PERÚ: TERRA DELLO SPIRITO, PATRIA DEL PISCO

Succede come ai bambini, quando si mettono in ascolto di fantastiche trame inventate o di incredibili storie vere. La parola si acquieta, si deposita nel silenzio mentre gli occhi si spalancano in assorta contemplazione di immagini, di colori, di tempo, di tutte quelle cose che il racconto sa inscenare come un’opera lirica, rendendole straordinariamente presenti alla fantasia e familiari all’anima. Perdersi nelle suggestioni reali del Perù è più o meno la stessa cosa.

Quell’intreccio di piante, liane e arbusti che tesse a fili spessi la stoffa della foresta pluviale si scioglie nella superficie liscia dei fiumi e dei laghi, libera un’energia che corre nell’agitazione dei torrenti e devia verso l’immensità dell’Oceano. Lì le spiagge sono il profilo dei centri urbani, ma anche un preludio al selvaggio. Un selvaggio che si apre a libro nel deserto e che risale ripido fino agli oltre 6.700 metri di altezza delle Ande. La foresta è tropicale, in montagna, ma è anche equatoriale, più in basso. Le boscaglie si trasformano in steppe lungo la salita verso la vetta, fino a sfociare nelle praterie di alta quota. I ventricoli del Perù pulsano uno verso l’Atlantico e l’altro verso il Pacifico, stringendo una complicità profondissima con l’immensità dell’acqua. L’acqua è possente nel Rio delle Amazzoni, l’acqua sembra sconfinata negli 8.330 km² del Lago Titicaca.

Lì arido, là umido, lassù le cime, laggiù le depressioni, questa è la terra proveniente dai ghiacci, quella è la conca dei vulcani, si sfiora la polvere dei deserti in certi punti, si afferra la concretezza della roccia in talaltri, ci si bagna i piedi, ci si scotta il volto: sono 87, i microclimi del Perù. La civiltà assume espressioni diverse a seconda dell’angolo in cui si trova, ugualmente alle specie vegetali e alle usanze gastronomiche. Sono più di 2000 le varietà di patate peruviane e sono una marea le tipologie di peperoncino, che spaziano dalla più acuta piccantezza alla dolcezza aromatica. Ogni essere vivente qui ha sviluppato un’intesa con le altezze, con i venti, con l’arsura, con la palude, con la selva, con le mille forme dell’acqua. Il senso del limite da queste parti è stravolto, rimpolpato da una vita eccedente che, per il solo fatto di esserci, chiede a tutti i suoi abitanti di accogliere l’estremo come la più liberatoria forma di normalità. E così hanno fatto, tutti quanti, in Perù.

La vivacità gastronomica di questa terra è impressionante, e altrettanto è quella delle bevande che la accompagnano. Una, fra tutte, è certamente il Pisco. Il distillato peruviano per eccellenza è il frutto delle vicende storiche che hanno accompagnato la biografia del Perù e del suo popolo, a partire dalle colonizzazioni spagnole del 1500.

Era il 1532, quando Re Carlos V impose ai coloni diretti verso le Americhe di portare con sé barbatelle di viti e ulivi. Quindici anni dopo la vite già proliferava in diverse regioni del Perù, plasmata sulla varietà viscerale di quella terra tanto incline ad accogliere la vita e ad amplificarla. Troppo, forse, per il gusto degli spagnoli, che non potevano permettere la superiorità produttiva peruviana sulla propria, scivolata presto nell’inferiorità quantitativa. La dissolvenza del XVI° secolo portò con sé l’emissione di un primo divieto, quello di vendere vino peruviano in Spagna. Ma fu il secondo, il più drastico. Nel 1615 Felipe III negò la possibilità non solo di vendere, ma anche di produrre vino in tutto il territorio della Corona. Fu così che, nella fioritura peruviana, si iniziò a distillare.

