ODE ALLA TAGLIATELLA
Nelle pieghe della storia la pasta ha sempre goduto di una particolare attenzione, stimolando la curiosità di estimatori di rilievo di ogni ordine e grado. Tra il I° e II° secolo Apicio ne parla nel De re coquinariae; nel medioevo compaiono maccheroni e ravioli nel Decamerone del Boccaccio e nel testo miliare di Maestro Martino da Como; di gnocchi e polenta ci parla Teofilo Folengo nel Baldus; e nei secoli successivi ancora Goldoni, Leopardi, Prezzolini, Artusi, tutti sempre con un certo entusiasmo, tranne Filippo Tommaso Marinetti che metterà la pasta asciutta al bando, ritenendola letale per la linea. La cucina regionale del Belpaese ha prodotto piccoli capolavori di artigianato in questi secoli, con innumerevoli paste diverse, ognuna foriera di una propria unicità e di un pensiero orgogliosamente local. In Veneto ci sono i bigoli, nelle Marche i maccheroncini di Campofilone, in Alto Adige i canederli, in Valtellina i pizzoccheri, in Lombardia il risotto alla milanese, in Toscana la pappa con il pomodoro e in l’Emilia-Romagna la tagliatella, un piatto che più di altri identifica la convivialità della tavola di una regione, che dopo l’alluvione dei giorni scorsi, vive un periodo difficile e sta cercando di tornare alla normalità.
Il volume Ode alla tagliatella, scritto da Andrea Veronese per Edizioni Minerva, ci guida alla scoperta delle insegne più meritevoli dell’Emilia-Romagna, che più sono attente nel preparare questo piatto evocativo di incontri piacevoli. 100 insegne dove si cucinano le tagliatelle in modo sopraffino, assaggiate e recensite andando alla ricerca di quella perfetta, da Parma a Forlì, dalla montagna alla Bassa, dall’Adriatico al Po, soffermandosi sulle dimensioni della pasta, che in Romagna è un po’ più larga e spessa, rispetto all’Emilia, disquisendo su consistenza, corpo, rugosità, cotture, entrando nel vivo del ragù, più liquido, più denso, con più o meno carne, verdure, pomodoro, non senza documentarsi sulla storia del locale, sul gestore e sulla sua filosofia. Senza alcuna preclusione o snobismo di sorta sono censiti ristoranti eleganti, trattorie, osterie, piole, circoli Arci e tutti i cuochi sono sullo stesso piano, ma esclusivamente se la tagliatella che propongono è davvero da Champions League. “Ho raccolto in queste pagine le memorie e le impressioni di quasi cinque anni di scorribande per l’Emilia-Romagna” racconta l’autore “gite in auto, in motocicletta, a volte in treno, spesso con la compagnia di amici e qualche volta da solo…lo confesso le tagliatelle mi piacciono da morire…si parla di tagliatella da Modena in giù, verso l’Adriatico. Bologna è certamente la capitale, ma certe punte di qualità come in Romagna è difficile trovarne altrove”.
Nel panorama già ampio delle guide gastronomiche, la pubblicazione che ci accompagna alla conoscenza di un piatto dato un po’ per scontato, che invece richiede una preparazione accurata e nasconde dogmi che non lasciano scampo all’improvvisazione. Tuttavia, è un libro dove non si parla solo di tagliatelle, è un pretesto per raccontare i luoghi, i ricordi legati ad essi, il paesaggio, le stagioni e c’è anche spazio per una dedica speciale allo scrittore finalese Giuseppe Pederiali scomparso nel 2013, che l’autore doveva conoscere bene. Classe 1949, Andrea Veronese è laureato in architettura, è stato imprenditore e assessore della provincia di Ferrara, mentre oggi si occupa di giardini. La casa editrice é Minerva di Argelato, guidata dalla famiglia Mugavero, da sempre sensibile a temi che connettono il territorio alle sue tradizioni. La ristorazione romagnola, di cui non si parla particolarmente, perché sono tante le criticità impellenti da risolvere in quei luoghi alluvionati, vive allo stesso modo del comparto produttivo momenti drammatici. Tuttavia, mai come ora la gastronomia può dare una mano a superare le difficoltà che stanno vivendo quelle aree falcidiate dall’alluvione. Un libro può essere utile e anche noi. Nei luoghi dove i ristoranti, le trattorie, gli hotel, sono agibili e a regime, perché non programmare una breve vacanza o una semplice cena, saremo più vicini a quelle popolazioni.
