Sono onorata di presentare la mia intervista con la Dott.ssa Josephine Loftus, una delle autorità più rispettate e rinomate della medicina psichiatrica. In questa conversazione affrontiamo l’impatto delle nuove tecnologie sul comportamento umano, l’importanza della comunicazione, il valore della felicità e il ruolo dell’arte nella salute mentale.
Houda Bakkali
Nella sua attività di psichiatra, la Dott.ssa Josephine Loftus si è specializzata nei disturbi dell’umore, nei disturbi di personalità e nel disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Ha concentrato la sua pratica sull’integrazione di approcci biologici e psicoterapeutici, includendo metodi basati sulla mindfulness. Durante il suo incarico come vicedirettore clinico del Dipartimento di Psichiatria presso il Princess Grace Hospital di Monaco, ha istituito un’unità Alzheimer, un’unità per i disturbi dell’umore, ha integrato la rete francese dei centri di valutazione per il disturbo bipolare creando un centro diagnostico all’interno del suo dipartimento. Ha inoltre avviato gruppi psicoterapeutici per il trattamento del dolore cronico, introdotto e promosso la formazione nella mindfulness, nella terapia cognitivo-comportamentale e nella terapia focalizzata sulla compassione.
È stata nominata Fellow del Royal College of Psychiatrists del Regno Unito in riconoscimento del suo contributo al lavoro clinico e alla ricerca in psichiatria. Si è recentemente ritirata dal suo incarico ospedaliero, ma intende proseguire il suo percorso nel campo della psichiatria.
La Dott.ssa Josephine Loftus si conferma come un vero punto di riferimento nel campo della medicina. È un privilegio condividere le sue riflessioni, quelle di una professionista distinta e di un’individua straordinaria: una grande umanista, un’appassionata di arte e scienza in tutte le loro forme e una comunicatrice eccezionale.
Quali sono i principali problemi di salute mentale attualmente diagnosticati?
Secondo le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa 1 persona su 8 nel mondo convive con un disturbo mentale. I problemi di salute mentale contribuiscono a circa il 16% del carico globale delle malattie.
I disturbi mentali più comuni diagnosticati sono la depressione e l’ansia. La depressione rappresenta una delle principali cause di disabilità a livello mondiale. Il numero di persone che soffrono di depressione e ansia è aumentato in modo significativo dall’inizio della pandemia di COVID-19. Anche il disturbo da stress post-traumatico è in aumento, dato il numero crescente di conflitti nel mondo in cui le popolazioni civili sono gravemente colpite dalla violenza della guerra e dallo sfollamento dalle proprie case.
Quali sono le principali sfide che la medicina psichiatrica deve affrontare?
Vi sono numerose sfide che la psichiatria deve affrontare. La più importante è la mancanza di risorse. I servizi sono sottofinanziati, il che rende difficile soddisfare le esigenze di pazienti sempre più complessi e bisognosi. Disturbi mentali come la schizofrenia e il disturbo bipolare insorgono solitamente nell’adolescenza tardiva o nella giovane età adulta e, nella maggior parte dei casi, richiedono cure psichiatriche per tutta la vita. In assenza di un trattamento professionale, i giovani possono ricorrere all’abuso di sostanze come forma di automedicazione.
La prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento possono avere un impatto positivo sull’esito e sulla qualità della vita. Tuttavia, l’elevato carico di casi e il crescente peso amministrativo impediscono agli psichiatri di garantire la regolarità del follow-up raccomandata dalle linee guida cliniche. Inoltre, i professionisti della salute mentale si trovano ad affrontare più spesso situazioni violente a causa dell’aumento del consumo di sostanze, e lo stesso vale per i colleghi che operano nell’ambito della salute fisica.
