MAROCCO, NEL CUORE DEL REGNO
L’ultima virata e l’aereo della Ryan Air atterra in perfetto orario nell’aeroporto di Fès-Saïss (FEZ). È già sera inoltrata e il nostro amico e driver Samad, che ci accompagna in questo viaggio on the road da Fès a Rabat, ci propone di andare subito al ristorante. E che ristorante. Cuore pulsante dell’elegante Riad Fès, splendido Relais & Châteaux situato in un antico palazzo del XIV secolo all’interno della medina, il ristorante gastronomico Gayza ci accoglie con i suoi profumi, i suoi colori e l’atmosfera orientale proponendo un’inconsueta e deliziosa combinazione di spezie e sapori a cura dello chef Abida. Il dolce tepore del camino, l’acqua che scorre placida e l’atmosfera rilassata invitano all’abbandono e al “dolce far niente” nell’antica città imperiale di Fès, massima espressione dell’identità culturale del reame Alawide.
La città dorme ancora quando il sole fa capolino dall’alto della collina di Borj Nord e noi possiamo ammirarla in tutta la sua bellezza. A sud Fes el-Jedid, la città imperiale costruita a partire dal 1200, dove si trovano la stazione, il Palazzo Reale, il quartiere ebraico Melah e la Ville Nouvelle francese. Al centro e verso nord-est l’antica città fortificata medievale di Fes el Bali, la più grande e meglio conservata del mondo islamico, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Nella medina vi sono ben 9.000 stradine molte delle quali hanno larghezza tale che a fatica passa una persona. Meglio, quindi, avere una guida con sé per ammirare e individuare i luoghi simbolo dell’antica capitale imperiale. La medina è anche il regno dello shopping in cui trovare davvero di tutto tra l’infinita varietà di negozi, bazaar, bancarelle e mercati di ogni genere: artigianato in legno, metallo e cuoio ma anche tappeti, ceramiche, tessuti, ottone e pelli, tutto trasportato ancora a dorso d’asino.
Imperdibile la visita alle Chouara, le concerie medievali in cui tutt’oggi, le pelli di mucca, cammello, pecora e capra, vengono trattate come nel XVI° secolo. Uno straordinario alveolo di cisterne di pietra, riempite di pigmenti multicolori giallo curcuma, blu indaco, verde menta, rosso papavero ed altri ancora, in cui le pelli vengono pulite, ammorbidite, colorate e infine stese ad asciugare da artigiani immersi nelle vasche, spesso a gambe nude. Un vero girone dantesco da ammirare dalle terrazze affacciate sull’alveare, con un mazzolino di menta sotto il naso, per alleviare il forte e persistente odore. Bab Boujloud, conosciuta anche come la Porta Azzurra è la porta monumentale d’entrata della medina, magnifica con le sue maioliche blu e verdi in stile moresco–andaluso. La porta è stata ristrutturata nel 1913 circa 1000 anni dopo la costruzione dall’allora illuminato generale francese Hubert Lyautey. Fes el Bali è anche la sede dell’imponente Moschea e Università al-Karaouine, una delle più antiche del mondo musulmano occidentale, costruita nell’859. La moschea è un capolavoro realizzato nei secoli, con una forte influenza Meridide del XIII secolo, trionfo degli stucchi e dei Kufid, l’antica forma calligrafica araba.
Continuando nel solco della cultura, imperdibile il romanzo autobiografico “La terrazza proibita” della scrittrice marocchina Fatima Mernissi. Siamo negli anni 40 del secolo scorso dove vigono solo regole rigide e costrittive da seguire. Però Fatima non smette di sognare. Sogna di raggiungere, con le altre donne di casa la terrazza, il luogo proibito, dove davvero poter essere sé stesse, confrontandosi e raccontando storie vietate nell’harem. “Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez. Mio padre era solito dire che con i cristiani, e con le donne, i guai nascono quando non vengono rispettati gli hudùt, ovvero i sacri confini. In quei tempi né donne né cristiani volevano saperne di accettare confini…”, Fatima si racconta, spiegando che significa crescere in un harem e vivere nel Marocco di quei tempi.