I primi documenti riportano notizie di un distillato di vino chiamato aguardiente, nel 1613, che via via negli anni – ne trascorsero altri 200, per l’esattezza – assunse il nome Pisco, come tante altre cose del resto. Già, perché Pisco è anche il nome di una città, di un fiume, di una valle e persino di un porto. Pisco è il nome di un contenitore – le botijas di terracotta, in cui probabilmente veniva riposto il distillato – ed è anche il nome di chi, questi contenitori, li creava. Piskos erano gli abitanti di quella valle e Pisku era la parola che si usava per indicare i volatili. Proprio questa – Pisku, uccello – è probabilmente la parola inca da cui si originarono tutte le altre, coniando un termine versatile e fortemente identitario.

Il Pisco nacque quindi come un rimedio al sovrappiù, come destinazione da dare alla sovrabbondanza di quel vino non più commerciabile in terra spagnola. Ad oggi, a regolamentare tutto questo esiste un disciplinare, che pur essendo molto chiaro nei suoi punti chiave, lascia un ampio grado di libertà interpretativa ai produttori, esattamente come si confà alla natura della sua culla.

Il tutto parte dalle uve, le cosiddette uvas pisqueras. Le varietà impiegate per produrre il vino che viene poi distillato fino a diventare Pisco sono 8: Uva Negra Criolla, Uva Mollar, Uva Quebranta, Uva Uvina, Uva Italia (il nostro Moscato d’Alessandria, conosciuto anche come Zibibbo), Uva Torontel (ossia il nostro Moscato Bianco), Uva Moscatel e Uva Albilla. Da esse si sviluppano tre tipologie di Pisco, all’interno delle quali esistono molte, ma veramente molte, possibilità di diversificazione: il Pisco Mosto Verde, il Pisco Acholado e il Pisco Puro.

Il Pisco Mosto Verde si ottiene da un’unica varietà di uva. La scelta del vitigno è a discrezione del produttore, purchè venga impiegato solo ed esclusivamente quello. La particolarità di questa tipologia di Pisco risiede nella fase di fermentazione del mosto, che viene interrotta quando è stata trasformata in alcol solo la metà degli zuccheri. Questo consente di ottenere a tutti gli effetti un vino con un sensibile residuo zuccherino, ricavando così un distillato dall’impronta morbida e avvolgente. Per esaltare i peculiari tratti di morbidezza di questo Pisco, viene spesso scelto di impiegare le uvas pisqueras più aromatiche.

Anche il Pisco Puro si ottiene da una sola varietà di uva. A differenza del Pisco Mosto Verde però, che viene prodotto a partire da un vino altamente zuccherino poiché derivante da mosto solo parzialmente fermentato, il Pisco Puro trova il suo pregio nel gusto secco. In questo caso infatti il mosto viene lasciato fermentare interamente, fino a completo smaltimento degli zuccheri. Si spoglia di accondiscendenza, di vellutata morbidezza, di piacevole seta, in favore di un’eleganza secca, sottile, snella, dritta. Se il primo è il ritratto gioviale dell’esuberanza peruviana con i suoi fiori, i suoi ortaggi e i suoi colori, il secondo è la tensione di una scia lasciata nell’acqua al passaggio di una barca, è l’incisività del lampo, le movenze del giaguaro e la pulizia delle piogge estive.

