SAVŌ, CENA E OMAGGIO AL PONENTE LIGURE

C’è un tratto del Ponente ligure che da Savona arriva a Ventimiglia passando per Alassio e Laigueglia, generoso di mete gastronomiche valenti sia per i prodotti di terroir (asparago viola e carciofo spinoso di Albenga, chinotto di Savona, cipolla belendina di Andora, albicocca di Valleggia, castagna essiccata nei tecci della Val Bormida, miele dell’Ape nera, per citarne solo alcuni) sia per la personalità degli chef che in un felice mix di carattere, perizia e fantasia sanno trasformarle in piatti che lasciano il segno nella memoria dei buongustai.

Hotel Windsor, ristorante Savō

Percorrendo al tramonto quel tratto di costa verso il borgo marinaro di Laigueglia il cui nome deriverebbe dall’aquila presente sulle insegne delle legioni romane che lo attraversarono secoli fa, si arriva a un moderno albergo di charme con un altro nome evocativo, Hotel Windsor, e al suo ristorante Savō affacciato sulla spiaggia con vista sul Golfo di Capo Mele e sulla gobba a testuggine dell’Isola di Gallinara, un tempo popolata da galline selvatiche e oggi riserva marina. In questa ambientazione suggestiva lo chef del Savō Gianluigi Erme, Enrico Marmo dei Balzi Rossi e Simone Perata della Spurcacciun-a hanno animato una cena a sei mani di inizio autunno intitolata Savōri di Ponente, nella quale si sono misurati con i giacimenti gastronomici stagionali di questo versante della Liguria – pescato, pollame e verdure dell’entroterra – in un vivace carosello di corrispondenze fra cucina tradizionale e contemporanea.

Gianluigi Erme (photo credits Letizia Cigliutti)

Lo chef padrone di casa, Gianluigi Erme, classe 1988 di natali laziali ed esperienze nella penisola iberica al Lasarte a Barcellona e Vila Joya in Portogallo, poi in Spurcacciun-a a Savona e Trattoria di Enrico Bartolini a Castiglione della Pescaia, dal 2022 guida la cucina di Savō all’Hotel Windsor di Laigueglia, dove compone e rinnova spesso una carta molto istintiva, fondata su prodotti, stagionalità e ricerche personali presso piccoli produttori locali di valore.

Ricordo di una fricassea di pollo ligure

Alla cena Erme ha esordito con il primo amuse bouche, Ricordo di una fricassea di pollo ligure, presentato all’interno di un dorato guscio d’uovo svuotato, pastorizzato in forno e colorato a mano. Il pollastro alla fricassea è una tipica ricetta ligure la cui particolarità è innanzitutto il pollo “fracassato”, tagliato a tocchi, e poi l’aggiunta dei tuorli d’uovo stemperati con succo di limone. Lo chef ha distillato nell’appetizer ideato appositamente per l’evento la memoria della ricetta classica: “un piatto che ho gustato all’Osteria I Matetti di Alassio dove nella fase finale venivano aggiunti uovo e limone; proprio da lì mi è nata l’idea di racchiudere questo piacevole ricordo all’interno di un guscio d’uovo”. Un riuscito melange di sapori da gustare al cucchiai(n)o per trovare sul fondo una Royale di uovo ottenuta dalla riduzione dei succhi dell’arrosto di pollo marinato due giorni mescolata a panna e uovo, poi un po’ dell’arrosto stesso per imprimere una spinta di gusto e arachidi tostate a riprodurre la consistenza della cartilagine del pollo; su tutto uno spumoso di limone e polvere di rosmarino, quasi a odorare profumi d’arrosto in cucina.

Gallina con porcini

Se nel piccolo spazio di un guscio lo chef ha racchiuso lo spirito della tradizione gastronomica ligure, nell’altro piatto di Gallina con porcini volumi e profumi sono sbocciati nella gallina bionda piemontese frollata una settimana e cucinata sul barbecue. Accanto al morbido petto, un fungo porcino raccolto nella Valle del Merula nell’entroterra di Andora verso Imperia e cotto all’interno del fieno di maggengo, ovvero il primo sfalcio, “quello che sprigiona profumi di erbe e fiori primaverili e un leggero sentore di camomilla ancora percepibile”, era adagiato sulle creste di gallina per un morso più gagliardo. A legare i due protagonisti del piatto una riduzione di consommé del fungo, spezzata con la salsa delle cosce della gallina e un tè nero cinese per ottenere un profumo affumicato forse da calibrare. Compagna del duetto una saporosa crocchetta preparata con i fegatini della gallina e infilzata in un ossicino come una coscetta trompe-l’œil.