Ed ecco alcune segnalazioni tratte dal volume, in cui abbiamo cenato anche noi, in alcuni casi più volte, e nelle quali la tagliatella è un dogma assoluto, ma c’è anche qualche altro piatto che vale il viaggio. Si comincia con Parma che non è patria di tagliatelle, ma di tortelli e anolini: tuttavia in una minuscola frazione nei pressi di Fidenza, c’è l’Osteria di Fornio, dove Cristina Cerbi animata da una passione rara, prepara una tagliatella casareccia di notevolissima qualità, condita con pasta di salame strolghino di maiale nero e parmigiano abbondante. L’altro piatto sono gli antipasti a base di culatello e soprattutto le Mezze maniche con ripieno di parmigiano doppia stagionatura, in brodo di cappone (inarrivabili).
A Rubiera, nel reggiano, c’è Arnaldo – la Clinica gastronomica, la stella più longeva della penisola, aperta dal 1936, che in un ambiente storico e accogliente esprime una tagliatella al ragù aristocratica ma succulenta, verde, un po’ larghina, “con il monticello di ragù nel mezzo”, a ricordare la versione romagnola. Per l’altro piatto è d’obbligo affidarsi alla memorabile Spugnolata, una lasagna con funghi e Parmigiano e all’opulento carrello dei bolliti e degli arrosti, uno dei pochi rimasti in circolazione.
Nel cuore di Modena, in quello che era il quartiere delle osterie, in piazzetta San Giacomo c’è la Zelmira, un ristorante che alterna piatti della tradizione a menù stagionali, guidato dalle mani femminili di Mariagrazia. Qui la tagliatella è da provare assolutamente, dorata, spessa, ruvida, generosa nell’impiattamento e nel ragù, per proseguire con un altro piatto, che a nostro parere è l’indiscusso filetto di Angus pancettato, con aceto balsamico tradizionale.
A Bologna la tagliatella è una vera e propria filosofia di vita, ben rappresentata da una cinquantina di insegne censite nel volume. Nella prima collina bolognese, a Savigno, c’è Amerigo dal 1934, un indirizzo che non delude. Quasi novant’anni di onorato servizio, per riscoprire le ricette di un tempo eseguite con perizia, avvalendosi di produttori virtuosi, non a caso il locale è parte dell’Alleanza dei Cuochi Slow Food e c’è anche la bottega con i prodotti selezionati da Alberto Bettini, nipote di Amerigo. La tagliatella è gialla, larga ma non troppo, di pasta sottilissima, appena sbollentata in pentola, perché non perda nulla del sapore, immersa in abbondante ragù di manzo, mentre per l’altro piatto scelgliamo senza indugio la tagliatella verde con i prugnoli (in stagione).
Ma anche a Rastignano si prepara una super tagliatella, nell’insospettabile Circolo Arci locale, tutto partite a tresette, tombole e bigliardi, che l’autore del volume giudica tra le migliori di Bologna e provincia. “Più strette del normale, grossettine, croccanti di semola, ruvide che quasi allappano fra la lingua e il palato, cotte alla perfezione, oro puro per colore e qualità”, tagliatelle che sono piaciute non poco anche a noi, grazie alla carne tenera e saporita e al pomodoro, presente nella giusta dose, senza prevaricare gli altri ingredienti. Il menù corto con pochi piatti ma ben fatti, esprime anche un raviolo molto buono, con zucca, salsiccia, zafferano, pistacchi.
