ALL ABOUT WHISKY: IL PROCESSO PRODUTTIVO

Ricordando gli argomenti sviluppati nella precedente puntata di All About Whisky che riguardava gli ingredienti, verrebbe da pensare che produrre whisky sia un processo tutto sommato facile, che dà sempre lo stesso prodotto: del resto, come abbiamo visto, gli ingredienti sono solo tre. Acqua, orzo e lievito. Per dare un’immagine esplicativa si potrebbe pensare ad un bel parco macchine sportive, magari tutte rosse. Se lo vediamo da lontano ci possono sembrare tutte uguali, però avvicinandoci cominciamo ad accorgerci delle differenze distintive di ogni vettura.

Stessa cosa per il whisky: la combinazione dei tre ingredienti, il processo produttivo, l’invecchiamento, danno un prodotto che può sembrare tutto uguale ma, vi assicuro, che ha mille sfaccettature tutte diverse tra loro.

Il primo, fondamentale passo per fare un whisky è trasformare il nostro cereale di riferimento, in questo caso l’orzo, in malto. La maltazione deriva dalla germinazione dei grani: si mette l’orzo a bagno in acqua attendendo che il germoglio interno fori la pellicola superficiale dell’orzo rendendo così accessibili gli amidi e gli enzimi contenuti nel chicco. La germinazione va però fermata e il modo per farlo è seccare il malto con una fonte di calore: è qui che si apre un mondo enorme e variegato di aromi.

A seconda delle zone della Scozia, la tostatura del malto avviene con fuoco alimentato da torba o da legna. Attualmente, nelle distillerie più giovani, il processo invece viene fatto elettricamente. Ogni tipo di tostatura esercita un carattere distintivo su quello che sarà il prodotto finale.

Una volta che l’orzo maltato è ben asciutto, viene macinato in maniera grossolana creando una specie di farina chiamata grist. Questa viene miscelata con acqua calda nei mash tun, dove gli enzimi e gli amidi passano all’acqua. Praticamente lo stesso procedimento delle bustine di tè nella teiera. Quello che ne deriva non è ancora alcolico, ma molto zuccherino e di colore scuro, si chiama wort. Vi si aggiunge il lievito per dare inizio alla fermentazione che porta alla creazione di alcol. Il prodotto che viene fuori è birra a tutti gli effetti, con una gradazione tra il 7% e il 9%. Una birra decisamente cattiva.

Successivamente si passa alla fase della distillazione vera e propria, un processo che, tramite l’utilizzo del calore, riesce a separare la parte alcolica dall’acqua. Entrano in gioco i pot still: degli alambicchi di rame nel quale questa birra bolle fino all’evaporazione dell’alcol. Questo, avendo un punto di ebollizione inferiore a quello dell’acqua, sale in forma di vapore alcolico lungo il collo dell’alambicco. Lì verrà raffreddato in un condensatore tornando allo stato liquido.

Solitamente avvengono due processi di distillazione: nel primo si raggiunge una gradazione alcolica intorno al 20%, mentre con il secondo si sale di altri dieci punti. Il risultato della seconda distillazione però non viene utilizzato tutto. La prima parte, detta testa, è di un tenore alcolico molto elevato e spesso tossico. Viene quindi scartata al pari della parte finale, la coda, che è molto concentrata, di bassa gradazione e cattiva al gusto. La testa e la coda non vengono gettate, ma riutilizzate in un altro processo di distillazione. In Irlanda possiamo assistere addirittura a una tripla distillazione.

Il distillato che ne deriva non è ancora considerabile whisky. Per disciplinare deve riposare, maturare, affinare in botti di rovere per almeno tre anni. È stato sperimentato che le botti nuove conferiscono aromi troppo incisivi e quindi vengono utilizzate botti che hanno ospitato in precedenza altri alcolici. Nella maggior parte dei casi sherry e bourbon, anche se ultimamente, per rispondere ad esigenze di mercato sempre più variegate, possiamo assistere all’utilizzi di botti ex porto, vino, sauternes, senza limiti alla fantasia. Non solo ogni tipologia di botte conferisce caratteristiche diverse, ma ogni singola botte non darà mai un prodotto uguale all’altra.

Un bravo whisky maker (e quelli veramente bravi vengono pagati a peso d’oro) riesce a creare un prodotto sempre costante miscelando al meglio i prodotti di ogni singola botte. Attenzione a non fare confusione però. Non sta creando un blended, ma sempre un single malt. Col termine single si intende non proveniente dalla stessa botte, ma dalla stessa distilleria. Altrimenti parliamo di single cask o single barrel.