La psichiatria affronta anche un grave problema di reclutamento in molti paesi, con conseguente carenza di specialisti proprio in un momento in cui sono estremamente necessari. Una delle principali sfide è quindi colmare il divario tra ciò che è necessario e ciò che è disponibile in termini di cure. La psichiatria è da sempre un’area della medicina sottofinanziata e si potrebbe dire che soffre della stessa stigmatizzazione dei pazienti che tratta. L’aumento dei disturbi d’ansia e depressivi, soprattutto nei giovani, dopo la pandemia di COVID-19 ha fatto crescere la consapevolezza e, in alcuni paesi, ha portato a promesse di maggiori finanziamenti.
Oggi più che mai gli psichiatri devono svolgere un ruolo attivo nell’educazione e nella sensibilizzazione sui problemi di salute mentale, facendo pressione sui governi. In Francia, la Fondation FondaMentale ha mostrato la strada: si tratta di una fondazione dedicata alla diagnosi precoce, alla prevenzione, alla psicoeducazione e ai piani di trattamento personalizzati, che è riuscita a ottenere fondi pubblici e privati per promuovere la ricerca e aumentare la visibilità pubblica delle malattie mentali. Servono più persone dinamiche che si impegnino in questo tipo di lavoro.
Un’altra grande sfida che riguarda la medicina psichiatrica, e la medicina in generale, è quella di non ridurre i medici a semplici tecnici della diagnosi e della prescrizione, che perdono la capacità di connettersi con i pazienti e con la loro sofferenza. In un’epoca in cui il modello aziendale sta prendendo il sopravvento sulla medicina, dove obiettivi ed efficienza sono di importanza primaria e la tecnologia avanza a ritmo serrato, è più importante che mai ricordare che i medici hanno di fronte un essere umano che sente e pensa. È fondamentale preservare “l’arte” della pratica medica.
Salute mentale e psichiatria non sono la stessa cosa. In che modo sono collegate?
La salute mentale, secondo la definizione dell’OMS, è uno stato di benessere che consente alle persone di affrontare le difficoltà della vita, realizzare le proprie capacità, imparare e lavorare bene e contribuire alla comunità. Include il benessere emotivo, psicologico e sociale.
La psichiatria è invece l’area della medicina che si occupa della diagnosi, del trattamento e della prevenzione dei disturbi mentali, emotivi e comportamentali. Il suo obiettivo finale non è soltanto alleviare i sintomi o prescrivere farmaci, ma fornire un piano di trattamento multidisciplinare che permetta al paziente di recuperare il proprio benessere mentale in tutte le sue dimensioni.
Salute mentale e psichiatria non sono la stessa cosa. In che modo sono collegate? Come si completano a vicenda?
La salute mentale, secondo la definizione dell’OMS, è uno stato di benessere che permette alle persone di affrontare lo stress della vita, realizzare le proprie capacità, imparare e lavorare bene, e contribuire alla propria comunità. Comprende il benessere emotivo, psicologico e sociale. L’accento è posto sul benessere in tutti i domini che consentono all’individuo di funzionare in ogni area della sua vita e di instaurare relazioni durature e significative con gli altri.
Quando l’equilibrio tra questi domini viene compromesso, aumenta il rischio di sviluppare un problema di salute mentale con una significativa alterazione della cognizione, della regolazione emotiva e del comportamento, e quindi la necessità di un follow-up psichiatrico. Queste difficoltà esistono ovviamente su uno spettro che va da lieve a grave, e i casi lievi difficilmente richiedono l’aiuto psichiatrico.
La psichiatria è la disciplina medica che si concentra sulla diagnosi, sul trattamento e sulla prevenzione dei disturbi mentali, emotivi e comportamentali. L’obiettivo finale della psichiatria non è solo alleviare i sintomi e prescrivere farmaci, ma fornire un piano terapeutico multidisciplinare che consenta al paziente di recuperare il proprio benessere mentale in tutte le dimensioni.
Non sempre questo processo è lineare: nel caso di malattie croniche e permanenti, il concetto iniziale di benessere mentale deve essere adattato attraverso un lungo percorso di accettazione dei limiti personali, sociali e professionali imposti dalla malattia. Questo processo può essere difficile anche per i familiari, il cui benessere mentale è anch’esso compromesso dalla malattia del paziente. Gran parte del lavoro della psichiatria e dei professionisti della salute mentale è quindi orientato ad aiutare i pazienti a ritrovare un equilibrio per promuovere il benessere e condurre una vita significativa all’interno della comunità.
