L’epoca d’oro dei Palace rivive nel magnifico Villa Serbelloni di Bellagio, da due secoli meta incontrastata del turismo di elite, prediletto da Winston Churchill, Roosevelt, i Rothschild, J. F. Kennedy, Mary Pickford, Clark Gable, Al Pacino, George Lucas e numerosi altri. Una località dalla bellezza eterea, romantica, esclusiva, irraggiungibile, ed è così sin dai tempi dello scrittore latino Plinio il Giovane, che nel I° secolo d.C. aveva nella località comasca ben due residenze. Un promontorio strategico dominato nei secoli da Federico Barbarossa, dai Visconti, dagli Spagnoli, acquistato nel 1535 dalla famiglia Sfondrati, conti della Riviera, fino al 1788 quando la famiglia Serbelloni subentra alla guida del piccolo borgo, adagiato sul Lago di Como, che nella ‘Certosa di Parma’ Stendhal, descriverà come «sublime e incantevole, senza eguali al mondo», dove il compositore ungherese Franz Liszt, celebrato ogni anno in giugno con un Festival, soggiornerà in fuga d’amore con la contessa d’Agoult, dal cui legame nascerà Cosima Liszt, futura moglie di Wagner. Un piccolo borgo punteggiato da parchi e ville dell’aristocrazia lombarda, che ospitarono a lungo letterati, musicisti artisti e poeti, impreziosito dal sontuoso Grand Hotel Villa Serbelloni, un edificio sorto nel 1852 come villa privata della famiglia Frizzoni, divenuto hotel nel 1872, inizialmente col nome di Grand Hotel Bellagio. Sul lato est la riva frastagliata che conduce all’affascinante Punta Spartivento, che separa come la prua di una nave, i tre rami del Triangolo Lariano (Lecco, Como e la parte nord), fonte di ispirazione per Alessandro Manzoni, che nei Promessi Sposi, ambienterà qui la fuga di Lucia. “Il parco della villa è esteso 20.000 metri, ci sono 38 stanze vista parco e altrettante vista lago, con 82 di esse interamente rinnovate” racconta Jan Bucher, General Manager, CEO e proprietario della struttura. “È un privilegio lavorare qui, il borgo a un passo, nessuna strada davanti, il lago, è un luogo dove il tempo si è fermato, qualche volta ce lo dimentichiamo”. Il salone reale in stile neoclassico fa quasi mancare il fiato, può ospitare fino a 300 persone e all’inizio veniva impiegato per accogliere ricevimenti, sfilate di moda ed eventi di un certo rilievo, come dimostra la galleria di immagini d’epoca. Poi negli anni ’80 i Bucher, vista la bellezza e gli spazi ampi, hanno pensato di renderlo più accessibile a chi soggiornava e adibirlo a sala colazione. “È un compito che abbiamo. Dobbiamo mantenere la storicità, lo stile e l’anima di questo posto, un balance tra modernità e storia, che ci impegna ogni giorno e in inverno, quando siamo chiusi, reinvestiamo i proventi per tenere tutto in ordine, il restauro degli affreschi che hanno più di 150 anni, le stanze, i bagni, la Spa ‘Luce del lago’, che è una delle più grandi del Lago di Como, una delle prime ad aprire in Italia, che ora ha anche l’hammam royal mansour, mentre i servizi devono essere sempre contemporanei e avvalersi di tecnologia”.
