Per conoscere davvero il Parmigiano e arrivare poi a immaginare possibili abbinamenti enologici, occorre andare oltre al tasting, immergendosi nella sua storia plurisecolare, che riporta a epoche lontane nelle quali all’uomo mancava tutto ciò che conosciamo oggi, ma non il genio che fu dei monaci cistercensi e benedettini. Il latte, che fino ad allora era destinato ad essere solamente bevuto e trasformato in semplici formaggi freschi, mutava in qualcosa di nuovo, in un formaggio a pasta dura, che poteva preservarsi, viaggiare e servire per cucinare.
Per incontrare il casaro, occorre andare in caseificio all’alba e mentre tutto intorno ancora dorme, si entra in una costruzione amena in posizione defilata, che un tempo era di forma ottagonale, dove le nostre narici fanno la conoscenza con quel caratteristico profumo di latte appena munto che sta fermentando, in qualche modo familiare, qualcosa di atavico che ci appartiene. Il latte, una volta raccolto dalle due mungiture della sera prima e della mattina, verrà versato nelle caldaie di rame a forma di campana rovesciata. Lentamente, grazie al caglio aggiunto alla lavorazione e al siero che proviene dal procedimento del giorno precedente ricchissimo di fermenti lattici, sopraggiunge in modo totalmente naturale la coagulazione del latte, mentre il maestro casaro governa quel liquido bianchissimo e puro, maneggiando con padronanza gli strumenti secolari come lo spino con cui rompere la cagliata, frammentandola in piccolissimi granuli, tenendo fede a un patto antico, stretto con gli avi da generazioni.
L’antico metodo entra ora nel vivo attraverso l’uso del fuoco, che consentirà di raggiungere i 55 gradi centigradi, in modo che i granuli caseosi possano depositarsi sul fondo della caldaia creando un’unica massa, che il casaro saprà estrarre, dopo circa cinquanta minuti, grazie alla sua esperienza e, dando vita a due forme gemelle, avvolte nella tipica tela di lino, che poste in una fascera acquisteranno la forma definitiva.
Le forme verranno poste in salagione, mettendole a bagno in una soluzione satura di acqua e sale, per passare alla stagionatura, una fase fondamentale per il Parmigiano, da un minimo di 12 mesi (la più estesa tra tutti i formaggi Dop), fino a 24, 36, 40 mesi e anche oltre. Allo scadere del primo anno, gli esperti del Consorzio, faranno suonare la forma, percuotendola ad arte con il martelletto per intuire a orecchio gli eventuali difetti interni che possano interferire con la qualità. Solamente se le forme risulteranno idonee potranno essere bollate con l’apposito marchio a fuoco diventando così Parmigiano Reggiano. Le aree dove si produce sono esclusivamente le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna a sinistra del fiume Reno e Mantova a destra del fiume Po, luoghi di pianura, collina e montagna, dove le bovine da latte sono alimentate con foraggi solamente locali attenendosi a un rigido disciplinare che bandisce l’impiego di foraggi insilati, alimenti fermentati e farine di origine animale. La lenta e scrupolosa lavorazione richiederà per ogni forma circa 550 litri di latte.
Qualcuno ha detto che assaggiare il Parmigiano Reggiano è un’esperienza antropologica e siamo d’accordo con lui. Abbiamo a che fare con un mito gastronomico che vanta estimatori di ogni ordine e grado: nei secoli ne hanno scritto in tanti, da Giovanni Boccaccio a Moliere, apprezzandone l’assaggio in purezza e l’ampio utilizzo in cucina, attraverso decine e decine di ricette che grazie al Parmigiano si completano magnificamente.