Naturalmente, un individuo che possiede già criteri di benessere mentale avrà maggiore resilienza nel caso sviluppi un disturbo a seguito di un evento traumatico, ed è più probabile che si riprenda completamente rispetto a chi ha avuto un’infanzia o un’adolescenza segnata da condizioni ambientali avverse.
Molte malattie mentali restano uno stigma e un tabù per i pazienti. Come possiamo abbattere queste barriere?
Attraverso l’educazione, l’aumento della visibilità pubblica delle malattie mentali, la sfida agli stereotipi e, soprattutto, eliminando la divisione tra “noi e loro”.
Probabilmente l’origine dello stigma sta proprio nella paura che la malattia mentale possa colpire anche noi, così come in passato le persone erano terrorizzate dalla peste. Le esperienze descritte da chi soffre di disturbi mentali non sono estranee alla popolazione generale: tutti conosciamo la tristezza profonda e paralizzante dopo un lutto, lo stato di euforia quando ci innamoriamo, e persino persone sane possono sperimentare allucinazioni uditive. La differenza in chi soffre di una malattia mentale non è la natura dell’esperienza, ma l’intensità, la frequenza e la sofferenza che ne derivano. È questo che distingue una persona con un disturbo mentale da una persona sana. Ed è importante ricordare che nessuno è immune dallo sviluppare un problema di salute mentale.
I media hanno un ruolo importante e hanno contribuito pubblicando le storie di celebrità che parlano apertamente di disturbo bipolare, abuso di sostanze o depressione. Tuttavia, i media devono essere più responsabili quando riportano episodi di violenza commessi da pazienti psichiatrici: sebbene rarissimi, questi fatti finiscono in prima pagina, mentre atti violenti compiuti da criminali senza storia psichiatrica vengono relegati a brevi notizie. La realtà è che la maggior parte dei crimini violenti è commessa da persone sane e non da persone con malattia mentale. Spesso, inoltre, vi è abuso di sostanze, che aumenta il rischio di comportamenti violenti.
Lo stigma va quindi affrontato sia a livello sociale che individuale, a partire dal paziente stesso, che soffre maggiormente lo stigma ma che spesso si auto-stigmatizza a causa della malattia. Questo richiede un approccio psicoterapeutico che lo aiuti a cambiare il modo in cui vede se stesso e la propria condizione. Non può controllare come lo vedono gli altri, ma può controllare come si percepisce lui stesso. Questo lavoro viene spesso svolto in contesti di gruppo con protocolli ben stabiliti.
È altrettanto importante garantire che le persone con disturbi mentali abbiano accesso a un ambiente lavorativo di sostegno.
Oggi vengono implementate sempre più applicazioni tecnologiche nelle terapie e nelle diagnosi in psichiatria. Come le valuta?
Queste applicazioni tecnologiche miglioreranno l’accesso alle cure, soprattutto nelle aree geografiche dove vi è una penuria di psichiatri e altri professionisti della salute mentale. Le consultazioni di telepsichiatria permettono l’accesso a specialisti e al supporto in situazioni di crisi. La telemedicina e le applicazioni che offrono terapia cognitivo-comportamentale consentono approcci diagnostici e terapeutici che superano i confini geografici.
Un esempio è uno strumento di intelligenza artificiale in forma di chatbot che eroga terapia cognitivo-comportamentale per la depressione, rivelatosi efficace nel ridurre i sintomi depressivi e ansiosi in studi clinici. Altri chatbot basati su IA aiutano i pazienti a connettersi con terapeuti autorizzati in base ai loro bisogni.
Il monitoraggio dei sintomi, dell’umore e dei cambiamenti comportamentali può avvenire tramite app e segnalare un cambiamento dello stato mentale o una ricaduta imminente. La terapia di esposizione immersiva attraverso la realtà virtuale può aiutare persone con fobie e ansia sociale che hanno difficoltà a spostarsi per vedere un terapeuta o a svolgere gli esercizi richiesti.
