiene una maggiore complessità e piacevolezza. L’acidità e la morbidezza danno profondità al vino e sono un ulteriore carta da poter giocare con abbinamenti impegnativi come l’anguilla, un piatto che con la freschezza e l’eleganza del Vigna Au si abbina perfettamente.
Bruno Cossio
La Trattoria Enrico Bartolini all’Andana
Castiglione della Pescaia
Qual è il primo ricordo che ha sulla cucina?
Tanti frutti brasiliani… sono cresciuto a San Paolo (mia mamma è brasiliana e mio papà italiano), mia madre mi faceva sempre mangiare tanta frutta fresca e sono i miei primi ricordi legati alla cucina
C’è stato un momento nel quale ha detto a se stesso voglio fare questo nella vita?
Mentre ero ancora in Brasile da ragazzo a San Paolo c’è stato un vero e proprio boom nella ristorazione, la nouvelle cuisine stava esplodendo e lo chef stava diventando una figura molto richiesta… in quel momento ho deciso di iscrivermi alla scuola alberghiera per diventare cuoco e ho scelto di venire in Italia (dove viveva appunto mio papà) patria mondiale della cucina. L’obiettivo era diplomarmi e tornare in Brasile… poi un lavoro tira l’altro e sono rimasto qui, sono in Italia da 23 anni
Cosa racconta con il suo lavoro?
Tanti ricordi. Nei miei piatti uso tanti frutti, anche brasiliani, come il frutto della passione, il mango… tanti sentori e ricordi legati appunto alla mia infanzia e adolescenza. Ciò che porto nel mio lavoro è la mia formazione: lavorando ad ALMA ho studiato tantissimo, dalla cucina classica alla cucina italiana; una volta apprese le basi, mi sono permesso di modificare alcune ricette classiche: per esempio, nella salsa olandese, anziché usare una bagna acida, uso il frutto della passione, senza acidità… racconto quello che sono io: un po’ classico, un po’ fusion
Cosa proporrà nel suo menù quando ci sarà la riapertura?
Sicuramente i piatti che sono andati alla grande nella stagione scorsa (per me il primo anno a La Trattoria a L’Andana). È stato un anno faticoso nel quale abbiamo avuto un boom inaspettato di clienti… non solo stranieri che hanno scelto il resort per le vacanze, ma anche tanti italiani e tante persone del territorio che hanno scelto di cenare al ristorante anche senza prenotare la stanza. Aggiungerò sicuramente qualche piatto nuovo, ora che ho assimilato il territorio e il luogo: ispirandomi ai sapori e ai profumi resinosi che ci sono nella Maremma e nel Grossetano, penso al rosmarino, al ginepro, al mirto, al pepe, sentori che esprimono la macchia mediterranea e i suoi sentori di bosco fitto. Siamo tra la montagna e il mare con prodotti di eccellenza, come le verdure. Quest’anno realizzeremo un orto per erbe e verdure e stiamo collaborando con un’azienda di Siena che fa selezione di piante e semi antichi. I piatti seguiranno tutti una linea classica con ingredienti del territorio, ma anche legati alle mie origini
Ci saranno cambiamenti nel locale?
Apporteremo piccole variazioni al tovagliato, andando su toni più tenui e poi rifaremo tutta la linea di stoviglie e arredo tavola. Abbiamo fatto uno studio molto approfondito con lo Chef Bartolini per riuscire a dare un sentore di trattoria toscana ma con grande classe, quindi le nuove collezioni di piatti e stoviglie che abbiamo scelto sono certo che saranno una bella novità per il ristorante
il piatto
Insalata di gamberi, erbe selvatiche, rafano e lamponi
Una volta condita l’insalata riccia con la salsa al rafano, ottenuta sobbollendo latte e rafano, aggiungere un leggero sentore di limone grattugiato e stendere nel piatto assieme al radicchio. Spadellare velocemente i gamberi in padella con olio evo per circa 20 sec a fuoco alto, adagiarli sull’insalata, condirli con la salsa di gamberi, ottenuta tostando le teste e sfumando con cognac e distribuire le erbe di campo (acetoselle, oxalis, finocchio di mare, bietoline, nasturzio, senape e cerfoglio) vicino ai gamberi.
