AYMAVILLES: UN VINO, TRE CANTINE
Si fa spesso un gran parlare, in Italia, di promozione del vino e dei territori, ad opera di cantine e consorzi. Nella piccola e ricca Valle d’Aosta troviamo un bell’esempio di progetto volto alla valorizzazione del territorio, presentato da un gruppo di produttori in occasione dell’ultima vendemmia di San Martino. Le aziende Les Crêtes, Cave des Onze Communes e Didier Gerbelle hanno vinificato, assieme, due uve autoctone, Neyret e Fumin (cultivar tra le più antiche della regione, tardive e dalla buccia spessa) con l’obiettivo di creare un vino rosso che, prodotto in appena 500 esemplari, sarà servito in occasione di iniziative speciali organizzate dal Comune di Aymavilles.
Il paese, infatti, è tra le mete più gettonate dai turisti grazie ai suoi numerosi sentieri, essendo alle porte del Parco Nazionale Gran Paradiso, il Castello del XII secolo e le Chiese di Saint Martin e di Saint Léger. Queste ultime, edificate tra il ‘600 e il ‘700, sono tra le prime erette in Vallée. Circondati da storia e grandi arredi architettonici, la collina che ospita l’azienda Les Crêtes, tra declivi morenici, propone una vista su un orizzonte ben rappresentativo della regione, punteggiato da castelli, montagne, vigneti e un’ampia vista sulla vallata, in cui godere di molte ore di luce. Il vino diventa a gran voce un elemento centrale per la promozione di esso stesso e di un territorio vocato alla viticoltura, considerata tra le più eroiche del mondo. Basti pensare alle 1200 ore di lavoro, manuale, necessarie per lavorare un singolo ettaro.
Organizzato proprio presso Les Crêtes, l’evento di presentazione di questo progetto ha messo in luce anche l’excursus della viticoltura valdostana, passata da 3000 ettari vitati ai 600 attuali, e i risultati di anni di studio dei suoli che caratterizzano le diverse aree di produzione in cui la vite è sicuramente uno degli elementi del paesaggio la cui tutela e salvaguardia spinge sempre più giovani, e non, a investire le proprie risorse nella produzione del vino.
Riportiamo di seguito alcune parti dell’intervento di Rudy Sandi, ricercatore, laureato in agraria e impiegato in amministrazione regionale: “le radici, andando in profondità, incontrano strati di una roccia madre tra le più complesse in Europa per la sua genesi. Nei settanta chilometri che separano Pont-Saint-Martin, primo paese vitato, e Morgex, si trovano moltissime formazioni rocciose che prima dell’orogenesi alpina si spalmavano in migliaia di Km. Le tre grandi placche tettoniche (l’antico continente europeo, l’antico bacino oceanico e il continente africano) in origine si distribuivano lungo una fascia larga 3000 km, sino a quando 100 milioni di anni fa si accartocciarono l’uno sull’altro, in uno spazio assai più ridotto di 400 Km. Uno scontro che ebbe il suo epicentro proprio in Vallée, come dimostrato dalla presenza, in uno spazio così ristretto, delle più alte montagne d’Europa: i complessi del Gran Paradiso, del Monte Rosa, del Cervino e del Monte Bianco. […] I suoli ad Aymavilles sono composti da dure rocce cristalline appartenenti all’antico basamento della placca europea (micascisti) ma vi si trovano anche affioramenti di friabili calcescisti (ricchi di sale); la roccia madre del sottosuolo di questa zona si origina infatti dalla poco coriacea placca tettonica dell’antico oceano perduto. Sul suo fondo si accumulavano sedimenti trasportati da grandi frane sottomarine provenienti dal bordo delle scarpate continentali. Questi sedimenti formano calcescisti nel sottosuolo capaci di conferire grande finezza ed eleganza ai vini. Tutti questi profili geologici sono estremamente drenanti a garanzia di una viticoltura di qualità (l’uva non ama eccessi di acqua). Si conclude affermando che i profili si susseguono così rapidamente e con tale discontinuità lungo i 50 Km di area vitata, da creare così tante «famiglie» di suoli e di sottosuoli che, come agronomo, ho francamente difficoltà a definirli terroir intendendo come tali territori vitati di una certa vastità dotati di caratteristiche omogenee a livello di clima, esposizione, suolo e sottosuolo. Forse la Vallée vitata sarebbe meglio definirla come un insieme continuo di crus di diversa qualità intendendo come tali piccole zone vitate dotate di caratteri omogenei ad ennesima riprova dell’estrema biodiversità del territorio valdostano”.
