ULIASSI LAB 2022

di Alessandra Meldolesi

Foto di Lido Vannucchi

 

L’alta cucina è un aereo in alta quota: lo stile procede per inerzia e difficilmente può cedere, se non all’inizio e alla fine del percorso, perfino con un solo motore. Una troposfera che il ristorante Uliassi ha superato da anni, ancor prima della consacrazione Michelin; eppure, di planare sul velluto di Senigallia sembra non volerne sapere, né tantomeno di abbandonarsi docilmente a un’inerzia stilistica, che sarebbe comunque un successo. Il piano di volo arriva dal lab 2022, degustazione presentato come ogni anno dopo quaranta giorni di brainstorming matto e disperatissimo a porte chiuse. Ed è un percorso che nonostante tutto continua a puntare verso l’alto, a costo di qualche oscillazione.

A essere rimasto invariato è il focus sul gusto. Quella di Uliassi, nel panorama italiano, è forse la cucina più strettamente aggrappata al proprio medium espressivo, tanto che è agevole definirla neosensista nella capacità di colpire a 360 gradi, con frecce che restano fisiche, obiettivi cerebrali. Sentire è intendere: l’orizzonte è quello delle “sensazioni trasformate”.

Mauro e Catia Uliassi

Il nostro lavoro si svolge da anni sul gusto, come può arrivare e colpire a livello emotivo e sensoriale. Il lab dello scorso anno aveva riscosso un successo particolare, quindi è stato difficile alzare l’asticella. Da mesi avevamo riunito molte idee a livello di sapore, con abbinamenti che ci piacevano tantissimo, ma non riuscivamo a chiudere i piatti. Fino allo sprint degli ultimi 10 giorni, e devo dire che alla fine siamo rimasti soddisfatti: ogni ricetta racconta qualcosa, è tagliente a modo suo, sempre con il suo carattere”.

In pratica ogni anno io e i miei collaboratori più stretti, diversi per età e per origine, ci sediamo e parliamo per una settimana: ognuno ha fatto ricerca, sull’estetica, gli aromi, le recensioni di altri ristoranti o i cibi del suo paese. Incrociamo i dati, accumuliamo informazioni che poi cerchiamo di tradurre in gusto. Che so, polline, umeboshi: per i profani una formula enigmatica, ma è da lì che partiamo. A questo punto passiamo in cucina e mettiamo insieme ‘tavolozze’ con ogni possibile elaborazione dei diversi ingredienti, le riduzioni di dieci spezie passate al Rotovac, alla Greenstar o all’Ocoo, per un ventaglio di sapidità. E così via sui vegetali freschi: sintetizziamo, concentriamo, polverizziamo, essicchiamo per raggiungere diversi timbri di sapore e capire come accendere l’ingrediente. Un fiore, ad esempio, potrebbe essere fantastico con le ostriche, i ricci o la caccia. Da lì tutte le prove”.

Metodo, inteso come meta-odos, ovvero strada che conduce al di là, il cui temporaneo approdo sono dieci piatti (di cui due superstiti del lab precedente) volti ad alimentare il desiderio di mangiare per il piacere, che ha altri registri rispetto alla fame, capaci di intrigare il gourmet senza mettere in ambasce il neofita. Alla fine, si risolvono tutti in umami: il gusto completo e perfetto. Già stranisce, dopo anni di appetizer cristallizzati e golosissimi (il wafer, l’oliva, il crostino col kir e un tripudio di pani col burro composto) l’esordio pulito, senza fronzoli, alla Romito. “Perché su un menù di dieci piatti, gli amuse-bouche diventano insignificanti”. Al loro posto #slidetotaste, scritta in gelatina di sedano e prezzemolo all’acciuga che invita a scarpettare col dito la sinfonia delle sapidità. È il primo segnale che non si vuole vincere facile.

