DA TRAPANI A SIRACUSA, IL GRILLO COAST TO COAST
Erano gli anni in cui Charles Darwin sconvolgeva e dissestava le conoscenze di inizio Ottocento. Nello scorrere di un secolo decisivo per la scienza, il biologo inglese approfondiva, dimostrava e imprimeva con inchiostro su carta le sue teorie evoluzionistiche. Le porte spalancate da Darwin vennero attraversate pochi anni dopo da Mendel, che studiando gli incroci pose le fondamenta della genetica moderna. Erano anni di grandi ricerche, quindi, anni in cui l’interesse per l’evoluzione e per l’eredità dei caratteri brillava ai massimi vertici. La curiosità dell’essere umano, a quell’epoca, divulgava in ogni disciplina di studio. Il Barone Antonio Mendola – agronomo, ampelografo e viticoltore – non fu da meno. Nativo di Favara, il nobile proprietario terriero non mancò di sperimentare, incrociare, osservare, studiare la sua materia di elezione, quella che più di tutto lo appassionava: l’agricoltura, o più specificamente, la coltivazione della vite.
Fu da lui, dalla sua inclinazione naturale agli studi scientifici, che nacque il Grillo. Il Barone Mendola lo creò così: incrociò due varietà a bacca bianca che, più di altre, racchiudevano il potenziale siciliano, la meravigliosa esuberanza solare di questa terra variopinta, luminosa, incredibilmente più simile a un Paese a sé stante che a una singola Regione. Quel minuscolo continente che è la Sicilia si specchiava nell’intensità dello Zibibbo e del Catarratto, due uve a bacca bianca di chiaro e netto stampo siculo. Dal loro incrocio nacque il Grillo, varietà ancora oggi protagonista del vigneto marsalese, trapanese e forse siciliano in genere.
Se l’inizio della sua storia lo vide impiegato nella produzione del Marsala, i tempi più recenti lo esaltarono anche come solista in una vinificazione destinata alla produzione di vini bianchi secchi e fermi, insieme alla più moderna spumantizzazione, alla Riserva, al vino passito dolce o alla vendemmia tardiva. Un vitigno capace di cambiare la sua espressione in base alla zona in cui è coltivato, ma che rimane saldo su alcuni caratteri imprescindibili, pilastri varietali che gli appartengono per genetica.
Un esempio di questi caratteri è l’acidità, che persiste anche nei casi in cui l’uva viene sottoposta a maturazioni spinte. Poi il corredo aromatico, che abbonda di terpeni, tioli e norisoprenoidi. Se i primi gli sono stati trasmessi in eredità dal profumatissimo Zibibbo, i secondi costituiscono il substrato per la liberazione di aromi tipicamente erbacei e agrumati, quali il passion fruit, il pompelmo, il bosso, gli stessi che si ritrovano abbondantemente all’interno del Sauvignon Blanc, per intenderci. Infine i norisoprenoidi, conosciuti anche come aromi degli ambienti luminosi e assolati, derivano dalla scissione dei carotenoidi, pigmenti che rivestono un importante ruolo, anche protettivo, durante il processo fotosintetico negli organi vegetali. Negli ambienti caldi a intensa radiazione luminosa, dove la pianta è sottoposta a potente radiazione solare e ad elevata attività fotosintetica, la dotazione di carotenoidi sarà piuttosto significativa e, pertanto, lo sarà anche quella dei successivi e conseguenti norisoprenoidi, che tanto ricordano le note morbide della frutta matura e quelle delle spezie.
Ne deriva un profilo di bacca bianca esuberante, solare nella sua espressione del frutto al naso e marcata nella freschezza al sorso. All’interno di questi tratti imprescindibili, poi, si sviluppa un mondo di sfumature che variano in base alla parte di Sicilia in cui il Grillo è radicato. Perché la Sicilia è realmente un piccolo mondo a sé stante, un regno dominato più dalla natura che dall’uomo, quella natura che si prende i suoi spazi con un tratto di legittima prepotenza, irrompendo da ogni parte con un’intensità che ha davvero pochi eguali nel nostro Paese. La sfida della denominazione Sicilia DOC è infatti proprio questa: l’ardua missione di riuscire a comunicare un territorio così vasto, variabile e variopinto, riassumendolo in un’unica dicitura.
La DOC Sicilia è composta da mille facce e da mille anime, di cui il Grillo ne rappresenta una soltanto. Ogni frammento di Sicilia ha da raccontare il suo personalissimo carattere e la sua storia, i suoi vitigni e le sue tradizioni viticole, la sua gastronomia, il suo dialetto, il suo territorio. Le coste ammaliano con un mare cristallino, che in alcune zone è decisamente più freddo e in altre zone è fin quasi tiepido; le rocce sono bianchissime e brillanti alla Scala dei Turchi ma diventano una dorsale montuosa nelle Madonie, mentre sull’Etna i basalti neri sono uno scrigno di magma e di potenza. Le spiagge sono allegre, l’entroterra è il luogo dell’introspezione; ci sono i pescatori e ci sono gli allevatori di pecore; c’è il chiasso del turismo e c’è la vita dell’interno collinare che è lontano dagli occhi e dai rumori del mondo. In Sicilia è possibile bruciarsi la pelle con il caldo desertico, ma è altrettanto possibile assistere a quelle sfuriate di pioggia e vento che rompono argini e sdrucciolano pendii.
