MIRKO GATTI E LA FROLLATURA DEL PESCE (D’ACQUA DOLCE…)

Intervista a cura di Intervista Alessio Ippolito

 

L’intenzione iniziale era di intervistare Mirko Gatti, chef di [àbitat], ristorante gastronomico a San Fermo della Battaglia (CO), riguardo alla frollatura del pesce e in particolare a quella di pesce d’acqua dolce, praticamente inutilizzata all’interno dei confini nazionali; la circostanza, fortunata, che l’intervista sia stata organizzata durante una giornata dedicata alle fotografie del nuovo menù degustazione: Habitat Foresta, mi ha dato anche un’ottima opportunità per approfondire i dettagli circa il lancio del nuovo menù.

Mirko Gatti al lavoro alla brace

Al mio arrivo Mirko e il responsabile della comunicazione Vincenzo Moraca sono intenti ad impiattare uno dei nuovi piatti di Habitat Foresta: tartare di capriolo con salsa di tuorlo d’uovo marinato e acetosella rossa. La stanza ha un aspetto professionale, noto un riflettore puntato su una piastrella nera rialzata su cui appoggiano i vari piatti che verranno immortalati. E ancor prima che riesca a iniziare con le domande, arriva un altro piatto con l’uovo centenario (si tratta di un uovo lasciato in calce viva e spezie per due mesi).

Teste di pesce gatto affumicate usate come supporto per impiattamenti

Sapendo che non vale la pena, la frollatura, nel caso di pesci troppo piccoli, chiedo a Mirko quali specie lui utilizzi e se il processo venga applicato a tutti quelli che porta in tavola. Scopro che lo chef ne usa tantissime varietà, a seconda della disponibilità e della stagione ma a prescindere dalla dimensione, luccio, pesce gatto, anguilla, siluro, bottatrice, trota. Per Mirko, che la bontà del pesce si commisuri alla sua freschezza, è davvero solo un mito da sfatare: il sapore dei pesci che hanno subito un processo di maturazione o frollatura, infatti, viene profondamente intensificato e accentuato, la polpa non espelle più acqua durante la cottura, ampliando in senso migliorativo le prospettive delle varie preparazioni; quindi, sì, lui i pesci li frolla proprio tutti. Mi ricorda, lo chef, che in origine perfino il sushi giapponese si faceva con pesce frollato, e che solo con il passare del tempo l’uso è virato al pesce fresco.

Mushroom flower

Le tempistiche della frollatura, legate alla pezzatura dell’animale, variano da qualche giorno fino a non più di 20 giorni, ma lo chef mi rivela che è fondamentale controllare i pesci che subiscono il processo con regolarità, guardarli, toccarli per verificare se sono pronti, è questa la regola aurea, non ci si può affidare alla sterile conta dei giorni, possano essi definirsi con una certa accuratezza. Mi illustra quindi le fasi del procedimento: il pesce viene squamato, porzionato e inserito in sacchetti sottovuoto che vengono immersi in una vasca con acqua e ghiaccio per qualche giorno a temperatura controllata. Dopodiché, il pesce viene estratto dal sottovuoto e messo appeso ad asciugare a temperatura e ventilazione controllata.

Tartare di capriolo, salsa di tuorlo marinato e acetosella rossa

A questo punto vengo invitato in cucina dove tutto è meticolosamente etichettato in inglese e non conosco metà delle cose che leggo. Qui il cuoco Mattia sta preparando il prossimo piatto da fotografare: anguilla laccata e infilzata con una costoletta di cinghialetto (per veicolare calore all’interno) cotta su brace, a cui poi viene rimossa la pelle. Intanto Mirko cerca la presentazione migliore per il Mushroom flower: un gambo di cardoncello tagliato in modo da sembrare un fiore, che verrà servito con un brodo concentrato di funghi. Mi fa assaggiare il brodo: è potente, umami assai, estremamente persistente e molto profumato, l’impatto in bocca è dirompente. Il piatto completo, poi, è una vera bomba, con le propaggini del fungo che accarezzano il palato mentre lo si mastica. Dopo gli scatti al Mushroom flower si torna in cucina per preparare la Milk skin pie che richiede una ventina di minuti: del latte vien fatto bollire in padella fin quando rimane solamente uno strato di concentrato di latte caramellato, questo viene coppato e farcito con animella di vitello al bbq, verdure a foglia saltate (in questo caso spinaci) e noci. È un boccone delizioso, la piacevolezza del morso esaltata dalle diverse consistenze.



Anguilla laccata alla brace

E dato che Vincenzo mi ha parlato di una preparazione chiamata “mosciame”, chiedo a Mirko un approfondimento sul tema. “Beh”, mi spiega “Originariamente era carne di delfino trasformata in insaccato, asciugandola all’aria e al vento, come accade con lo stoccafisso. Ora è illegale usare il delfino, nel menù precedente facevamo il mosciame con il tonnarello”. Domando anche quali siano le differenze tra la frollatura di pesce di mare o d’acqua dolce, lo chef puntualizza che in effetti non ce ne sono, in quanto il processo dipende dalla dimensione del pesce e dal tempo necessario affinché sia pronto, dunque la provenienza non conta nulla. Obiettivi in parte diversi, d’altro canto, perseguono la frollatura e la maturazione; quest’ultima include varie tecniche per esaltare il sapore e per prolungare la conservazione della materia prima, pensiamo a marinature, invecchiamento, salagione, fermentazione; con frollatura si intende invece asciugare carne o pesce per concentrare il sapore delle carni e per evitare che esse perdano liquidi durante la cottura.

Cordula di pecora laccata e cotta su brace

Protagonista della fotografia successiva è la cordula di pecora (intestino legato su sé stesso) laccata e cotta sulla brace insieme a pan brioche coperto di cereali soffiati e katsuobushi (fiocchi di pesce essiccato) di trota. Me lo fanno assaggiare e volo su un altro pianeta.

Tra la mia curiosità e la loro ricerca di impiattamenti perfetti il pomeriggio passa in fretta e Mirko ora deve andare. Ne approfitto per andarmene anche io, ma sono certo che tornerò per assaggiare i piatti del menù Habitat Foresta. Soprattutto per la pernice KFC-style.

 

 

Photo credits Vincenzo Moraca

 Cover: Teste di luccio frollate