Semplicemente complesso
L’ospite è al centro, si cercano sempre nuovi stimoli, ma arrivano anche riconoscimenti, come l’ingresso nell’esclusiva Relais& Chateau, ufficializzata in agosto, unica segnalazione sul Lago di Como. “Abbiamo una clientela old money, abbienti che hanno costruito il loro successo sul lavoro, passo dopo passo, tantissime famiglie che ritornano puntualmente anno dopo anno, molti Americani, ma anche un incremento di Asiatici, Indiani e un po’ di Arabi. Culture completamente diverse fra loro ed esigenze agli antipodi, ci chiedono ad esempio una stanza dove poter pregare e noi siamo pronti ad assecondarli. Crediamo molto nella formazione e nel benessere dei nostri collaboratori, che sono 230, mentre nel 2019 quando sono entrato erano 150. Ora possono contare su una nuova casa a pochi minuti a piedi da qui, costruita appena fuori Bellagio, sarà pronta a marzo dell’anno prossimo”. La lobby è la parte più antica della villa ed è la sala dove si può sostare per conversare e ascoltare musica: “Era l’ingresso della villa a cui si accedeva solo dal lago, il nucleo di una villa privata disegnata dall’architetto Vantini nel 1845 circa, come residenza estiva della famiglia Frizzoni di Bergamo, un regalo che il Sig. Frizzoni volle fare alla moglie, verrà terminata nel 1854. L’accesso esclusivo al lago rimase fino al 1910, quando vennero costruite le prime strade che collegavano Bellagio al resto del comasco, poi la villa venne venduta a una società svizzera, che costruirà le due ali, quella sud e quella nord e nel 1873 nasce il Grand Hotel Bellagio, in un momento storico nel quale i grandi alberghi della zona erano due, questo e Villa D’este. Il mio bisnonno Arturo Bucher, che era proprietario del Grand Hotel Palace di Milano, a inizi Novecento, rimase soggiogato dalla bellezza del luogo, che allora era di proprietà di uno svizzero di origini tedesche e aveva come dependance Villa Serbelloni che si trovava un po’ più su rispetto a dove è oggi l’albergo, insieme a un enorme terreno che si estendeva su tutto il promontorio. Fra la metà e la fine della prima Guerra Mondiale la trattativa per rilevare il Grand Hotel Bellagio, si concluse e nel 1918 lo svizzero tedesco, cedette l’albergo, ma a una condizione, avrebbe continuato a soggiornare in albergo fino alla sua morte. All’epoca aveva circa 85 anni e Bucher immaginò di aver concluso un ottimo affare, ma in realtà l’ex proprietario visse fino a 106 anni e rimase ospite in una suite, usufruendo di tutti i servizi dell’hotel, per quasi vent’anni. Il bisnonno aveva comprato sia Villa Serbelloni che il Gran Hotel Bellagio e aveva anche in gestione alcuni alberghi di Bellagio, che accontentavano i turisti, mentre iniziavano ad arrivare anche clienti dagli Stati Uniti”. La reputazione dell’albergo si consolida, ma poi arriva la crisi del ’29 e Bucher decide di vendere tutte le gestioni di Bellagio e cede Villa Serbelloni ai proprietari della Whisky Canadian. Si concentra così solamente nella conduzione del Grand Hotel Bellagio, che potrà chiamare Grand Hotel Villa Serbelloni, non essendoci più nessun discendente in vita della storica famiglia. “Siamo alla quarta generazione e se guardo indietro mi accorgo che abbiamo le radici solide, ma abbiamo passato momenti difficili, la Prima Guerra, la Seconda, l’influenza ‘Spagnola’, gli Anni di Piombo, il Covid. Durante la Seconda Guerra Mondiale grazie ai buoni uffici di un diplomatico l’albergo diverrà un’enclave svizzera, quasi come un’ambasciata, dove i tedeschi non potevano entrare e così giunsero famiglie in difficoltà e famiglie ebree, che ebbero salva la vita, poi capimmo che potevamo renderci utili anche in altro modo e per un certo periodo destinammo una parte della villa a ospedale”.
Ettore Bocchia
I 150 anni festeggiati nel 2023 racchiudono tanta storia, tuttavia il Grand Hotel Villa Serbelloni, rivela una visione contemporanea dell’accoglienza, anche attraverso la ristorazione, che propone un’offerta ampia e di alto livello: il ristorante Mistral, il ristorante Goletta, il Verri’s bar, il Terrazza Darsena, il Pool & Beach Bar e asseconda le esigenze di una clientela che cambia, senza tradire la sua anima. “Grazie al lavoro messo in campo in questi anni dall’executive chef Ettore Bocchia e dallo staff, il Mistral è un luogo identificato con l’alta cucina” conclude Jan Bucher. “Uno dei piatti più riusciti di Ettore ‘Semplice ma complesso’, sintetizza la sua filosofia, che si basa su una straordinaria materia prima, che ogni giorno seleziona e va a cercare ovunque si trovi. Non vogliamo essere la copia di nessuno, proponiamo una nostra idea di cucina, ma non vogliamo che il cliente si annoi quando è a cena, cosa che sta accadendo non di rado nella ristorazione. Al Mistral proponiamo un ritorno ai sapori veri, come ad esempio lo spaghetto al pomodoro fatto al tavolo e gli ospiti lo hanno capito, abbiamo una waiting list di alcuni mesi. Grazie all’Executive Chef Ettore Bocchia e al Restaurant Manager Luca Speroni, che stanno facendo un grande lavoro, il Mistral è una cooking destination”. La carta del Mistral, costruita con intelligenza e mestiere, merita l’attenzione che si riserva a un buon libro di cui non si vuole sprecare neppure una riga, si origina dopo settimane di riflessioni e da vita a combinazioni in perfetta armonia che nascondono rigore nella scelta degli ingredienti e complessità tecniche. La tavola di Bocchia è un’esperienza da vivere preparandosi adeguatamente, richiede senso del gusto, ma ti porta lontano, oppure vicino, a seconda di ciò che in quel momento lo chef vuole dirti, non importa quanto la sua ricerca lo conduca a migliaia di chilometri di distanza, per accaparrarsi il tal ingrediente con cui vuol realizzare il tal piatto. Padre della cucina molecolare insieme a Davide Cassi, disciplina che trova ancora spazio nei suoi menu, persegue oggi un ritorno ai sapori e ai profumi che solo la materia in purezza sa dare e allora viaggia, conosce piccoli allevatori, pescatori, casari, produttori di olio, aceto, miele, artigiani del gusto, che producono in località sperdute minuscole quantità, parla con loro, mangia con loro, studia, si confronta, porta nella sua cucina quell’ingrediente, lo prova e se passa il vaglio lo inserisce in carta.