E poi la Romagna, patria assoluta delle tagliatelle, con ben 34 insegne menzionate nella pubblicazione, a rappresentare una gastronomia ampia e golosa, quella narrata dal poeta Tonino Guerra, ai suoi compagni di prigionia in Germania nel 1944: “Tra i mangiari, quello che riscuoteva maggior successo gastronomico, erano le tagliatelle di mia madre. Quando le descrivevo, la fantasia dei compagni si scatenava e suscitava emozioni, quasi palpabili, di gratificazione dello stomaco e della memoria, non senza allegrezza di cibo”. A Faenza c’è Manuëli, un’insegna sorta ai primi del ‘900 come trattoria di campagna, descritta dall’autore come La Versailles romagnola, per gli affreschi mitologici e agresti che si possono ammirare all’interno. Una volta a tavola vi accoglie una piccola carta delle tagliatelle, con ben cinque versioni differenti, ragù tradizionale, rigaglie di pollo, coniglio, lepre, funghi porcini. All’assaggio si manifesta deliziosa, strettina, gialla, croccante, cotta a puntino, pastosa, in osmosi con un ragù maiuscolo di manzo e maiale. L’altro piatto sono i cappelletti di formaggio mantecati con noce moscata, ma da non perdere anche i secondi a base di carne esclusivamente della zona (il castrato su tutti).
Sempre a Faenza c’è La Marianaza, una vecchia osteria aperta nell’Ottocento, dal 1959 gestita da sole donne, con due stanzoni e il camino acceso, capace di richiamare qui sia Carducci che Pascoli, ma anche gli Abba. Una solida tradizione di brace, ma non solo, anche la pasta ha decisamente una sua ragion d’essere ed è fatta a mano e tirata al mattarello, presente in carta con ben tre tagliatelle diverse: al ragù, ai porcini, al farro con verdure, zenzero e noci. L’altro piatto senz’altro i Passatelli in brodo, e fra i secondi il fegato di maiale con la rete, ormai sconosciuto ai più.
A Forlì nella centralissima piazza Cavour, c’è l’Osteria del Mercato, con un oste esperto di buone bottiglie, capace di creare subito empatia, un locale rustico, confortevole, ben tenuto, non grande, con tovaglie a quadretti e fiasco di vino sfuso, per gustare una classica tagliatella romagnola, gialla, larga, spessa, leggermente tenace, con una bella armonia tra pasta e ragù, che ha qualcosa in più, forse grazie a una parte di salsiccia. Per l’altro piatto consigliamo vivamente gli Strozzapreti Salsiccia, Porcini e Pecorino.
A Sant’Arcangelo di Romagna (Rimini), c’è il Ristorante Zaghini, fondato nel 1895, un locale ampio, con arredo anni Sessanta, dove l’accoglienza è al primo posto. Ci troviamo d’accordo anche stavolta con l’autore che ha definito Zaghini “uno dei santuari della tagliatella al ragù”, dove il piatto a cui ha dedicato il volume “è semplicemente perfetto”. La mise en place prevede tovaglie ispirate ad un motivo originale opera di Tonino Guerra, che qui era di casa insieme a Fellini, a cui aggiungere la bottiglia di Sangiovese e naturalmente il piatto di tagliatelle al ragù, frutto della perizia delle sfogline, che ogni giorno lavorano 100 uova d’impasto a mano. Per l’altro piatto invece, optiamo decisamente per il cappelletto verde al formaggio di fossa (altra gloria locale).
Sempre nel riminese, a Canonica, eccoci alla Trattoria Renzi, una frazione circondata dalle colline che dominano il Rubicone per un’insegna che vale il viaggio. Un locale semplice e ben organizzato, con un servizio solerte e tovaglie di carta gialla che riportano stampato il menù per rendere più fluide le ordinazioni. Ineludibile l’antipasto, con salumi selezionati serviti su carta oleata (coppa di testa da podio), squacquerone e piada, mentre il primo piatto è inderogabilmente la tagliatella, croccante, ruvida al punto giusto, cotta alla perfezione, sapida, a sposare un ragù old fashion, opulento, saporito, ricco.
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Cover: tagliatella allo strolghino, Osteria di Fornio (photo credits Ivano Zinelli)