DA MASSIMO A RUBIERA, IN “MEZZO AL GUSTO”
Rubiera, l’antica Herberia, dal celtico her-beria “in mezzo alla pianura”, cittadina famosa ai più per la Clinica Gastronomica Arnaldo, insegna luculliana storica e stella Michelin più longeva, sorta di fronte a ciò che rimane del Forte, un maniero fatto erigere nel Medioevo a difesa dell’abitato e della vallata del fiume Secchia, l’antico Gabellum annoverato da Plinio. Ma non è l’unica meta gastronomica nella cittadina reggiana, accanto alle rive verdissime del torrente Tresinaro, c’è la Trattoria Da Massimo, un’insegna che in soli quattro anni è entrata nelle agende dei più consumati gourmet per la qualità della cucina, la cantina ampia e l’affabilità dei gestori. Luca, figlio di ristoratori originario di Cervia e Martina, avvocato di Rubiera, uniti nel lavoro e nella vita, propongono una cucina elegante ma di soddisfazione, con una carta che unisce idealmente Emilia e Romagna.
L’insegna, rilevata dai due giovani nel 2019 e aperta come Gattopardo circa trentacinque anni fa, è quanto di più accogliente possa esservi, pavimenti in legno, carta da parati a quadrettoni, elementi di arredo che ti fanno sentire a casa, il lunario romagnolo, l’affettatrice Berkel, insieme a una mise en place sobria ed elegante, dove si può godere di una cucina di grande piacevolezza, dalle riuscite contaminazioni, ispirata alla tradizione regionale italiana. “Ci siamo conosciuti in Riviera più di quindici anni fa, quando Martina veniva in vacanza in Riviera, ma poi ci eravamo persi di vista” racconta Luca, “fino a una sera, quando andai a cena da Gianni D’Amato a Reggio Emilia al Caffè Arte e mestieri e mi sembrò di vederla, cosi qualche giorno dopo le telefonai. Non era lei quella sera, ma riprendemmo a frequentarci e nel 2019, conclusa l’esperienza alle Ghiaine di Cervia, il locale della mia famiglia, decisi di trasferirmi a Rubiera. Cominciammo a pensare a un locale e dopo averne visti alcuni rimanemmo colpiti dal ristorante Da Massimo che poi rilevammo. Lo abbiamo ristrutturato senza stravolgere, ci piaceva quell’atmosfera di trattoria di campagna, aggiungemmo solo un tocco di colore e di contemporaneità insieme al dehor esterno che non c’era”.
La clientela si modifica, quella proposta che parla di Emilia e di Romagna piace, la piadina in un cestino al posto del pane, le lasagne, le tagliatelle, le carni cotte a puntino, e poi i fuori menù stagionali, con i galletti, i porcini, i tartufi bianchi e neri, l’asparago, il carciofo, le diverse varietà del cavolo, coniugati a un salume o a un formaggio del luogo o viceversa una pasta non regionale, sposata a un prodotto emiliano. I clienti capiscono il cambio di passo e arrivano dalle città vicine, da Carpi, Sassuolo, Modena, Reggio Emilia, per cercare piatti autentici che in molte case non si cucinano più.
“Ci diverte giocare con la territorialità, incrociando culture gastronomiche di diverse regioni d’Italia, ma sempre cercando di lavorare carni della nostra regione o della provincia, dalla Mora Romagnola, al maiale pesante parmense, al maialino di Canossa, insieme all’olio di Brisighella, ai prosciutti di Gazzolo Langhirano, alla mortadella Bologna, ai salami di Lusetti, alla verdura e alla frutta di un contadino di Cesena e naturalmente al formaggio di Fossa e al Parmigiano Reggiano”. La cantina dispone di quasi 700 etichette, ed è uno dei punti forti. Viene resa fruibile da due carte: quella ufficiale, che conta 245 etichette e ha una stilistica confort, ma è più statica, aggiornata ogni due mesi, destinata al cliente che ha una cultura enologica media, dove trovano posto anche una quarantina di etichette del nostrano Lambrusco; e quella ufficiosa, con più di 450 etichette, una carta aggiornata settimanalmente che si muove velocissima, escono ed entrano bottiglie continuamente ed è il livello superiore, quello riservato ai cultori. Due carte sequenziali, dove la maggior vendita è certamente indirizzata sulle bollicine, con il Lambrusco che è il più richiesto e se la gioca con lo Champagne; tuttavia, non è difficile che se emerge un interesse su un grande vino rosso individuato nella carta ufficiale, poi si prosegua con la carta ufficiosa dove c’è una scelta decisamente più ampia e ricercata.

Coniglio in casseruola
La specializzazione sulla carne è uno dei motivi per venire qui, con la fiorentina e il Tomahawk di Scottona ai ferri, sempre presenti, insieme alla “ciccia del giorno”, alle lombate di Marchigiana o di Romagnola, al filetto di Angus irlandese, alla Picanha, tagli di carne lasciati a frollare il tempo che serve, acquistati settimanalmente. Anche il resto della carta ha dei picchi notevolissimi, con i primi sempre calibrati sul periodo stagionale più adatto, a partire dai sontuosi cappelletti in crema di pecorino di fossa di Sogliano, aceto balsamico invecchiato e ristretto di Lambrusco, inamovibili; o il risotto Carnaroli mantecato con burrata, dressing di pomodorino alla brace, basilico fresco, acciughe del Cantabrico, proposto in questo periodo.

Cappelletti in crema di pecorino di fossa

Sformatino di asparagina
Sedersi qui è immergersi in un’esperienza di totale appagamento, per molti motivi, a partire dal clima affabile e dalla sopraffina cucina. L’intento che anima ogni ristoratore di indurre il cliente a ritornare, qui si può dire pienamente realizzato. E allora ecco lo sformatino di asparagino, senza farina (anche per celiaci), con crema di Pecorino Scoparolo di Romagna e cialda alla pancetta, in autunno preparato con la zucca; gli straordinari e opulenti gnocchetti di patate gratinati con crema di taleggio, un velo di Parmigiano e porcini spadellati con odori, terminati in forno e serviti in cocote, ormai un signatur dish del locale; inarrivabile il coniglio arrosto in casseruola, della nonna di Luca, pulito, tagliato, cotto a bassa temperatura, con erbe aromatiche e aglio per 4 ore ½, e poi finito in forno ad arrostire con peperoni e pomodori; per concludere con il monumentale gelato di crema mantecato al momento, a base di latte e panna della Val di Stura.
trattoriadamassimo.com
Photo credits Krescendo