il vino
Champagne Bruno Paillard BDB
Il Blanc de Blancs di questa importante maison nasce con le migliori annate, provenienti dai più vocati appezzamenti della Cote des Blancs di proprietà Bruno Paillard. La sua composizione comprende l’assemblaggio di ben venticinque annate differenti per i vini di riserva, lasciati a riposare almeno quattro anni sui lieviti con un ulteriore affinamento in bottiglia post-sboccatura di almeno 10 mesi. Uno champagne di personalità che grazie alla sua cremosità e alla spinta acida e fresca sul palato, racchiude grande potenza ed eleganza e lo pone come compagno di viaggio ineludibile anche negli abbinamenti più complessi. Un’abbinamento in perfetta armonia anche con l’Insalata di gamberi, erbe selvatiche, rafano e lamponi, sostenendo la parte acida e grassa del piatto ed esaltando le note di frutta matura assieme alla rotondità del lievito e al ricordo di burro fuso, in un connubio fine e piacevole, che esprime grande bevibilità e piacevolezza.
Gabriele Boffa
Locanda Sant’Uffizio
Cioccaro di Penango (Asti)

Photo credits Fiorenzo Calosso
Qual è il primo ricordo che ha sulla cucina?
Il mio primo ricordo in cucina è a casa dei miei nonni. La mattina presto mia nonna si alzava e preparava la pasta fresca e mio nonno portava in tavola il coniglio o il pollo, allevati da loro, per cucinarli
C’è stato un momento nel quale ha detto a se stesso, voglio fare questo nella vita?
Durante il secondo anno d’istituto alberghiero ho realmente capito che avevo le caratteristiche necessarie per potermi esprimere al meglio, in un luogo magico e ricco come quello in cui vivo e lavoro oggi
Cosa racconta con il suo lavoro?
Una cultura e una storia gastronomica, fatte di punti di vista e qualità diverse, con cui ogni cuoco sceglie di interpretare la cucina. È su questo che si basano la nostra diversità e la nostra profondità
Cosa proporrà nel suo menu quando ci sarà la riapertura?
Quando riapriremo continueremo a lavorare come abbiamo sempre fatto, cercando di crescere e migliorare costantemente ogni giorno
Ci saranno cambiamenti nel locale?
Non sono previsti cambiamenti particolari
il piatto
Anguilla in insalata di foglie affumicate, pomodoro secco e gin all’oliva taggiasca
L’anguilla viene pulita eliminando la pelle e sfilettandola a libro. Viene poi marinata per circa 2 ore, in seguito arrotolata e cotta a vapore per circa 45 minuti in base alla dimensione e raffreddata. Lasciamo in infusione nell’olio di vinacciolo per 2 ore a 80 gradi alcuni pezzi di aringa affumicata. Cuociamo in forno a 200 gradi i pomodori cuore di bue, mettiamo l’acqua di pomodoro in infusione per 24 ore, per raggiungere una densità simile a quella di un fondo di carne. Lasciamo i pomodori secchi in infusione con olio di vinacciolo e coliamo per ottenere un olio aromatizzato che andremo ad emulsionare con il fondo di pomodoro ridotto. Condiamo le foglie con l’olio di aringa affumicata ed il gin alle olive taggiasche, adagiamo nel piatto le fette di anguilla tagliate a 0,5 cm solamente lucidate con la loro gelatina di cottura. Sistemiamo le foglie sparse sul piatto e finiamo con l’emulsione al pomodoro secco e vaporizziamo sul piatto ancora il gin.
il vino
Corton Charlemagne 2017 Louis Latour
Un vigneto storico di 11 ettari di proprietà dove è stata scritta la storia dello Chardonnay in Borgogna. Louis Latour, famoso Negotiant borgognotto a cui si deve la nascita del celeberrimo Grand Cru, concentrerà la sua ricerca dedicandosi alla qualità dei vini, all’aspetto agronomico del suo lavoro, alla cura dei vigneti e alla produzione di uva, conferendo alle sue numerose etichette, dalle più semplici alle più importanti, una perfezione stilistica senza pari. La particolare struttura calcarea che caratterizza il colle di Corton-Charlemagne infonde nel vino una mineralità unica, percepibile sotto forma di pietra focaia, note di gesso e tramite lo spettro aromatico del vino, non solo analizzando la parte gustativa e l’effetto della mineralità sul nostro palato. La parte di profumi primari è caratterizzata da una mela verde e gialla assieme a dei sentori agrumati, mandarino e lime, unito a note di burro fresco e crema pasticcera, che navigano sul finale dando profondità e morbidezza. A livello gustativo questa tipologia di vini si potrebbe impiegare per classificare la percezione della mineralità all’interno di un vino, essendo estremamente presente. Rotondità e piacevolezza non sono da meno e proprio grazie a queste due ultime caratteristiche riusciamo ad abbinare Il Corton-Charlemagne alla parte verde del piatto, che non di rado può rilasciare parti amare e acide.
