ALLE ORIGINI DEL SAKE
Il sake è il frutto della magia di un rituale giapponese, bevanda dai mille volti ancora da scoprire, difficile da definire senza cadere in facili fraintendimenti.
La cultura del sake si è diffusa recentemente in Italia e dopo anni di titubanza abbiamo iniziato ad apprezzarlo, molti però sono ancora i dubbi e le false credenze che ruotano intorno a questa bevanda alcolica.
Il sake innanzitutto non è un liquore o un distillato e non ha una gradazione alcolica simile a quella di una grappa o di un superalcolico. Può essere bevuto a tutto pasto, in abbinamento al cibo – non solo a quello giapponese – poichè ha una gradazione alcolica più simile a quella del vino, che varia solitamente tra i 12° C e i 18° C in base alla tipologia, e può essere servito freddo, caldo oppure né caldo né freddo.
In giapponese il termine sake significa semplicemente “alcool” e con questa parola viene indicato tutto il mondo alcolico, dal vino alla birra, fino ad arrivare al whisky.
Per indicare quello che noi occidentali chiamiamo sake i giapponesi dicono invece nihonshu, che letteralmente significa «bevanda alcolica giapponese».
Il Nihonshu è una bevanda a base di acqua, lievito, riso e koji (un fungo che serve a trasformare l’amido del riso in zuccheri semplici), è un fermentato come il vino e la birra, ma con differenze sostanziali durante la produzione.
È fatto per l’80% di acqua, la cui qualità è estremamente importante per la riuscita di un ottimo prodotto. Se si utilizza un’acqua più dolce si otterranno dei sake più morbidi mentre se si utilizza un’acqua più dura il sake avrà tratti più secchi.
Altro protagonista importante è il riso. Qui è bene precisare che non si intende riso da tavola ma bensì del sakamai, una varietà di riso che viene usata esclusivamente per la produzione del sake. Ha chicchi più grandi e morbidi rispetto a quelli del riso normale, e quindi anche un alto livello di assorbimento dell’acqua, cosa fondamentale per la produzione del sake. Il tipo di riso e la sua lavorazione identificano il corpo del sake.
E poi c’è il koji, senza il quale non si potrebbe ottenere il sake. Chiamato in maniera più corretta Aspergillus oryzae, si tratta di un fungo presente in natura che trasforma l’amido del riso in zuccheri semplici; zuccheri che poi, con l’aggiunta del lievito, permettono di arrivare a una fermentazione alcolica perfetta.
Infine i lieviti, che sono equivalenti a quelli usati per il pane. Si utilizza il Saccharomyces cerevisiae e, a seconda del risultato desiderato, si utilizzano specie differenti di lievito che vanno a creare lo stile del sake.
Il sake è un mondo di sapori nascosti e non lo si serve mai da soli, ma si lascia che siano gli altri a versarlo a noi: un atto di convivialità, armonia e rispetto.