I VINI DEL POETA ASTEMIO A NIZZA
Una china dell’illustratore Augusto Majani, al secolo Nasica, tra i più celebri artisti della belle époque, descrive un pranzo avvenuto nel 1901 a Bologna, nella redazione del Resto del Carlino, con i poeti Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio che brindano davanti a una tavola imbandita, il maturo uomo toscano con Lambrusco e il giovane abruzzese con sola acqua.
Non vi sono dubbi che Carducci amasse le bollicine emiliane, che si faceva recapitare da Modena, raccomandandosi che nel tragitto in calesse fossero ben protette con la paglia e non andassero in frantumi. Mentre D’Annunzio, i cronisti presenti raccontano che brindò con sola acqua, non mancando di punzecchiare il collega e riaffermando il suo essere ‘acquatile’. Il Vate, dunque, era o non era astemio? Ci sono voluti oltre due anni ai giornalisti Enrico Di Carlo e Luca Bonacini per fugare ogni dubbio, facendo confluire l’ampia ricerca in una pubblicazione dal titolo Il brindisi del Poeta astemio (Verdone editore), con postfazione di Andrea Grignaffini, dedicata al rapporto che effettivamente Gabriele d’Annunzio ebbe con le bevande alcoliche e particolarmente con il vino.
Un’iniziativa editoriale che approfondisce il ruolo di D’Annunzio con il vino, che dopo aver fatto tappa al Ministero dell’Agricoltura di Roma, all’Academia Barilla di Parma e in una decina di città italiane, giunge a Nizza, presso il Consolato Generale d’Italia, dove è stato presentato lo scorso 15 novembre. Un evento dall’altro profilo culturale che avvicina al D’Annunzio scrittore e a quello privato, per rivivere la migliore enologia dell’epoca, nel quadro dell’VIII edizione della Settimana della cucina italiana nel mondo, rassegna tematica annuale dedicata alla promozione della cucina e dei prodotti agroalimentari italiani di qualità, promossa dalla rete di Ambasciate, Consolati, Istituti Italiani di Cultura e Uffici ICE all’estero. L’evento è stato introdotto dal Console Generale Enrico Lolli, alla presenza del Dirigente Scolastico del Consolato Generale d’Italia a Nizza Loredana Cherubini e al presidente del Coalcit Marianna Giuliante, a cui si deve una intensa e virtuosa attività culturale, destinata alla Comunità italiana e non solo. Il Coalcit presieduto da Marianna Giuliante è il Comitato per le Attività Linguistiche e Culturali Italiane, un organismo finalizzato alla promozione linguistica e culturale mediante corsi di lingua e cultura italiana, nell’ambito di azioni a favore della comunità italiana all’estero e su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri italiano. Attività didattiche che il Ministero degli Affari Esteri rende possibili sostenendo organismi di gestione in 35 paesi del mondo, per poter organizzare corsi di lingua e cultura italiana anche per adulti con diversi livelli di apprendimento, eventi e manifestazioni. Per favorire la conoscenza e la diffusione della cultura italiana, COALCIT organizza incontri, simposi, mostre, concerti, convegni, caffè letterari, spettacoli teatrali, facendo così conoscere artisti e autori italiani al pubblico locale, valorizzando la cultura e le tradizioni del Belpaese.
La conferma che l’acqua era si presente sulla tavola del Vate, ma in compagnia di grandi vini, arriva grazie a un documento redatto pochi anni prima della dipartita di D’Annunzio nel 1938, una dettagliata lista di vini che erano conservati nella cantina del Vittoriale di Gardone Riviera, compilata da Luisa Bàccara, ‘la Signora del Vittoriale’, affascinante pianista veneziana e musa del poeta, al suo fianco fino all’ultimo giorno. Un documento di straordinario valore storico che a distanza di quasi un secolo, ci dice cosa conteneva la cantina dell’ultimo rifugio di D’Annunzio, rivelando un giacimento enoico di notevolissimo valore, con 295 grandi bottiglie, tra vini, Champagne, distillati e liquori di pregio (di cui 168 francesi, 34 italiani, 16 spagnoli, 9 tedeschi), ma non solo. Leggendo attentamente le opere di D’Annunzio, i carteggi con politici, compagni d’armi, amici d’infanzia, editori, giornalisti, amanti, insieme ai menù delle cene che il poeta organizzava o a cui era invitato, scopriamo che D’Annunzio padroneggiava decisamente l’argomento. Era un raffinato connoisseurs con un’estesa conoscenza dell’universo alcolico, probabilmente in virtù delle esperienze che aveva vissuto, in un’esistenza immersa nel lusso, compresi i cinque anni trascorsi in Francia ad Arcachon nel Bordeaux, dove poté ampliare la sua conoscenza anche sui grandi vini francesi. La tavola per lui era un palco, dove poteva ammaliare, sedurre, affascinare i suoi ospiti dispensando le storie che si celano dietro a quei famosi vini, destinati a tavole altolocate, ispirando la conversazione. E non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che l’autore di opere immortali era solito professarsi astemio e addirittura ‘acquatile’, tesi smontata pezzo dopo pezzo dai due autori. Il lavoro mette in luce un rapporto quanto mai contraddittorio tra lo scrittore e l’alcol.
