MARCO AMBROSINO, COLLETTIVO MEDITERRANEO
Può una nave salpare da Milano, percorrere i Navigli e far rotta verso il Mediterraneo? Sì se a capitanarla è Marco Ambrosino chef del 28 posti, che in questi anni ha sempre saputo indirizzare il vento a favore della sua cucina identitaria e profumata di tutte le sfumature che riesce ad avere la salsedine.
Un porto sicuro quello di via Corsico che assomiglia a una “casa di pescatori”, passandomi il termine: legno chiaro che rimanda alle terre del Nord Europa, oggetti vintage di tutti i giorni, fotografie appoggiate qua e là a ricordare il senso etico che sta a monte del progetto. Il 28 posti è, infatti, il risultato di una collaborazione con il carcere di Bollate, che ha permesso ai detenuti di ricostruirsi attraverso l’apprendimento di un lavoro nuovo, e artisti locali di Nairobi che riciclano oggetti dando loro nuova vita.
Un risultato vincente che fa subito sentire accolti e pronti a sperimentare una cucina che, se all’inizio poteva sembrare d’avanguardia, ora è stabile in un concetto decisamente più ampio. Al commensale viene chiesto di fidarsi attraverso tre menù degustazione su cui il ristorante punta molto. La scelta ha senso nel momento in cui ogni opzione, che sia di 5, 8 o 10 portate, sarà un viaggio indimenticabile attraverso il Mediterraneo.
Gioca con le ostriche, le cuoce alla brace e le abbina all’acqua di orzo fermentato, all’alga codium e al grasso di anatra ma lo stesso fa con il pomodoro San Marzano, limone, crema di mandorla e tartufo nero per un sapore prettamente casalingo in un riuscito mix di mare e terra.
L’olfatto ha un ruolo fondamentale: tutti odori della memoria sospinti dal vento in un pigro pomeriggio di tardo settembre. Sono i profumi della macchia e delle erbe aromatiche, è l’odore del bagnasciuga delle prime ore del mattino e contemporaneamente quello che si intrufola tra le viuzze arroccate dei piccoli borghi. E’ persino l’aroma del bucato steso al sole, quello che fa sorridere appena ti raggiunge, e l’indimenticabile affumicatura della brace che stimola la fretta del ritorno a casa.
Appena seduti, ci si accorge di essere ospiti di una tavola larga e generosa, una di quelle che accolgono un numero non ben definito di commensali. Eccolo il collettivo mediterraneo che è tanto a cuore allo chef: è un pensiero, sono i profumi sopra citati, è una musica gitana che sfugge da una finestra aperta e la sensazione palpitante di un cuore comune che pompa lo stesso sangue.
Soprattutto sono i gesti del cibo a identificarne la filosofia. C’è la pagnotta messa a disposizione per essere spaccata con le mani e donata in un gesto quasi sacrale, se non fosse per quel burro di accompagnamento che subito rende i pensieri più lussuriosi e inclini ai peccati della gola.
C’è l’agnello che viene preparato come si prepara un prosciutto, accompagnato da un ragù di interiora e una pizza alle acciughe. Bisogna prendere un po’ di tutto e adagiarlo su quest’ultima per goderne senza vergogna.
Ci sono i piatti del recupero e della cultura contadina, come la pasta del giorno prima o lo spaghetto cotto nell’acqua della stessa, fermentata, e servito con polvere di miso di ceci. C’è tutto ciò che non è nulla di nuovo, ma andava messo sotto i giusti riflettori, una filosofia che va oltre il cibo e arriva alla condivisione della multiculturalità attraverso un portale, “Collettivo mediterraneo” per l’appunto, che vedrà la luce nelle prossime settimane.
La tavola non è altro che il luogo dove conversare di argomenti differenti e forse, il trait d’union per approfondire esperienze e punti di vista differenti. È un po’ come girarsi e captare le conversazione degli altri commensali: e ti accorgi che parlano di arte, antropologia, ricette che si sono perse nella notte dei tempi, della sostenibilità anche.
Tutti argomenti diversi, ma con una lingua comune.
28posti.org
Photo credits Marco Varoli