Juan Camilo Quintero
Poggio Rosso
Castelnuovo Berardenga

Photo credits Cristian Parravicini
Qual è il primo ricordo che ha sulla cucina?
Quando ero piccolo nel fine settimana a casa mia si comprava il mais ‘peto’, una varietà dal colore bianchissimo, che veniva utilizzato bollito per preparare diverse ricette. Ricordo come dopo la cottura mia madre o mia nonna mi chiedevano di aiutare a macinarlo con un attrezzo metallico simile ad un tritacarne, ma era manuale e con un meccanismo a spirale che mi permetteva di macinare i chicchi già resi morbidi dalla cottura facendo fuoriuscire un impasto soffice bianco latte. Questo impasto serviva per preparare una sorta di pane quotidiano Colombiano, la ‘arepa’ con la forma piatta o rotonda, tipo tigella per intenderci, ma di mais
C’è stato un momento nel quale ha detto a sè stesso, voglio fare questo nella vita?
Quando avevo 18 anni e studiavo al secondo anno di ingegneria gestionale, una volta mi sono avvicinato ad una scuola di cucina per un corso breve da appassionati. Non appena ho messo piede là dentro, ho visto le cucine e il piano di studi e mi sono domandato se dentro di me non ci fosse il desiderio di trasformare quell’hobby in un mestiere. Il semestre successivo mi sono scritto al programma e ho abbandonato ingegneria. Più stavo in cucina e imparavo e più ero felice. Sono passati 12 anni da allora e ogni passo successivo mi ha confermato che quella è stata la scelta giusta da portare avanti con determinazione e passione. Mi soddisfa al punto tale da non poter pensare di fare altro
Cosa racconta con il suo lavoro?
Parlo della mia storia, in quanto sono nato in Colombia e da 10 anni vivo in Italia. Durante la mia permanenza qui ho studiato, viaggiato e assaggiato il meglio che questo paese ha da offrire, dal Piemonte alla Sicilia. Se non sei di qui, guardi le cose in un modo obbiettivo e non nostalgico e quindi posso dire che la genesi delle mie ricette si origina dall’ammirazione e dal rispetto che ho verso i prodotti e la ricchezza gastronomica che trovo in Toscana e in Italia e dall’altra parte dal desiderio di mescolare sfumature e sapori esotici che richiamano alle mie origini e sono il mio Dna
Cosa proporrà nel suo menu quando ci sarà la riapertura?
Lavoriamo in una direzione chiara, il miglioramento progressivo della proposta, perciò i piatti più apprezzati rimangono con alcuni cambiamenti che vengono decisi dopo avere sperimentato a lungo. Allo stesso tempo l’Italia è così ricca che capita sempre di trovare un nuovo produttore o di imbattersi in qualcosa di ‘nuovo’; spesso per me le novità sono nel passato e quindi si progetta un piatto da includere in carta o menù degustazione. Ma anche i viaggi in Colombia mi arricchiscono sempre, e sicuramente il nuovo menu ne terrà conto
Ci saranno cambiamenti nel locale?
Nel 2020 il Ristorante Poggio Rosso è stato oggetto di un’importante ristrutturazione della sala, in continuità con un progetto di ristrutturazione complessiva che nell’arco di tre anni ha toccato l’albergo nella sua totalità, dalle camere, alla Botanic SPA fino alle parti comuni. Con il mio arrivo a Borgo San Felice e in collaborazione con lo Chef Bartolini, abbiamo sentito la necessità di portare un rinnovamento non solo attraverso la proposta gastronomica ma anche con una diversa interpretazione dell’ambiente, per esprimere modernità e anima chiantigiana nelle giuste ‘dosi’ e in maniera coerente. Il 2021 porterà anche qualche nuovo dettaglio d’arte e oggetti d’arredo e di design
il piatto
Fior di manzo mediterraneo
Disponiamo in un coppa pasta la tartare di manzo, ottenuta da un filetto a dadini condito all’ultimo momento con grasso di manzo arrostito, erba cipollina, senape, olio evo e gocce di acqua gasata. Aggiungere maionese di acciuga e ricoprire con lamine di carpaccio al limone, terminare con petali conditi con buon sale, olio e polvere di origano. Sopra decoriamo con punti di pure di pomodoro alla maggiorana e disponiamo qualche foglia piccante di senape o nasturzio. Come contorno mettiamo accanto all’osso fritto un mezzo cilindro di ponzu saporitissima, ricavata con lo stesso cava torsolo usato per l’osso.