La tecnologia consente di elaborare enormi quantità di dati clinici per prevedere cambiamenti nello stato mentale, identificare sottotipi di malattia e seguirne la progressione. I dati raccolti possono portare a un approccio più individualizzato basato sul profilo del paziente, anziché su un modello “uguale per tutti”.
In teoria, questi approcci hanno un grande potenziale per aumentare l’accesso alle cure, migliorare il monitoraggio dei sintomi, la compliance terapeutica, facilitare la diagnosi e realizzare piani terapeutici più personalizzati grazie all’analisi dei big data.
Alcuni approcci possono sembrare invasivi a causa del monitoraggio costante, ma per le nuove generazioni cresciute con gli smartphone ciò potrebbe non essere un problema. Questo approccio darà anche al paziente un ruolo maggiore e più responsabilità nella gestione dei propri disturbi, aspetto fondamentale.
In che modo l’Intelligenza Artificiale influisce sulla nostra salute mentale?
A un certo livello, l’IA è stata descritta come potenzialmente trasformativa e rivoluzionaria per la salute mentale grazie alla sua capacità di analizzare grandi quantità di dati e comportamenti umani complessi. La sua integrazione nei servizi di salute mentale sovraccarichi potrebbe migliorare la diagnosi precoce, fornire piani terapeutici personalizzati e, attraverso piattaforme innovative, rendere le cure più accessibili e migliorare il benessere psicologico. Esistono anche numerose applicazioni di IA che aiutano i terapeuti a ricevere riscontri dai pazienti e ad adattare meglio la terapia alle loro esigenze.
Quindi, l’IA ha il potenziale per avere un effetto benefico sulla salute mentale. Tuttavia, vi sono considerazioni etiche fondamentali, come la mancanza di un quadro normativo completo per l’uso dell’IA in questo ambito, la protezione della privacy e la necessità di preservare l’elemento umano. L’IA dovrebbe essere usata come strumento supplementare e non sostituire l’aspetto umano della terapia.
Uno studio recente condotto a Stanford ha dimostrato che i chatbot di IA utilizzati in ambito di salute mentale non riuscivano a cogliere i segnali di intento suicidario. Lo stesso studio ha mostrato che, dopo l’esposizione a diversi casi clinici (depressione, dipendenze, schizofrenia), alcuni chatbot mostravano un aumento dello stigma verso i pazienti con schizofrenia.
Vi sono anche segnalazioni recenti di effetti negativi dell’IA sulla salute mentale: incremento dei sintomi psicotici, dipendenza dall’IA, decisioni sbagliate prese sulla base delle sue risposte, incluso il consiglio su eutanasia o su come commettere suicidio in seguito a semplici comunicazioni di tristezza. Sebbene utile in campo sanitario, le sue limitazioni e i suoi pericoli devono essere riconosciuti.
La tecnologia ci unisce a distanza, abbattendo barriere fisiche e temporali. È davvero benefica per la nostra mente o alimenta solo una fantasia?
Sicuramente, la tecnologia ha abbattuto molte barriere, facilitando la comunicazione e la formazione attraverso fusi orari e confini geografici. Una persona adulta su quattro dichiara di essere online tutto il tempo. Tuttavia, vi sono preoccupazioni sugli effetti della tecnologia sulla struttura e sul funzionamento del cervello. Le ricerche mostrano che la tecnologia può avere sia effetti positivi che dannosi.
