LVNAE, IL VERMENTINO ECCELLENTE PER ECCELLENZA

Portus Lunae, il porto della Luna: l’asola di bellezza naturale che permette a Liguria e Toscana di intrecciarsi, lo snodo in cui sole, mare e verde si trovano e sorridono. Da qui salpavano le triremi romane, cariche di uomini, cultura e ovviamente vino; già allora erano note le potenzialità di una zona ormai storicamente dedita all’uva, che oggi rivive nella DOC Colli di Luni ed è interpretata da un’impresa familiare che del territorio e del suo Vermentino ha fatto orgoglio personale. Diego Bosoni è l’araldo della quarta generazione, discendente dal genio di Paolo, che negli anni ’60, per primo, vide lunghissimo e si dedicò al vitigno e al suo universo.

Fu lui a virare verso un Vermentino in purezza, che spingesse su eleganza e longevità, a differenza di quanto fatto fino a quel momento. Iniziò a imbottigliare e vendere porta a porta, “a volte anche in motoretta…“. In un momento storico in cui i contadini guardavano finalmente alle città, la coraggiosa intuizione di Paolo convinse i piccoli proprietari della zona ad acquistare partite di uva selezionata per la propria vinificazione. “Producemmo così tanto che pensammo di non riuscire a vendere tutto: invece non ci furono problemi, e decisi di comprare un impianto di imbottigliamento ‘vero’. Fu l’inizio di LVNAE.”

In oltre cinquant’anni ne è passato eccome, di vino nelle botti: oggi il Vermentino di LVNAE è sinonimo del Vermentino dei Colli di Luni, e Paolo Bosoni è considerato il pioniere assoluto. Sempre a lui si deve lo sbarco oltreoceano negli anni ’90, le ricerche storiografiche, le analisi scientifiche e di mercato che hanno portato il suo prodotto nel gotha del bere mondiale.

Numero Chiuso è lo stendardo della filosofia dell’azienda. Duemilaseicento bottiglie, non una di più: è il contenuto di una botte di legno, l’unica in cui il vino prodotto in acciaio e proveniente da raccolta manuale, va a riposare diciotto mesi (più ulteriori diciotto in bottiglia) per avere il marchio distintivo di LVNAE. Che, paradossalmente, è quello della varietà identitaria, dell’assenza di una sola indole, perché è il processo alla base a parlare più lingue: gli ottanta ettari (che danno anche olio) sono parcellizzati in appezzamenti minori, ciascuno con le proprie caratteristiche di suolo, microclima, carattere. E Numero Chiuso è l’eredità delle vigne che ogni anno sono ritenute più vocate: a ciascuna stagione, quindi, la propria natura, con la pazienza, la qualità e la ricercatezza come unico tratto in comune.

Nel 2008 la prima annata di produzione, proposta al Four Seasons di Milano per una verticale di verticalità parziale che regala momenti di riflessione pregiata. Dalla 2018, tonica con naso di sale e Mediterraneo, è un’evoluzione gentile verso il fiore e lo zucchero nella 2017, la maturità corposa della 2016, la spezia vibrante e salmastra della 2015. Acidità e freschezza tradizionali rimangono sensibili, per quanto con vesti varie, andando invece smarrendosi nelle annate precedenti, che lasciano spazio a sentori di forno (2013), zolfo e pasticceria (2009 e 2008).

La chiusura è con una chicca da occhiolino, Cavagino 2007 che esplode nel cumino, nell’esotico, nel carezzevole. Quanto più in là con gli anni, tanto più c’è da pensare: non è forse questa la direzione immediata del Vermentino, storicamente di presa rapida e beva leggera nel senso buono del termine, ma c’è tanto su cui scambiare opinioni. Ed è un buon vino, un vino che dicendo la sua, permette di dire la propria.

 

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