i vini
Monteverro 2016 Monteverro
Nel 2008 a Capalbio, nel cuore della Maremma, nasce la prima annata di Monteverro e oggi, dopo 12 anni da quella prima vendemmia, viene messa in commercio l’annata 2016. Un evidente evoluzione stilistica dagli albori ad oggi che ci parla di eleganza e finezza raggiunti tramite l’esperienza e la voglia di mettersi in gioco dell’enologo Matthieu Taunay, coadiuvato da un altro BIG dell´enologia mondiale, Michel Roland, consulente esterno della cantina. Il Monteverro é un tipico taglio bordolese, con focus sui due Cabernet, il Sauvignon e il Franc, accompagnati dal Merlot e il Petit Verdot. Il processo di affinamento lungo e costante, prevede 48 mesi tra legno e bottiglia e conferisce rotondità e stabilità al vino. Il bouquet ricco di profumi di frutta rossa e nera matura, si caratterizza per una leggera nota floreale che riesce a garantire freschezza e slancio aromatico al vino dando la possibilità ad esso di mantenersi dinamico e vibrante. Al palato il Monteverro esprime le classiche note territoriali maremmane, la potenza di frutto, il gioco con il legno, la macchia mediterranea e un sentore speziato di te nero ed eucalipto che lo rende inconfondibile, tutte caratteristiche dovute alla grande abilità di vinificazione dell’enologo e anche alla cura maniacale dei vigneti, sappiamo benissimo quanto sia importante per fare un grande vino l’uva perfettamente matura e le maturazioni fenoliche e fisiologiche portate a termine. I tannini sono presenti e strutturati, quasi salati, l’acidità porta il vino alla verticalità e ci predice la possibilità che quest’ultimo avrà per maturare nel tempo. Un abbinamento azzeccato, di grande soddisfazione.
Ornellaia 2018 Tenuta dell’Ornellaia
Come non includere uno dei vini storici toscani, che assieme ad un pugno di altri Bolgheresi sono riusciti a portare questa zona all’apice della fama riuscendo a collocarla allo stesso livello delle più importanti regioni vitivinicole internazionali. La 2018 per Ornellaia è stata un’annata classica, dove il grande vino è riuscito comunque a esprimere il meglio di sé, in termini aromatici ma anche strutturali. Questa famosa cuvée, rientra tra quelle che ogni appassionato deve assaggiare almeno una volta nella vita e assaggiandola, a mio punto di vista, deve focalizzarsi sull’eleganza e la finezza che Ornellaia riesce a esprimere e mantenere costante nel tempo. L’Abbinamento con il manzo è d’obbligo, proprio per far risaltare l’aromaticità del vino, sottolineando la frutta rossa e la spezia a trama quasi orientale, acidità e tannini si combinano perfettamente con questi piatti, riuscendo a rendere omogenee le sensazioni e i gusti mantenendo nitida la percezione di entrambe i protagonisti. Un vino ancora molto giovane che comunque riesce a soddisfare pienamente il palato in degustazione. Comprensibile la scelta della cantina di definire l’annata 2018 con ‘La Grazia’, aggiungerei prepotentemente anche eleganza e piacevolezza.
Donato Ascani
Glam
Venezia
Qual è il primo ricordo che ha sulla cucina?
Tutti noi abbiamo una mamma o una nonna grande cuoca, io sono ancora più fortunato perché ho avuto anche mio padre che tutt’ora fa il cuoco nel ristorante sotto casa di proprietà di mio zio dove sin da piccolo trascorrevo il mio tempo. Il mio primo ricordo è legato proprio alla mia mamma che, con una semplicità straordinaria, impastava la pasta a mano sul grosso tavolo di marmo di casa
C’è stato un momento nel quale ha detto a se stesso voglio fare questo nella vita?