#slidetotaste con selfie d’autore

Gambero rosso, buccia di arancia, zenzero, cervella di gambero e cannella

Ma dove avanza veramente la frontiera quest’anno, è nel campo del vegetale, non per moda o ideologia della sostenibilità, ma per necessità espressiva. È lui, spesso e volentieri, la cellula staminale del piatto, anche nella fase della creazione, quando la guarnizione può anticipare la pièce. “Ci siamo resi conto che la carne non ha grandi sfumature, può essere cotta o cruda, con la variabile Maillard; va un po’ meglio con il pesce, che può essere anch’esso ricondotto a una serie di categorie gustative: la polpa fresca, i frutti di mare, il fenico, lo iodato, le alghe ossidate… Oggi una bisque o un fondo li trovo chiusi, mi stancano. Venivamo dall’esplorazione delle interiora del pesce, durata 3 o 4 anni, in via di esaurimento. Invece il vegetale, specie se trattato con le tecnologie odierne, ha una capacità di timbro gustativo diversa”.

Pasta e pomodoro alla Hilde in infuso di foglie di fico

Le avvisaglie non erano mancate, a dire il vero: l’insalata di pesche e morchelle, che si era sbarazzata della spigola, come la pasta e pomodoro alla Hilde, dove il burro al fico simula estaticamente il raspo di pomodoro in un’epitome d’estate.

Ricci freddi, mandarino, zafferanella

Anche la frutta è protagonista: vedi i ricci (quelli adagiati dalle correnti sulle alghe, col loro erbaceo che si lega al sedano del benvenuto), lavorati freddissimi con la frusta in una crema densa, il cui fenico viene rilanciato dalla zafferanella, mentre ad addolcire e chiudere con l’amaro interviene il mandarino, frullato con la scorza al Rotovac. Il tutto dentro un bignè craquelin al nero di seppia.

Anguilla affumicata, albicocca, alloro, rafano

Oppure le albicocche dell’anguilla, alla brace ma croccante, condite con albicocche secche acidulate all’umeboshi e cardamomo, più olio di alloro, riduzione di aceto di lamponi e rafano che spalanca le narici ai profumi in una memoria di mostarda.

Seppie crude, pomodoro verde, polline, olive nere essiccate

È proprio il vegetale a propiziare una fata morgana della cucina anni zero: il gusto nuovo, pienamente agguantato almeno in un paio di piatti. La seppia cruda, funzionale alla mera masticazione, sorregge la composta di pomodoro verde al Rotovac e polline per un combinato disposto di acidità tagliente, dolcezza e cera; più la nota amara, che oblitera la salivazione, delle olive nere da cultivar carboncella o moraiolo, reidratate ed essiccate nel ripescaggio di una tecnica ancestrale del Mediterraneo solatio.

Insalata di ostrica, pesto di rucola, rucola, limone, borragine

Lumache, peperone friggitello, origano, erbe soffiate

E dopo l’insalata di ostrica scottata con pesto di rucola alla griglia, limone e salsa di aringa affumicata, ecco le strepitose lumache, dove la proteina è di nuovo pretesto per la masticazione, ma l’attenzione è tutta per la spuma di friggitello con olio all’origano che fa esplodere l’erbaceo in bocca. Idee che arrivano spesso da una new entry, il siciliano Peppe Merlino, unitosi alla compagine rodata di Mauro Paolini, Yury Raggini, Mattia Colacicco, Luciano Serritelli, Michele Rocchi, Andrea Merloni.

Colombaccio scottato, tabacco, cardamomo nero e pompelmo asciugato

Gusto nuovo, ancora una volta, con il colombaccio, che lavora in chiave tecnoemozionale sulle sensazioni dello sparo: quindi il petto tostato 20 secondo all’unilaterale sulla piastra, cardamomo nero e fave di cacao per la consistenza, Lagavulin (anche sul cucchiaino) per la sensazione di torba, brodo e spuma di tabacco che seccano la gola. A evocare diversamente il fuoco e l’odore che impregnava le divise dei cacciatori, lasciate nell’armadio per settimane fra una battuta e l’altra. Più il mirtillo essiccato e il pompelmo ad arrotondare.

Sorbetto di mucillagine di cabosside di cacao

Riso al latte di cocco, ananas osmotizzato al rhum, menta e cannolo di gelato al mais

Più rassicuranti i dessert del giovane fuoriclasse Mattia Casabianca: prima il sorbetto di mucillagine di cabosside di cacao, prodotto scoperto nella bottega del cioccolatiere Alberto Simionato, soavemente acidulo con note di pera e litchi, più mandorle amare e purea di mango; poi un dessert defaticante come un cocktail tropicale, composto di riso al latte di cocco, ananas osmotizzato al rhum, menta e cannolo di gelato al mais.

 

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