Tra gli effetti negativi si riscontrano: aumento dei sintomi da deficit di attenzione, riduzione dell’intelligenza emotiva e sociale, isolamento, sviluppo cerebrale compromesso e diminuzione della memoria di lavoro. L’OMS ha pubblicato linee guida severe sull’uso degli schermi nei bambini (2019) sulla base dei risultati della ricerca. L’uso intensivo è stato collegato anche a depressione, ansia e disturbi del sonno. Nei bambini sotto i 3 anni un eccesso di tempo davanti agli schermi è associato a ritardi nello sviluppo del linguaggio, riduzione delle funzioni esecutive e maggiori problemi di sonno. I bambini più grandi mostrano deficit nel riconoscimento delle emozioni da fotografie di espressioni facciali e segnali sociali rispetto a quelli che hanno un tempo di esposizione limitato. C’è inoltre il rischio di dipendenza dalla tecnologia: la prevalenza globale è di circa il 6%, con valori più alti in alcune aree. La dipendenza da Internet è associata a sintomi di deficit di attenzione, impulsività e iperattività negli scolari.
Sul lato positivo, alcuni strumenti online, programmi e videogiochi offrono esercizi mentali che attivano il cervello, migliorano la connettività tra circuiti neurali, favoriscono il sonno, riducono l’ansia e migliorano la memoria. Uno studio ha rilevato che i chirurghi che giocavano ai videogiochi più di tre ore alla settimana commettevano meno errori chirurgici, avevano tempi di reazione più rapidi e migliori capacità laparoscopiche e di sutura.
Il multitasking, conseguenza del tempo trascorso online, ha un impatto negativo sulle prestazioni ed è una capacità che declina con l’età. Curiosamente, alcuni videogiochi hanno dimostrato di migliorare l’attenzione, la memoria di lavoro e la capacità di svolgere più compiti contemporaneamente.
In conclusione, ci sono argomenti sia a favore che contro la tecnologia. Sembra che, se utilizzata in modo mirato e moderato, possa avere effetti benefici. Nei bambini deve essere usata con cautela, ma può essere positiva se accompagnata dall’interazione dei genitori. In altre parole, la tecnologia può essere benefica o dannosa a seconda di come viene usata e della vulnerabilità specifica (età, fragilità emotiva) della persona che la utilizza.
Quali fattori ambientali hanno il maggiore impatto sulla nostra salute mentale?
Sia l’ambiente sociale che quello naturale influiscono sulla salute mentale.
Nell’ambiente sociale, diverse forme di abuso (sessuale, fisico ed emotivo) hanno dimostrato di avere un impatto negativo sulla salute mentale in età adulta e sono associate a psicosi, disturbi dell’umore e abuso di sostanze. L’isolamento sociale, la solitudine e la mancanza di una rete di supporto contribuiscono allo sviluppo della depressione e a un peggioramento della salute fisica in generale. Su scala più ampia, i conflitti che colpiscono le popolazioni civili portano allo sviluppo di disturbo post-traumatico da stress (PTSD), un disturbo invalidante che può condurre ad abuso di sostanze e depressione cronica.
Anche i grandi disastri naturali, come terremoti o inondazioni, sono causa di PTSD. Studi hanno inoltre mostrato un’associazione tra urbanizzazione densa e prevalenza di malattie mentali. L’alta densità abitativa può generare stress cronico dovuto a fattori come rumore, inquinamento, criminalità e inciviltà. La presenza di spazi verdi e aree pedonali sembra invece costituire un fattore protettivo contro lo sviluppo di disturbi mentali.
In che modo la mancanza di comunicazione influisce sul nostro comportamento?
La mancanza di comunicazione può avere un impatto negativo sulla qualità delle nostre relazioni con gli altri. Mantenere relazioni sane è fondamentale per la nostra salute fisica e mentale. Studi hanno dimostrato che l’assenza di relazioni sociali predice la mortalità per ogni causa. Bassi livelli di supporto sociale sono associati a un rischio maggiore di malattie cardiovascolari.
La mancanza di comunicazione può essere dovuta a deficit fisici, come la sordità, a disturbi neurologici o psichiatrici, come nelle forme gravi di schizofrenia, o a scarse abilità sociali.
Questo deficit può tradursi in maggiore frustrazione, stress, rabbia e risentimento. Esternamente può manifestarsi con irritabilità, impazienza, comportamento violento o ritiro sociale. Si instaura così un circolo vizioso: familiari, amici e conoscenti si allontanano come misura protettiva o per esaurimento, e questo rafforza nei pazienti i sentimenti di incomprensione, rabbia e frustrazione, portando a ulteriore isolamento sociale e perdita della rete di sostegno. Tutto ciò aumenta lo stress e il rischio di malattie fisiche e mentali.