D’Annunzio non fu astemio, come invece volle sempre far credere pur di rimanere coerente alla sua immagine di esteta, anche se nelle occasioni ufficiali tendeva a imporsi come bevitore di acqua purissima (prediligeva quella minerale) mostrando viceversa familiarità con vini e Champagne in occasioni mondane e private, magari in compagnia di qualche signora. I vini li decanta, li storicizza, li contestualizza, li rende protagonisti di vicende personali e di famose pagine letterarie. I vini italiani che connotano le esperienze del poeta abruzzese esprimono sicuramente il meglio della produzione del tempo. Il Valpolicella, il Chianti, il Soave, la Vernaccia, il Falerno, il Nepente, il Carmignano, il Capri bianco, oltre al Montepulciano della sua regione, raccontano di un viaggio ideale (oggi li chiameremmo sentieri del vino) attraverso dodici regioni, tra arte e cultura, da nord a sud, da est a ovest. E allora ecco il Montepulciano d’Abruzzo, vessillo della regione che ha dato i natali al poeta, il vino nero e fragrante dell’infanzia, quello sempre presente nella sua cantina, coltivato dal padre Francesco Paolo, ogni anno interrogandosi sulla qualità e le peculiarità dell’annata. Immancabile sulla tavola di casa nei giorni di festa, offerto per celebrare la mietitura, suggellare amicizie, brindare insieme ad amici di vecchia data, ministri, uomini politici, da abbinare ai prodotti che arrivavano al Vittoriale dalla sua terra d’origine. Il Capri bianco, tra i preferiti dell’Imperatore Tiberio e da Hemingway che ne farà uno dei vini più menzionati nel suo capolavoro Addio alle armi, comparso nel menù della cena del 1908, per celebrare il debutto teatrale della “Nave”, al Caffè Faraglia di Roma, ma è anche il nettare sorseggiato in intimità con Barbara Leoni, alla quale D’Annunzio scriverà mentre è lontano da Roma per impegni militari, ricordando le cene romantiche con il Capri bianco e confessandole di bere quel vino, immaginandosi la sua bocca umida. La Vernaccia di Corniglia, che D’Annunzio conosceva bene, si evince dalla prefazione del volume ‘Osteria’ di Hans Barth, fatto con “l’uva sugosa delle Cinque Terre / e nera e bionda”, una delle perle enoiche della Liguria, apprezzato da Plinio il Vecchio ed esportato anche a Pompei. Ne scriverà il Boccaccio nel Decamerone. E a sua volta Petrarca e in tempi più recenti, Carducci, Pascoli e D’Annunzio appunto, facendone tra i più lirici vini d’Italia. Fino al Moscato d’Asti, il vino dolce più bevuto al mondo, ma anche il più antico spumante aromatico italiano, i cui produttori si costituiranno in un consorzio già nel 1932. Lo ritroviamo nel pregevole menù autografato da Gabriele d’Annunzio, dedicato “Al colonnello Dezzani, valoroso quanto generoso”, che ci riporta indietro a quel 18 ottobre 1919, quando presa Fiume con i suoi legionari, il poeta-soldato riunisce i suoi a cena, scontenti della risposta tiepida del Governo di Roma. Un pezzo unico, che elenca la sequenza dei piatti che vennero serviti per l’occasione: minestra in brodo, timballo di salmone, vitello arrosto e con i dessert naturalmente Asti Spumante. Tra le altre curiosità del libro, si segnalano la denominazione Acquarzente, in sostituzione del francese cognac, la scelta di chiamare Molovin un liquore da lui inventato, e i carteggi con celebri produttori e ristoratori dai quali si faceva inviare casse di vino pregiato, magari in cambio di una sua fotografia con dedica.