Zucca, aglio di Vessalico e castagne

Stagionale e con profumi di orto e bosco il piatto Zucca, aglio di Vessalico e castagne, una vellutata di forte impatto cromatico quanto delicata al palato nell’evocare le setose sapidità dell’autunno, nata dalla scoperta della polpa densa e dolce della zucca di Rocchetta di Cengio, tipica della frazione savonese della Valle Bormida. Cotta semplicemente con sale e pepe e “corretta” con una riduzione di chinotto di Savona per stemperarne la naturale dolcezza, la zucca era accostata a castagne arrosto preparate sotto brace sul barbecue e al sapore amabile del profumato aglio di Vessalico presidio Slow Food. Garbata croccantezza era donata dal crumble ricavato dalla buccia della zucca essiccata, frullata e polverizzata insieme ai semi di zucca caramellati battuti al coltello con polvere di bacche di ginepro.

Simone Perata (photo credits Paolo Picciotto)

Simone Perata, classe 1988, ligure, scopre la vocazione alla gastronomia nelle cucine della Guardia Costiera di Savona e fra le sue esperienze spiccano Del Cambio, Gualtiero Marchesi, Taillevent di Alain Solivéres a Parigi, Lasarte di Martin Berasategui a Barcellona nella brigata di Paolo Casagrande che nel 2016 conquista la terza stella Michelin. Quindi il ritorno a Savona, dove alla Spurcacciun-a imprime una cifra stilistica fatta di amore per le materie prime non solo della tradizione, in accostamenti anche stravaganti, all’insegna di fantasiose contaminazioni culturali.

Spumoso di Rocoto, oliva taggiasca e alghe

Alla cena a sei mani lo chef Perata ha esordito con una pagina molto sapida del concerto di apertura, l’amuse bouche Spumoso di Rocoto, oliva taggiasca e alghe. Schiumoso ceviche, gioco di sapori, consistenze e contrasti fra lo shock mordace del peperoncino (passione dello chef nata durante le esperienze in Spagna) smorzato dall’acidità della spuma di gelato all’oliva taggiasca a base di latte e yogurt greco, la freschezza del primo impatto sul palato e la sensazione gelatinosa e iodata custodita nel cuore composto da una varietà di alghe da album botanico con lattuga di mare, muschio stellato, alga codium, alga wakame e alga kappaphycus proveniente da un piccolo paradiso di pescatori in Brasile.

Lumache, guanciale e erbe amare

Piacevoli contrasti di consistenze anche nelle Lumache, guanciale e erbe amare, succulente lumache piemontesi di Cherasco rese morbide da una lunga lavorazione che ne prevede lo sbianchimento in tre pentole differenti con acque diverse, l’eviscerazione per conservare solo il muscolo e una lunga cottura in brodo vegetale. A dare carattere al piatto pensato per l’evento, un soffritto di erbe, peperoncino, lardo e il mix di erbe amare spontanee locali raccolte da una herbaria, una “donna delle erbe” composto da cicoria selvatica, dente di leone, boccione, radicchio selvatico usato per glassare le lumache e smorzare la corposità di soffritto e brodo. Golosa poi la nappatura con spuma di toma di pecora brigasca (ovino autoctono presidio Slow Food che trascorre metà dell’anno in alpeggio e l’altra metà al pascolo aperto lungo la costa) in connubio con guanciale e una terrina di tuberi, pancetta e toma la cui sfoglia prevedeva quaranta sottili strati di patate. Lievi e ben calibrate la nota piccante del kimchi addolcito dalle fragole e quella vegetale e fumosa delle foglie di cavolo nero passate sulla brace.

Cima di rana pescatrice alla Wellington e salsa di ostriche

La Cima di rana pescatrice alla Wellington e salsa di ostriche si lega alla passione dello chef Perata per la lepre alla Royale che ha voluto provare ad applicare al pesce. “Dopo un primo tentativo non convincente per la scarsa inclinazione del pescato alle lunghe cotture richieste dalla ricetta, mi è venuta l’idea di usare il ripieno della cima alla genovese nella versione del Ponente, più vegetale rispetto a quella carnosa del Levante, e con l’aggiunta delle animelle di vitello, creando una bardatura intorno anziché dentro alla pescatrice per mantenerla morbida e avvolgendola infine nella sfoglia Wellington preparata con Vermouth Carpano” ci ha svelato in un’intervista lo chef che ha completato il piatto al tavolo velandolo con una salsa a base di ostriche per conferire quella nota iodata oggi molto apprezzata nell’alta cucina.

Suo ulteriore contributo alla cena il delicato, fresco e profumato Gin-tonic con gelato alla rosa di Tiglieto, un predessert al cucchiaio in forma di quenelle di gelato alla rosa di Tiglieto (altro presidio Slow Food ligure, molto apprezzata per l’aroma) sposata a una granita aromatizzata con gin e sciroppo alle rose. Una folata di freschezza soffiata da gin e mela verde unita alla nota balsamica del finocchio che attraverso il delicato gusto floreale ha bilanciato con artica acidità la punta alcolica della granita.