Come valuta la psichiatria l’ottimismo?
Lo psicologo Rick Hanson afferma che il cervello umano è come il velcro per le esperienze negative e come il teflon per quelle positive. Da un punto di vista evolutivo, il nostro cervello è predisposto al bias negativo per proteggerci da situazioni potenzialmente pericolose.
La teoria dell’“impotenza appresa” è alla base di una visione psicologica della depressione: negli esperimenti sugli animali, privati di ogni controllo su uno stimolo esterno stressante, questi sviluppavano uno stato di passività. Applicata agli esseri umani, questa condizione descrive chi, dopo ripetute esperienze negative incontrollabili, crede di non poter cambiare la propria situazione anche quando ne ha la possibilità. Il risultato è passività, mancanza di motivazione e senso di disperazione. L’impotenza appresa è associata a depressione e PTSD.
L’ottimismo è l’antitesi della disperazione. La psichiatria è abituata a valutare più spesso il pessimismo che l’ottimismo. Esistono scale di valutazione per atteggiamenti disfunzionali, ruminazioni, impotenza appresa e disperazione, ma poche per misurare l’ottimismo. Il pessimismo viene indagato anche attraverso i colloqui clinici, esplorando la triade negativa della depressione: pensieri negativi su di sé, sul futuro e sul proprio rapporto con il mondo.
Un eccesso di ottimismo può anch’esso essere problematico, come negli episodi maniacali, dove la persona crede che tutto sia possibile, anche a rischio della propria vita. Tuttavia, studi basati sul Life Orientation Questionnaire hanno mostrato che mantenere una visione ottimistica riduce il rischio di disturbi dell’umore, d’ansia e abuso di alcol. L’ottimismo contribuisce alla salute mentale e al benessere generale.
La terapia cognitivo-comportamentale si concentra sui pensieri negativi e aiuta i pazienti a metterli in discussione attraverso ragionamenti ed esperimenti comportamentali, favorendo un atteggiamento mentale più equilibrato verso la vita. Si incoraggia anche la tenuta di diari della gratitudine per annotare le piccole esperienze positive quotidiane.
L’idea è quella di spostare il cervello da una tendenza negativa a una più bilanciata, in cui le esperienze positive abbiano la stessa rilevanza di quelle negative.
I social media sono un mezzo di comunicazione, ma quali sfide pongono per la salute mentale? Cosa consiglia per un uso sano?
Le principali problematiche sono la dipendenza, il paradossale isolamento sociale e il peggioramento di condizioni come l’ansia sociale.
Le abilità sociali possono risultare compromesse, soprattutto nei bambini che fin da piccoli dipendono dai social media per comunicare. Vi sono poi sfide ben note e mediatizzate, come il cyberbullismo, che purtroppo ha portato anche a casi di suicidio tra adolescenti.
Per un utilizzo sano, raccomanderei un uso molto limitato nei bambini e negli adolescenti e un uso moderato negli adulti.
Successo e fallimento: come influiscono sulla salute mentale?
“Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di continuare.” (Winston Churchill)
Il fallimento può generare sofferenza emotiva, ansia e depressione. Tuttavia, non tutte le persone che sperimentano un insuccesso crollano. Secondo gli studi, i fattori protettivi sembrano essere: una maggiore autostima, uno stile di attribuzione più positivo riguardo alle cause del fallimento e una minore tendenza al perfezionismo legato agli standard sociali.
Il successo può avere un impatto positivo sulla salute mentale, generando benessere, a meno che la spinta verso il successo non sia motivata da bassa autostima o paura del fallimento e dell’umiliazione. In questi casi, la ricerca del successo può causare stress cronico, che a sua volta porta ad abuso di sostanze, ansia, depressione e problemi di salute fisica.
