ALL ABOUT WHISKY: LE BOTTI, INVECCHIAMENTO E AFFINAMENTO
Parlando di Scotch Whisky, il momento in cui l’aqua vitae può fregiarsi ufficialmente del nome “Whisky”, è solo dopo aver passato almeno tre anni in botte. Prima deve riposare, maturare, anzi, per usare il termine corretto, deve “invecchiare”, così ci insegna il disciplinare scozzese.
Secoli di esperienza dei mastri distillatori, dimostrano che il legno migliore per produrre le botti è quello di quercia. Questo per una serie di motivi chimici e tecnici: la quercia, infatti, ha delle caratteristiche uniche di robustezza e malleabilità, ha una impermeabilità naturale, ma al tempo stesso, un’ottima porosità che permette lo scambio di ossigeno. Inoltre, e non ultimo come ordine di importanza, è caratterizzato dal fatto di donare forti componenti aromatiche.
Il whisky, specialmente nei suoi primi anni di vita, è un distillato estremamente delicato. Forse fin troppo sensibile agli agenti aromatici che il legno cede. Questo impone che le botti usate per l’invecchiamento e l’affinamento non siano mai nuove. Il legno di quercia nuovo sarebbe troppo aggressivo e tramite i suoi agenti aromatici naturali ed esplosivi, cancellerebbe quasi completamente il gusto del whisky. Pertanto, vengono utilizzate solo botti che abbiano prima ospitato altri alcolici.
Le più usate sono botti ex-bourbon (barrel) e ex-sherry (butt), con una netta predominanza per le prime. Questo per due motivi. Il primo è meramente commerciale, essendo che le ex-bourbon sono più facili da trovare ad un prezzo più conveniente. Il secondo, invece, perché alcuni distillatori non vogliono “mischiare frutta e cereali”, preferendo che ci sia una naturale prosecuzione nell’utilizzo di cereali all’interno della stessa botte. Lo sherry è prodotto con l’uva, il bourbon con i cereali. Secondo alcuni distillatori, invecchiare il whisky in botti dove prima c’è stata l’uva è sbagliato. Ma, a nostro parere, questo motivo, che potrebbe avere una logica di base, non trova riscontro nella realtà empirica. Personalmente, ad esempio, prediligo il whisky invecchiato in sherry butt: è meno abboccato e vanigliato, quasi tagliente. Ma qui, come sempre accade, entriamo nell’insindacabile sfera del gusto personale.
In realtà, le ragioni di base che dettano la scelta, sono molto meno poetiche: il minor utilizzo di botti ex-sherry è determinato dal fatto che, ad oggi, la richiesta di whisky è talmente alta che non ce ne sono abbastanza e, quelle poche a disposizione, costano care. Alcune distillerie più solide economicamente (quindi possedute da grandi gruppi) hanno addirittura acquistato cantine produttrici di sherry, al fine di assicurarsi una fornitura costante. Pertanto, in generale, il miglior compromesso tra costi e qualità è a tutto appannaggio delle botti ex-bourbon.
La tipicità del whisky è influenzata anche da un altro fattore, la dimensione stessa della botte, che è fondamentale. Anticamente le botti erano delle più svariate dimensioni e forme, andando a creare enorme confusione, anche a livello di magazzinaggio e trasporto. Oggi si cerca una certa uniformità nelle dimensioni, anche se non sempre ci si riesce. Tra i quattro tagli più comuni di botte, la Quarter Cask è la più piccola, da 125 litri. Veniva usata per essere trasportata a dorso di mulo, in quanto leggera, ma a causa delle sue ridotte dimensioni, la parte di legno a contatto con il whisky è maggiore e la sua influenza molto decisa. Spesso è utilizzata per accelerare il processo di maturazione. La American Standard Barrel (ASB) è la classica botte americana da bourbon, da 200 litri di quercia bianca estremamente aromatica. È diffusissima ed economica, se ne possono trovare intorno ai 50 dollari al pezzo. C’è poi la Hogshead: sono botti da 250 litri, tra le più comuni in Scozia. Vengono costruite utilizzando il legno delle ASB, che vengono smontate e trasportate oltreoceano su bancali. Una volta giunte in Scozia vengono riassemblate in forme più capienti e bruciate a fiamma viva per pochi secondi. Di solito da cinque ASB si riescono ad ottenere tre Hogsead. Infine, la Sherry Butt, la più grande, che misura tra i 500 e i 600 litri. Sono estremamente rare e quindi molto preziose. A causa della loro grande dimensione, sono quelle che influiscono in maniera più leggera ed elegante sul whisky.
Per quanto riguarda il tempo di invecchiamento, la regola base è che il whisky più anni sta in botte e meglio dovrebbe diventare. Ma non è una verità assoluta. Molto dipende dalla combinazione iniziale spirito/tipo di botte. Ci possono essere casi in cui il whisky è talmente delicato e il carattere della botte così invasivo che superata una certa soglia di invecchiamento, il prodotto finale può solo peggiorare. Da non sottovalutare, nella definizione finale del whisky, l’effetto Angels’ Share, la parte di evaporazione naturale di prodotto che la botte naturalmente rilascia. Normalmente, siamo intorno ad un 1/2% annuo, ma ci sono alcuni casi come per l’Armut prodotto in India che, a causa delle condizioni climatiche non favorevoli, può arrivare al 12,5%.
In alcuni casi, per fornire al mercato un prodotto diverso e originale, la conclusione del processo di invecchiamento avviene con l’affinamento, che dura pochi mesi, durante i quali un whisky, in teoria quasi pronto per l’imbottigliamento, viene travasato in botti particolari come quelle di Porto, Brunello di Montalcino o Sauternes, senza limiti alla fantasia. Queste botti conferiscono aromi caratteristici al whisky che richiamano i contenuti primari: per esempio, le botti di Brunello doneranno connotazioni vinose e tanniche, quelle di Sauternes sensazioni di zafferano e di dolcezza. A volte i risultati sono molto intriganti, altre volte decisamente deludenti.