La ricca biodiversità che contraddistingue la Valle d’Aosta si traduce quindi in 12 profili geologici distinti e una presenza di 425 ettari all’interno della Doc sui 600 presenti, in cui moltissimi vigneti erano già citati in documenti del 1300, a conferma dell’antica storia viticola della regione. I risultati dell’ultima vendemmia lasciano inoltre intravedere gli scenari futuri in vista del cambiamento climatico in atto, la vallata centrale della regione presenta le condizioni adatte per la vite, per via della presenza di vento costante e tante ore di luce ma anche capacità delle piante di adattarsi ai periodi di siccità essendo in un luogo che, di fatto, costituisce la maggiore riserva d’acqua d’Europa in grado di alimentare fiumi quali Danubio, Reno e Rodano.
Da qui, uve sanissime, pochissimi trattamenti, molta presenza di acqua e la possibilità di sfruttare maggiormente in futuro, anche dei fondi valle, ricchi di sabbia, oltre le superfici sopra i 400 metri s.l.m. In Valle d’Aosta sarà possibile piantare10 ettari all’anno fino al 2042. Ci si aspetta dunque una crescita di superfici e di produzione.
Nell’attesa, sia per l’assaggio del rosso prodotto per il Comune di Aymavilles, in uscita non prima del 2024, si può godere delle produzioni attuali, che le cantine hanno proposto lo scorso 11 novembre. Di particolare rilievo il Petite Arvine 2019 della Cave des Onze Communes, l’Aîné 2019 di Didier Gerbelle e il Fumin 2020 di Les Crêtes.
DEGUSTAZIONE
Petite Arvine 2019 Cave des Onze Communes
Si tratta di una delle principali cooperative vitivinicola valdostane, che dagli anni Novanta ha iniziato un lungo processo migliorativo e di crescita costante che sfocia in una produzione annua di 500.000 bottiglie. Volumi produttivi impressionanti per un’azienda valdostana. Le 160 le aziende associate producono in 63 ettari vitati, distribuiti su undici comuni ad altezze tra i 550 e i 850 metri s.l.m. Nella recente gamma Onze Communes la Petite Arvine vinifica e affina per dieci mesi in vasche di granito del Monte Bianco a cui segue un anno di riposo in vetro lasciate in ex miniere di magnetite di Cogne, le miniere più alte d’Europa ad oltre 2000 mt. di quota a una temperatura costante di 6°C. Il risultato? Un vino morbido, di buon corpo, assai agrumato, tra cedro e toni fumé; si dipana con buona persistenza scrivendo sul palato la storia del suo affinamento. Trasuda di roccia, di mina. La sensazione ad un certo punto è quella di immergersi in un piccolo lago salato.
L’Aîné 2019 Didier Gerbelle
È un’azienda di stampo piuttosto recente: Didier Gerbelle nel 2006, dopo la scuola enologica di Alba, ha deciso di rilevare l’attività di famiglia per portarla in una nuova dimensione. In meno di tre ettari, nei comuni di Aymavilles e Villeneuve, coltiva Petit Rouge, il Cornalin (biotipo Broblanc), la Premetta e il Fumin, Pinot Grigio e Gewürztraminer. Ttra le 15.000 bottiglie annue c’è anche il Neyret, antico vitigno menzionato in Valle d’Aosta già nel 1587, qui vinificato in purezza sotto il nome di L’Aîné. In tiratura limitatissima affina in anfora e carati di legno e riesce, con grande freschezza, ad esprimere terrosità assieme a una buona dose spezie. La sua è una capacità di rilascio di energia fatta di succo, tannini e allungo che ricorda le terre d’oriente. Un autoctono valdostano coi fiocchi a 23€.
Fumin 2020 Les Crêtes
Attiva dal 1750, l’azienda è frutto del lavoro portato avanti dalla famiglia Charrère, da qualche tempo in cantina c’è l’enologo Raffaele Crotta che vinifica le uve provenienti da 30 ettari, suddivisi in 9 comuni lungo la Dora Baltea, dall’alta alla bassa Valle. L’appezzamento più ampio e storico è nella collina in cui si trova la cantina, in cui spicca la torre medievale, ex residenza di caccia del Re Vittorio Emanuele. Dalla produzione annua di circa 200.000 bottiglie il Fumin resta una delle migliori certezze. Si distingue per serbevolezza e una eleganza mai ostentata. Dopo un anno di affinamento in rovere da 300 litri e un riposo di 6 mesi in bottiglia, restituisce toni armonici già al primo naso, sensazioni di pepe, muschio e un alone più terroso che evapora in un istante. Al palato ecco un’appagante sensazione, come di vapore, che riporta a quel tepore percepito dinanzi a un camino in inverno. Prodotto dall’azienda dal 1993, vanta anche un buon rapporto qualità/prezzo (20€). Le prime tracce del Fumin vengono fatte risalire al 1838 ad opera di Lorenzo Francesco Gatta, il suo nome deriva dalla pruina sugli acini, che li fa apparire come “affumicati”.
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