Samad conosce bene la strada che si inerpica sui saliscendi collinari che, si dividono lo spazio con infinite piantagioni di ulivi, mandorli e campi coltivati. La nostra meta è Rabat, la città giardino, il fiore all’occhiello del Reame. La prima tappa però è Volubilis, un’antica città romana del III secolo a.C. che faceva parte della provincia della Mauritania. Dieci secoli di storia e civiltà, tutelati dall’Unesco come Patrimonio Mondiale. Le sfarzose rovine si estendono su 42 ettari con stupendi mosaici, la basilica, il tempio di Giove e l’arco trionfale in onore dell’imperatore Caracalla. Una sosta per un buon caffè italiano forte e ristretto (ormai lo sanno fare bene quasi come nel nostro paese) e siamo di nuovo in marcia.
Meno di un’ora per raggiungere la bella città imperiale di Meknes, con il suo mercato coperto, pulito, invitante e con la merce esposta quasi a creare forme geometriche perfette. Siamo nella città degli Almoravidi che vi si stabilirono nel X secolo. Ma la sua fama si deve a Moulay Ismail conosciuto in Europa come “il re sanguinario” perché lui stesso uccideva chi non si sottoponeva al suo volere. Non si fermò dinnanzi a nulla pur di creare la sua grandiosa capitale: 30.000 operai di cui molti schiavi cristiani vi lavorarono incessantemente per costruire sontuosi palazzi, giardini, fontane, moschee, scuole coraniche e porte monumentali, il tutto racchiuso da possenti mura difensive. Nel suo Palazzo Reale, vissero 500 concubine, ebbe 140 figli e regnò per 57 anni. Il suo mausoleo (visitabile) è un capolavoro dell’arte islamica. La città è anche conosciuta per i suoi 50.000 artigiani, specializzati nelle sculture in legno di cedro e tuia e per i lavori di “damaschinatura”, sottilissimi fili d’argento e oro inseriti su creazioni in ferro.
È quasi sera quando finalmente arriviamo nella capitale: Rabat la città della luce, la città giardino, la città più pulita del Reame. Tanti aggettivi per celebrare, forse, la più bella città africana. Affacciata sull’oceano Atlantico è un vero gioiello di edifici coloniali, viali traboccanti di palme e ficus e atmosfera cosmopolita. Monumenti fenici, romani, Almohadi e della dinastia berbera di Merinide raccontano la lunga storia di Rabat.
Il sorprendente Museo Mohammed VI di Arte Moderna Contemporanea, racconta l’attualità e come il paese guardi al futuro. L’immenso spiazzo della Torre Hassan, con le colonne romane portate dalla città di Volubilis, disegnano la magnificenza del Reame, al pari del contiguo meraviglioso Mausoleo di Mohammed V (nonno dell’attuale Sovrano). Qui si può ammirare la Guardia d’Onore che veglia sulle tombe reali, sia a piedi che a cavallo. Il fiume Bob Regreg sfocia nell’Atlantico, dividendo Rabat situata sulla sponda meridionale, dall’antica città pirata barbaresca di Salè, situata a settentrione. È dalla sua moderna marina che il colpo d’occhio sulla Kasbah Oudayas assume forme spettacolari. Tra il bianco delle costruzioni, il verde intenso dei giardini, l’azzurro del cielo e l’ocra dei bastioni fortificati sembra di state in un libro d’avventure. Ha perfettamente ragione Tahar Ben Jelloun, celebrato scrittore marocchino quando descrive il suo paese: “E se il Marocco fosse un libro, un meraviglioso manoscritto conservato in una di quelle belle case di Fes o Marrakech, un racconto sussurrato dal vento della storia, un libro da leggere e rileggere, un’opera inesauribile, capace di fondere semplicità e grandezza d’animo”. Il Marocco è tutto ciò, anche di più perché, come afferma Ben Jelloun: “Se è vero che ci sono paesi che ci incantano e altri che ci maltrattano… è anche vero che molto dipende dalla nostra predisposizione… L’anima non si dà, non si concede, non svela niente della sua intimità. È in noi o non lo è”.
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Photo credits Mauro Parmesani