Tre le stagionature che abbiamo scelto da abbinare a tre vini, per valorizzare quelle caratteristiche organolettiche di fragranza e complessità che ne fanno un formaggio unico.
abbinamento
È una caratteristica microbiologica a fare del Parmigiano Reggiano un prodotto unico. Il latte delle bovine delle zone di produzione, caratterizzano una singolare e intensa attività batterica della flora microbica autoctona, influenzata dai foraggi, dalle erbe e dai fieni dell’area di origine. Non vi sono interventi esterni o aggiunta di additivi enzimatici o batteri selezionati in laboratorio, ma solo l’attività dei batteri che si trovano naturalmente nel latte crudo prodotto dalle aziende agricole presenti nella zona di origine. Al naso esprime una sinfonia di aromi dove spiccano i sentori tipici del cuoio, funghi secchi e legna bruciata. Al palato regalerà invece un gusto tostato intenso. La consistenza sarà altamente friabile, con scaglie che tendono a frammentarsi in pezzi più piccoli. La pasta è asciutta e granulosa, con i cristalli di tirosina che si avvertono durante la masticazione e sono percepibili anche alla vista come “puntini bianchi”.
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Nel biellese, a Lessona, località dell’Alto Piemonte lambita dalle cime, con il Monte Rosa e Torino non distanti, in un’area ricca di boschi e biodiversità, circondata dalla paradisiaca Oasi Naturale di Severina, dove anticamente si trovava il Supervulcano, una pregevole realtà produttiva a carattere familiare guidata da Pietro Cassina, insieme alla moglie e ai figli, dedicata alla produzione di Nebbiolo, Vespolina, Croatina, Erbaluce e Uva Rara. La sostenibilità è al primo posto in questa cantina ipogea dal ridotto impatto ambientale, che si sviluppa sottoterra su tre livelli, con temperatura e un’umidità costante senza far ricorso al condizionamento artificiale degli ambienti. La vinificazione avviene per gravità delle uve, del mosto, del vino, autogenerando l’energia necessaria al proprio sostentamento con pannelli solari e fotovoltaico, un laghetto e un sistema di grondaie che raccolgono le acque piovane in una enorme cisterna sotterranea. I vigneti prosperano su terreni vulcanici acidi, fluvioglaciali, ghiaioso-sabbiosi e limoso-argillosi, ricchi di manganese e ferro, dove si vendemmia manualmente in piccole cassette e si effettuano cernita, diraspatura e pigiatura soffice, proseguendo con un periodo in acciaio e una macerazione sulle bucce per 7/10 giorni con follature e rimontaggi due volte al giorno, mentre la maturazione si protrae in legno per sette anni, concludendosi con un periodo di affinamento in bottiglia. Un Nebbiolo di carattere e grande piacevolezza, che si caratterizza per un naso floreale e fruttato, con sentori di rosa canina, violetta, glicine, insieme a mora, lampone, ribes, ciliegie di Vignola e una leggera nota di pietra focaia, coinvolgente e accattivante. Al palato ben strutturato, tannico, acido, secco e di buon corpo, ma anche morbido e persistente, con note di piccola frutta rossa e un finale leggermente mentolato. L’annata 2011 si presenta molto giovane, ma croccante, piacevole e notevolmente versatile. Oltre allo straordinario Parmigiano Reggiano 48 mesi, perfetto l’abbinamento con la Faraona al Lambrusco, agretti croccanti e mela verde di Davide Forghieri del ristorante Anna a Ponte Alto (Modena).
Molteplici sono le proprietà del Parmigiano, la digeribilità, l’abbondanza di calcio e fosforo, l’assenza di additivi e conservanti, che connotano una piacevolezza organolettica unica. È un alimento fondamentale nella dieta quotidiana perché fornisce a bambini, adulti, anziani, sportivi, una carica energizzante totalmente naturale. È privo di lattosio e le lunghe stagionature dispensano selenio e cromo, che proteggono il sistema immunitario dallo stress ossidativo, favorendo il funzionamento del metabolismo e i corretti livelli di glucosio nel sangue. Il tasting ci porta indietro nel tempo. Alla prova olfattiva una stagionatura così lunga fornisce aromi straordinari quasi impercettibili, riconducibili agli agrumi, alla frutta secca, a note di brodo, funghi disidratati, a lievi note ittiche e fumé. Al palato note tostate di pane abbrustolito, mandorle e caffè. La friabilità raggiunta dopo i 60 mesi caratterizza scaglie ricche di sensazioni sapide, che tendono a sminuzzarsi e a sciogliersi in bocca, mentre il morso è asciutto, granuloso, speziato, poco lattico, con evidenza di cristalli di tirosina che si avvertono alla vista e nella masticazione.
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