Infine, il Pisco Acholado, ovvero un Pisco realizzato con un blend di più uve. Il nome Acholado deriva infatti dalla parola Cholo. I Cholos erano i lavoratori delle aziende agricole, abituati a ritrovarsi tutti insieme in occasione dei momenti liberi. Erano soliti dare feste, organizzare pranzi e improvvisare momenti conviviali di ogni genere. Quel senso di condivisione, di ospitalità e di allegria li ha sempre accompagnati in tutte le loro discendenze, e il Pisco Acholado nasce proprio da qui. Ogni Cholo portava infatti la propria dose di uva, regalatagli dal proprietario terriero, per produrre insieme agli altri una buona dose di Pisco. Quello che si otteneva era un vero e proprio blend del tutto casuale, almeno inizialmente. Ci si doveva accontentare di quello che si aveva, ci si doveva arrangiare con le possibilità reali. Eppure, quelle condizioni apparentemente svantaggiate regalarono un Pisco spesso più buono di quello dei signori. Era un blend, era una mescolanza, era un incrocio che sfavoriva la purezza ma che faceva volare alta l’armonia dei profumi e degli aromi, nelle infinite combinazioni varietali. Era il Pisco dei Cholos. Le uve possono essere mescolate in fase di mosto oppure a vino ottenuto, ma anche unite in taglio alla fine sotto forma di distillati monovarietali, che devono essere o tutti Mosto Verde o tutti Pisco Puro. Ogni Acholado presenta infatti la differenziazione in Acholado Mosto Verde o Acholado Pisco Puro, in base alla tipologia di Pisco che si è scelto di impiegare nel blend.

Per tutte e tre le tipologie è prevista una sola ed unica distillazione lenta del vino base, che può durare fino a 15 ore, condotta nei tradizionali alambicchi chiamati Falca oppure nei più cosmopoliti Charentais. Segue un riposo di almeno 3 mesi in recipienti neutri, al termine del quale il Pisco viene filtrato e imbottigliato nelle bodegas di produzione.

Abbiamo voluto riportare la degustazione di tre tipologie di Pisco, per muovere i primi passi all’interno di questo mondo vasto, sconfinato come la sua terra natale. Si tratta di un’edizione speciale, realizzata da Pisco Portón – una delle principali aziende produttrici di Pisco – in esclusiva per il Cocktail Bar meneghino Nik’s & Co. Due realtà, quelle di Pisco Portón e Nik’s & Co, che sono una all’altezza dell’altra, per creatività, entusiasmo in ogni più piccolo gesto del quotidiano e slancio verso il futuro. Per chiudere il cerchio, insomma. O forse per aprirlo del tutto, schiudendo le porte su un cosmo che merita di essere scoperto. In ogni Pisco, in fondo, viene distillato un po’ di Perù.

 

DEGUSTAZIONE

Photo credits: Giulio Masieri

PISCO PORTÓN ACHOLADO (MOSTO VERDE) – SPECIAL EDITION FOR NIK’S & CO

Il blend, qui, è ottenuto dalle uve Negra Criolla, Italia e Torontel, nella tipologia Mosto Verde. Un distillato che trova il suo timbro nella ritmica docile della piacevolezza, a suon di fiori e di frutta al naso, con una particolare predominanza delle note di frutta secca.

 

PISCO PORTÓN MOSTO VERDE – SPECIAL EDITION FOR NIK’S & CO

Si tradisce da sola. L’impronta aromatica dell’uva utilizzata in purezza qui domina il naso e il gusto. Lavanda, pesca, the, timo limone e lemograss: i profumi si elevano piano, seppur con intensità. Intensità che si ritrova in tutte le variabili del gusto, definito in una particolare morbidezza, simile a un caloroso benvenuto, tanto carezzevole quanto coinvolgente.

 

PISCO PORTÓN PISCO PURO – SPECIAL EDITION FOR NIK’S & CO

L’eleganza, la pulizia. Si proviene da un gusto morbido, con una percezione di dolcezza nelle maniere, ancora più che nella sostanza, e si approda, con questo Pisco, al gusto secco, senza fronzoli e con tanta, tantissima classe. I profumi sono concentrati, quasi riassunti in una coesione che danza come una corrente avvoltolata sinuosamente su sé stessa, in attesa di disperdersi nell’aria che la circonda. Un Pisco che richiede la giusta attesa e la giusta concentrazione, per chi vuole scoprirlo nella sua interezza.

 

piscoportonitalia.com

peru.travel

 

Cover: Valle Rojo (Photo credits, Daniel Silva/ Promperù)