Rombo assoluto
Ma c’è un altro motivo per venire al Mistral, un patto non scritto con le tradizioni più sacre dell’hotellerie, che pone al centro della scena il guéridon, la lampada e le preparazioni al tavolo, per piatti assoluti, come la Canard à la presse, un monumento alla cucina francese codificato alla fine dell’800, padroneggiata in pochissimi ristoranti italiani, che qui è un must. Il viaggio inizia con un amouse bouche che contiene una tartar di pomodori giallo e rosso, marinati con olio al levistico; un tacos di rapa con salsa al mango e cocco; sorseggiando kombucha aromatizzata alle rose. Si prosegue con ‘Il giardino di Jacopo’, composto da 15 verdure in carpione, marinate magistralmente e servite con burro nocciola. Segue una Caesar Salad molto speciale, con una straordinaria quaglia di Bress, servita in rollèe di coscia disossata, chips ai cereali, lattuga, chutney di pesca fresca e Bitto stagionato cinque anni, che Bocchia ha visto nascere dal casaro. E ancora il cannellone, con ricotta di bufala del piccolo caseificio di Costanzo, pasta alle ortiche, pomodoro arancione di Casa Barone, impollinato dalle api sulle pendici del Vesuvio, che sa di mandarino e riduzione di pomodoro del Piennolo. Fino al momento del piatto che vale il viaggio: il Savarin di riso. Rullo di tamburi per uno dei grandi piatti regionali italiani, targato Parma, considerato una vera e propria iniziazione all’alta cucina, ma anche significativo per Bocchia, che riporta con il pensiero, alla monumentale versione, che preparavano Peppino e Mirella Cantarelli, leggenda parmigiana della ristorazione.
Savarin
Un puzzle di ingredienti ineludibili, scelti accuratamente e portati a cottura con perizia estrema, come la lingua, che giunge da una particolare selezione di manzi svizzeri, salmistrata home made; insieme al burro Echirè di Charentes Poitou, considerato il migliore al mondo, prodotto in Loira e lavorato a mano, a bassa velocità, in un caseificio fondato nel 1894 e ancora Il riso Carnaroli Di Cristiana, coltivato in Lomellina, unico riso certificato biologico in Italia, con una resa perfetta, mai croccante, ma fondente e a completare un soffritto ‘di casa’, con concentrato di pomodoro, porcini di Borgo Taro e fondi di arrosto, che avvolgono le polpette di pancia di vitello e maiale, leggermente infarinate con burro e salvia e passate in padella. Dopo il super Savarin ci si potrebbe credere sazi, ma al piccione che arriva è difficile dire di no. È una versione estiva del nobile volatile, che cuoce al vapore e ben si integra con le foglie di bieta, l’acidità dello yogurt, la salsa di ciliegie di stagione, la freschezza e la nota asiatica del daikon.
Gelato all’azoto e frutta
E il viaggio continua, senza alcuna preclusione verso la cucina vegetariana, come avevamo già riscontrato con il ‘cannolo’, ma che sposta l’asticella ancora più su, con l’Assoluto di sedano rapa, tagliato a fettine, marinato, messo in osmosi sotto sale, cotto al vapore e marinato con salsa di soia biologica Nesler, uno dei più competenti artigiani d’Italia a lavorare la soia al naturale. Si chiude con il celeberrimo gelato all’azoto liquido, uno dei must di Bocchia, preparato al tavolo, con l’ausilio di tre comin. Ma non solo. Se si ha tempo di rimanere qualche giorno o di tornare, si devono assaggiare gli spaghetti alle vongole selvagge; il ‘Semplicemente complesso’; i percebes; o ancora i tortellini di pavone e il rombo assoluto. Cantina di notevole livello, con una giacenza che si aggira intorno alle oltre 400 etichette tra le più pregiate al mondo, che ruotano continuamente. Ettore Bocchia conosce tutti i clienti e guida la cucina e gli acquisti, Manuel Ferrari è il Pastry Chef, Luca Speroni il restaurant manager, a coordinare un servizio di sala di primissimo livello, zelante, cordiale, competente, adeguato al contesto luxury. Un’esperienza che si ricorda a lungo quella del Mistral, pietra preziosa del Grand Hotel Villa Serbelloni.