Enrico Marmo

Enrico Marmo, classe 1987, piemontese, laureato all’ALMA, si forma nelle cucine del Gellius di Oderzo, da Cracco a Milano, All’Enoteca di Canale come sous chef di Davide Palluda, al resort 5 stelle Castel Monastero nel Chianti e all’Osteria Arborina a La Morra prima di approdare al ristorante Balzi Rossi di Ventimiglia fregiato della stella Michelin nel 2022, esattamente a 40 anni dall’apertura di un’insegna storica e stimata del Ponente ligure.

Cappon magro vegetariano

Alla cena di Laigueglia lo chef Enrico Marmo ha portato tre conclamati saggi della propria cucina, a partire dal Cappon magro vegetariano, un’eco di storia ligure che ne ha visto l’evoluzione da semplice galletta insaporita principalmente con verdure e olio del territorio che i marinai mangiavano a bordo delle barche, a piatto di magro riservato alle occasioni importanti sempre più sfarzoso nella presentazione fino a includere pesci pregiati e crostacei. Il cappon magro dello chef Marmo evoca le origini del piatto e rinuncia al pesce ma non all’eleganza, distillata nelle verdure tagliate e cotte al vapore cariche dell’energia di una salsa iodata nella quale confluiscono lattuga di mare, salicornia, finocchio di mare sott’aceto e scorza di limone, disposte come una fortezza circolare intorno al biscotto sbriciolato da insaporire frantumando la torre gastronomica e strofinandone i frantumi sulle gocce di salsa verde e alla barbabietola.

Bottoni ripieni di melanzana, scampi e acqua di pomodoro

I Bottoni ripieni di melanzana, scampi e acqua di pomodoro hanno raccontato la filosofia di cucina dello chef, da sempre improntata alla sottrazione e alla ricerca dell’essenza dei sapori. Il piatto è nato, infatti, dall’idea di alleggerire la golosa parmigiana di melanzane e infarcirla all’interno di un formato di pasta poco invadente, in uno studiato rapporto di equilibrio e con l’obiettivo di far apprezzare l’intensità dei sapori scaturita dalle melanzane preparate prima in forno e poi passate in pentola con salsa di pomodoro. Il girotondo di bottoni ripieni incupolato da scampi marinati all’origano tutto giocato sul doppio binario dell’aromaticità e del bilanciamento, ha trovato la chiusura del cerchio nella nota piacevolmente acida di una colatura di pomodoro ottenuta dal succo di un’insalata di pomodori condita con aglio, basilico, aceto e sale e maturata tre giorni al fresco versata al tavolo da una teiera.

Cioccolato fondente e olio extravergine di olive taggiasche

La firma di Enrico Marmo era anche sull’originale dessert Cioccolato fondente e olio extravergine di olive taggiasche germogliato dalla ricerca di un abbinamento di gusto contemporaneo che vedesse protagonisti il cioccolato e l’olio evo. Un cioccolato Chuno Ecuador 78% dotato di buona acidità e aromaticità per un dessert insieme etereo e di forte personalità composto da una meringa leggera preparata, come ha spiegato lo chef, “con l’acqua di cottura dei ceci o aquafaba al posto degli albumi”. A completare il piatto “polvere di olive taggiasche, croccantino al cioccolato senza glutine, così come l’intero dolce, acqua di cioccolato e l’immancabile olio extravergine di olive taggiasche simbolo di questa terra e protagonista dell’abbinamento, grazie alla capacità di veicolare meglio i sapori di tutti gli altri ingredienti”.

Nel dialogo con il territorio è spiccata la voce dei Vini di aziende vitivinicole regionali, selezionati e abbinati al menù dal maître del Savō all’Hotel Windsor Gianmichele Fois. Le battute di attacco le hanno date le bollicine dello Spumante Extra Brut metodo Classico Cervoclassico Lupi, cantina pioniera della viticoltura ligure di qualità, da vitigno Rossese e vigne affacciate sul mare che ne restituiscono i sentori iodati, riflessi giallo paglierino scarico, al naso percezioni di note marine, pesca a polpa bianca e accenni di crosta di pane, sul palato fresco e volitivo, sapidità asciutta e nitida mineralità in chiusura. Il Vermentino Doc Riviera Ligure di Ponente Aimone della cantina BioVio ha accompagnato antipasti e primo con il colore oro verde, olfatto di cedro e pompelmo poi timo e rosmarino e una leggera mineralità marina, palato fresco che richiama i toni olfattivi agrumati, con finale sapido e minerale. Il rosso Shalok di Poggio dei Gorleri, realtà vitivinicola di Diano Marina fra le più prestigiose della provincia di Imperia e portatrice di valori di sostenibilità e territorialità, ha scortato con eleganza e buona struttura i sapori di gallina e funghi; da vitigno Granaccia/Alicante affinato 12 mesi in tonneau di rovere francese e 12 in bottiglia, granata profondo, ai profumi tracce riconoscibili di frutti a bacca scura, prugna, ciliegia, si arricchisce di spezie sino al cuoio, bel corpo al palato, piacevole tannino e finale persistente con rimandi speziati di pepe. Battuta finale aromatica con Rum alle pere, applaudito solista di fine cena.

 

thewindsor.it