Lei è esperta di mindfulness, tra le altre aree. In cosa consiste questa terapia e quali benefici può apportare alla salute mentale?
“Mindfulness significa prestare attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, al momento presente e in maniera non giudicante.” (Jon Kabat-Zinn)
La mindfulness è la pratica di essere pienamente presenti e consapevoli delle proprie esperienze mentre si manifestano, senza reagire in modo eccessivo o lasciarsi trascinare da pensieri ed emozioni.
Comprende diverse pratiche: la meditazione, i movimenti consapevoli del corpo, la camminata consapevole, l’alimentazione consapevole e l’applicazione della consapevolezza nelle attività quotidiane.
L’opposto della mindfulness è vivere in “pilota automatico”, ovvero essere così persi nei propri pensieri o nelle fantasticherie da non essere più connessi con l’“adesso”. A tutti è capitato di guidare su una strada familiare e arrivare a destinazione senza ricordare il percorso, tanto si era assorbiti dai propri pensieri. Di per sé non è un problema, a meno che il pilota automatico non ci porti in vicoli ciechi di pensieri cupi che possono evolvere in una depressione. In questi casi, viviamo attraverso le storie della nostra mente e non l’esperienza reale che si sta svolgendo.
Jon Kabat-Zinn ha integrato la mindfulness nella pratica medica con il suo programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (Mindfulness-Based Stress Reduction, MBSR) per pazienti cronici con dolore intrattabile o patologie cardiovascolari. Il successo del suo programma ha dato vita a una proliferazione di approcci basati sulla mindfulness per i disturbi fisici e mentali, come depressione, ansia e dipendenze. È stato dimostrato che riduce le ricadute nella depressione e nelle dipendenze e migliora la qualità della vita.
La mindfulness è stata incorporata in approcci psicoterapeutici come l’Acceptance and Commitment Therapy, la Dialectical Behavioural Therapy e la Compassion-Focused Therapy.
Le pratiche di mindfulness sono state introdotte anche nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle carceri per promuovere il benessere mentale e aiutare a gestire lo stress. Migliorano l’attenzione, l’umore, riducono l’ansia e, grazie al loro approccio non giudicante, incoraggiano un atteggiamento più compassionevole verso se stessi e verso gli altri. In un mondo in cui il “fare costante” è fortemente valorizzato, la mindfulness ci ricorda l’importanza e i benefici del “non fare”.
Possiamo parlare di una persona mentalmente sana? Quali condizioni devono essere soddisfatte?
Possiamo parlare di persona mentalmente sana nello stesso modo in cui parliamo di persona fisicamente sana. Una persona mentalmente sana ha buone strategie per gestire lo stress, non è sopraffatta da pensieri ed emozioni negative al punto da restare paralizzata fisicamente e mentalmente, ed è capace di mantenere relazioni sane e soddisfacenti con gli altri.
Ciò non significa che una persona sana non attraversi periodi di tristezza, pensieri negativi, ansia o frustrazione di fronte a situazioni difficili come un lutto o una delusione sentimentale o professionale. Queste sono reazioni appropriate in contesti specifici.
Così come lavoriamo per migliorare la nostra salute fisica attraverso attività sportive, tempo trascorso nella natura e una buona alimentazione, possiamo rafforzare anche la nostra salute mentale. L’attività fisica si è dimostrata benefica per ansia e depressione e, nell’ultimo decennio, è cresciuto l’interesse per la psiconutrizione e per l’impatto del cibo sulla salute mentale.
Una buona rete sociale e il supporto sono fondamentali. Gli atti di gentilezza verso gli altri hanno dimostrato di avere effetti benefici sulla salute mentale. La solitudine, invece, ha un impatto deleterio sia sulla salute fisica che su quella mentale, per questo i contatti sociali sono essenziali. Anche il divertimento – attraverso attività ricreative o momenti preziosi con amici e famiglia – svolge un ruolo importante nel mantenimento della salute mentale. Non dobbiamo mai dimenticare il bambino dentro di noi e il valore di divertirsi.