Non c’era posto migliore, dunque, per dare vita a una fondazione che si occupasse di sviluppare, condividere e divulgare tutte quelle pratiche utili a rispettare l’ecosistema e a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. La Fondazione SOStain, questo il suo nome, nasce infatti dalla sinergia fra il Consorzio di Tutela Vini DOC Sicilia e l’associazione Assovini Sicilia come ente no profit, certificatore e completamente indipendente. Essa si compone di tutti i produttori vitivinicoli aderenti e si avvale di un comitato scientifico così come di uno operativo, con l’obiettivo di individuare i problemi legati al tema della sostenibilità, trovare delle soluzioni e misurarne i risultati.
Un “giro del Grillo” attorno alla Sicilia dimostra come la variabilità ambientale sia un dato reale e tangibile. Altitudine, profilo pedologico, quantità di piogge, ore di sole, brezze marine e correnti che serpeggiano fra i rilievi: ogni dettaglio della Sicilia, fatta di terra e di mare, partecipa alla definizione di Grillo più aromatici oppure più lineari, più grassi o più snelli, più maturi o più freschi.
Considereremo sei vini bianchi fermi, accomunati dall’annata 2021 e dall’uvaggio composto interamente da uve Grillo. Ciò che varierà saranno le zone di produzione, ognuna dotata di peculiari caratteristiche con cui le viti hanno fatto fronte alla vendemmia 2021, quando in alcune zone sono stati raggiunti, in estate, picchi di 48°C. La degustazione è stata svolta alla cieca, con il solo scopo di mettere in luce la declinazione del vitigno nelle differenti zone e non l’etichetta: un viaggio alla scoperta del Grillo e del suo terroir.
DEGUSTAZIONE
ZONA 1: PALERMO
Siamo nella parte finale delle Madonie, tra 400 e 500 m.s.l.m., dove il terreno calcareo si mescola a un deposito argilloso. Qui la 2021 ha portato grandi piogge, sebbene nel periodo estivo fino a metà agosto il termometro corresse rapido fino ai 40°C. Naso che fa perno sul frutto e sul fiore. Pesca, zagara, nespola, con un’accezione anche tropicale di ananas e maracuja. La bocca è freschissima, ma anche di ottimo profilo sapido.
ZONA 2: CALTANISSETTA
Approdiamo nella zona delle argille. Nei dintorni di Caltanissetta l’entroterra siciliano assume un tratto quasi desertico, brullo, meravigliosamente taciturno e affascinante. La quota si alza a 550 – 650 m.s.l.m., dove l’escursione termica fra giorno e notte offre divari finanche di 20 °C. Il naso di questo secondo Grillo è meno esuberante, meno esplosivo. Si mostra in toni più fini ed eleganti, che giocano su un profilo più sottile e lievemente più aspro. Questo è un Grillo “di montagna” e le note citrine dell’agrume, del lime, così come la parte pungente di macchia mediterranea si fanno sentire. Anche la bocca trova più eleganza, con acidità e sapidità in evidenza ma non invasive.
ZONA 3: RAGUSA
Tocchiamo le prime sponde, le prime aree che respirano l’aria del mare. Siamo ad una quota pianeggiante, tra 50 e 200 m.s.l.m., dove le vigne approfondiscono le radici in terreni sabbiosi e caldi di sole. Il naso vira nettamente sulla macchia mediterranea. Ricorda le erbe aromatiche, il muschio, i fiori, per poi deviare su una parte più grassa di arachide. La bocca mostra un’inferiore tensione citrina ma una comunque buona salinità.
ZONA 4: SIRACUSA
Zona di basse altitudini, grande calore e molta luce. Siamo sul mare, ad un’altezza di 130 metri, su un terreno a medio impasto a prevalenza calcarea. Fu qui che, in agosto, il termometro raggiunse i 48°C, a seguito di una primavera ben poco piovosa. Il naso oscilla fra la macchia mediterranea e la parte speziata, con accenni di albicocca, cocco disidratato e fiori bianchi. La bocca è piuttosto tesa, più nervosa e citrina della precedente. L’intreccio fresco sapido conduce il sorso e lo trae in persistenza.
ZONA 5: AGRIGENTO
Si torna sulle altitudini, a quota 600 – 700 m.s.l.m., su terreni sabbiosi. Da febbraio a maggio ci furono piogge abbondanti, che si attenuarono nettamente fino ad agosto, quando la temperatura arrivò a 45°C. Il naso è profumatissimo nelle note gentili della frutta e del fiore. Ricorda la pesca bianca, il cedro, la lavanda, la salvia e un cenno dolce di gelatina alla pesca. La bocca è morbida e fine. Fresca e sapida, certo, ma molto omogenea e poco spigolosa.
ZONA 6: TRAPANI
Torniamo a Trapani, nella culla del Grillo. Qui i vigneti corrono verso il mare, su terreni a medio impasto ricchi di marna, collocati fra i 150 e i 400 m.s.l.m. Una primavera piuttosto asciutta ha preceduto un’estate calda, con massime sopra i 40°C. Affiora il tratto erbaceo, al naso: basilico, mentuccia, passion fruit, agrume e tutte quelle note che si confondono fra i toni erbacei e quelli del frutto tropicale. La bocca è fresca e appuntita, maggiormente a favore dell’acidità piuttosto che della salinità.
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Photo credits Consorzio vini DOC Sicilia