Frequentando la scuola alberghiera e iniziando a lavorare nella grande hotellerie di Fiuggi mi sono reso conte che il lavoro del cuoco sarebbe stato il mio lavoro
Cosa racconta con il suo lavoro?
Il mio obiettivo è raccontare attraverso i miei piatti il mio pensiero di cucina: i miei ricordi da bambino e le esperienze con gli chef di cui sono stato commis, capo partita e collega, mi hanno sicuramente indirizzato e formato in quello che oggi è il mio modo di esprimere e vedere la cucina
Cosa proporrà nel suo menù quando ci sarà la riapertura?
Non vedo l’ora di tornare ogni mattina al mercato e confrontarmi con tutte quelle persone che fanno questo lavoro in modo esemplare e con tanto amore. Nel menu della riapertura sicuramente proporrò, come già facevamo prima delle chiusure, i grandi prodotti della laguna tra cui i pesci e le verdure primaverili che si trovano nelle isole intorno a Venezia. La laguna veneta ha delle risorse artigianali che difficilmente si trovano in altre zone d’Italia, il mercato di Rialto è fatto di persone che come me amano i grandi ingredienti e le materie prime locali, come ad esempio le castraure e le erbe spontanee delle volte che hanno una sapidità rara. La mia ricerca sui prodotti veneziani non finisce mai. Quando assaggio nuovi ingredienti, provo sempre nuove sensazioni. Con il team di cucina e di sala faremo il possibile per ripartire subito con lo stesso entusiasmo con il quale abbiamo lasciato a novembre
Ci saranno cambiamenti al locale?
Non cambierà, ripartiremo esattamente dove abbiamo lasciato. Abbiamo otto tavoli nella parte interna e la fortuna di avere a disposizione un giardino, fra i pochissimi a Venezia, affacciato sul Canal Grande: nella bella stagione è tutto fiorito ed è meraviglioso
il piatto
Seppia affumicata al mirto
Pulire le seppie separando la testa dal corpo, mantenendo i fegati. Preparare i cavolfiori nel cartoccio di stagnola con vino bianco, aceto rosso, olio extravergine, pepe, aglio e sale maldon e cuocere in forno a 140° per 4 ore. La salsa va preparata montando l’albume con la riduzione e l’olio di semi e regolando di sale con il nero di seppia. Cuocere la seppia prima arrostita in padella e poi terminata in forno affumicandola col mirto. Comporre il piatto con la salsa alla base.
il vino
E.Knoll Riesling Smaragd Ried Schütt 2019
Emmerich Knoll, da sempre uno dei produttori austriaci più affermati, ha realizzato i suoi gioielli enologici rivolgendosi principalmente a due vitigni, il Riesling e il Grüner Veltliner. Situata nella Wachau, una regione attraversata dal Danubio che gode di condizioni climatiche particolarmente favorevoli, la cantina E.Knoll rientra tra i produttori storici austriaci, essendo in attività dal 1962. Il Riesling Smaragd ‘Ried Schütt’, proveniente dalla omonima zona, è considerato una delle punte di diamante dell’azienda. Allevato su terreni ricchi di pietra, calcaree e in alcune zone di argilla, riesce ad esprimere la varietà e la stilistica della Wachau in modo impeccabile. Molto spesso mi capita di utilizzare questa tipologia di Riesling per descrivere le note caratteristiche di questo vitigno, concentrandomi in un primo step sull’importante aromaticità e la tipologia di aromi, dalla pesca bianca, all’albicocca, dalla croccantezza delle note agrumate, fino ad arrivare alla dolcezza di quelle di miele e caramello. Al palato questi vini sfoderano un’acidità importante, composta e delicata, ma allo stesso tempo monumentale, grazie alla quale aumentano esponenzialmente il loro potenziale d’invecchiamento. Un abbinamento stimolante e non semplice quello con la seppia, che è un ingrediente estremamente delicato e arricchito dall’affumicatura necessita di un vino che possa accompagnarla senza nasconderla, dando anzi la possibilità a entrambi di risaltare le proprie qualità e caratteristiche.
enricobartolini.net
Cover: Enrico Bartolini e Sebastien Ferrara