Quale valore ha l’arte nel benessere e nel recupero dei pazienti?
Da migliaia di anni, l’arte è stata utilizzata come mezzo di espressione, guarigione e comunicazione.
L’arte può svolgere un ruolo fondamentale nel processo di recupero dei pazienti. Permette loro di esprimersi più liberamente, di entrare in contatto con le proprie emozioni, di migliorare l’autostima e le relazioni interpersonali. Diverse forme artistiche sono state utilizzate come opzioni terapeutiche: teatro, danza-movimento-terapia, musicoterapia, pittura e disegno.
L’arteterapia ha dimostrato di ridurre l’ansia e di favorire una migliore regolazione emotiva attraverso una maggiore accettazione delle emozioni. Uno studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry ha dimostrato che le donne con depressione post-partum guarivano più rapidamente se inserite in un gruppo di canto rispetto al gruppo di controllo. Altri studi hanno mostrato che i pazienti con schizofrenia assegnati a un gruppo di arteterapia ottenevano punteggi più alti nella consapevolezza emotiva.
L’arteterapia può aiutare le persone ad affrontare lo stress e la disperazione, ridurre il peso delle malattie croniche, contribuire alla guarigione dei traumi emotivi, aumentare la consapevolezza di sé e degli altri, favorire l’autoriflessione, stimolare risposte più appropriate a situazioni difficili e trasformare pensieri e comportamenti. In alcuni casi, può offrire a un paziente profondamente traumatizzato un mezzo per esprimere l’inesprimibile.
Risponde ai bisogni sociali, spirituali, emotivi e clinici del paziente. Non dimentichiamo che la parola “psichiatria” significa letteralmente “cura medica dell’anima”.
Il cardiologo catalano Josep Brugada ha detto che la felicità è una delle migliori medicine per la salute cardiovascolare. Vale lo stesso per la salute mentale?
La felicità è uno stato di benessere che contribuisce a una migliore salute mentale. È associata a una riduzione del rischio di malattie croniche, a una migliore funzione immunitaria e a livelli più bassi di stress.
Spesso la felicità viene associata al successo materiale, all’approvazione esterna e alla validazione sociale, ma questi portano solo a una gioia effimera. La felicità che favorisce una buona salute mentale deriva invece da un sentimento più stabile di benessere, che nasce dal vivere una vita in armonia con i propri valori e dotata di significato. Non sempre è un percorso facile, ma alla fine risulta gratificante, dona pace interiore e rafforza la resilienza di fronte alle avversità. Viktor Frankl, sopravvissuto a un campo di concentramento nazista, lo ha illustrato chiaramente nel suo libro L’uomo in cerca di senso.
Il nucleo del benessere deriva dalla riflessione su ciò che è veramente importante nella propria vita e dal rapporto con i propri pensieri ed emozioni, attraverso la mindfulness o altri approcci contemplativi. Questo non solo migliora il rapporto con se stessi, ma anche con gli altri.
Nella società odierna, raramente ci prendiamo il tempo per fermarci e riflettere, eppure, come ha detto Jon Kabat-Zinn a proposito della meditazione, “la nostra vita dipende da questo”. La conoscenza di sé porta a una maggiore accettazione delle emozioni e dei pensieri dolorosi, così come dell’impermanenza di ogni cosa, sia negativa che positiva. Ci permette di comprendere ciò che è veramente importante e di vivere secondo i nostri valori.
Carl Gustav Jung, lo psichiatra svizzero, parlava del processo di individuazione come dell’obiettivo finale del viaggio psichico dell’uomo: un processo non solo utile a se stessi, ma anche alla società.
Più integriamo le diverse sfaccettature della nostra psiche, più sano e onesto diventa il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri. Coltivare un senso di benessere è fondamentale perché ci sostiene nei momenti difficili e promuove la salute fisica e mentale.
Nella meditazione esiste una pratica che usa la montagna come metafora: la montagna resta presente e fedele a se stessa, sia in estate che in inverno, di giorno o di notte, con fulmini e neve o sotto il sole cocente.