MARTINI COCKTAIL: STORIA E MITO

Se in quelle ore viola che precedono la notte si ordina un Martini cocktail, ci si dimentica quasi del resto del mondo. Sorseggiare il re dei cocktail può essere un momento di alto appagamento in cui si rimane sedotti anche solo osservando il rituale della sua preparazione, quasi come a pregustarlo.

È il cocktail più conosciuto e richiesto al mondo, a base di gin e vermouth, espressione di cultura, un modo di vivere dietro al quale si celano leggende, convinzioni e ritualità. Il suo nome non è correlato al Martini inteso come azienda produttrice di vermouth, e uno degli errori più comuni è quello di pensare che sia un cocktail morbido e dolce.

Esistono molte ipotesi sulla sua creazione e sui suoi possibili padri e l’unica cosa che si può dire con certezza è che ognuno ha la propria visione del Martini ma nessuno può avere l’ultima parola. Ed è come se non esistesse Martini cocktail se non quello sartoriale, fatto su misura per ognuno di noi, capace di toccare le corde emotive più profonde. Questo però non vuol dire che non ci siano delle guide che nell’infinito mondo del Martini possano fare da punti cardinali, con il loro stile e le loro versioni di questo mitologico drink.

Photo credits Claudia Calegari

Il signor Queirolo, un ligure di Arma di Taggia, nel 1910 a New York, presso il Knickerbocker Hotel modificò il cocktail Martinez e servì questo nuovo cocktail in onore di John D. Rockefeller, uno degli uomini più ricchi di quell’epoca. Diminuì la dose di vermouth, utilizzò un vermouth extra dry francese, il Noilly Prat con note di ginepro, noce, buccia d’arancia amara e tamarindo, ed infine aggiunse un twist di scorza di limone e un’oliva come decorazione. Un cocktail dedicato alla madre che di cognome faceva appunto Martini.

Ernest Hemingway amava invece un’altra versione del Martini Cocktail, il Montgomery. In un passo del romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi” parla del Martini 15:1. Prende il suo nome dal generale inglese Montgomery, che non voleva attaccare se le truppe non avevano una proporzione di quindici contro uno. In questa versione del Martini, anche se il gin è il padrone assoluto e non viene mai citato l’uso di un vermouth in particolare, potrebbe sorprendervi l’utilizzo del Vermouth di Torino Dry Cocchi limited edition, nato nella sua prima versione nel 2014 dalla collaborazione con l’American Bar del Savoy di Londra per la creazione di un prodotto unico. Dalla seconda edizione aggiornata nasce un vermouth italiano arricchito con agrumi, bergamotto ed erbe alpine del Piemonte.

Photo credits Claudia Calegari

Infine la versione del Martini di James BondShaken, not stirred”, il Vesper Martini. Inventato dallo scrittore Ian Fleming nel romanzo Casino Royal del 1953, tre parti di gin, una parte di vodka e mezza parte di Kina Lillet oggi non più in produzione, da sostituire con il Lillet Blanc per rimanere fedeli all’originale, un vermouth dalle note intense di rosa gialla e ginestra, con lievi accenni vegetali di erbe aromatiche e sbuffi balsamici.

Il Martini è un cocktail che non ha una versione definitiva, in cui le uniche certezze sono la temperatura di servizio e di conseguenza la giusta diluizione, la coppetta ghiacciata e ottimi ingredienti. Per Mauro Lotti, il barman mostro sacro del Martini: “Non esiste il Martini perfetto, ma c’è un Martini per ognuno di noi. Basta solo scoprire quale sia”.