CAREMA LA COSTA 2018 MONTE MALETTO

I grandi narratori, e non per forza di vino, sono sempre da analizzare nel loro percorso evolutivo. Come si fa con i grandi filosofi o musicisti, quando si decide di approfondire dialoghi o sinfonie di “epoche diverse”. Perché di questo si tratta, di periodi, più o meno lunghi. Lo sa bene Gian Marco Viano, che nel 2014 ha scelto di dare un senso alla sua passione e iniziare la sua attività in Piemonte, Carema, al confine con la Valle d’Aosta. L’anfiteatro è di quelli magici, che bisognerebbe mappare a dovere per restituire ai degustatori più incalliti una fotografia: una scacchiera di vigneti che, con estremo divertimento, possono essere scoperti per una qualità che urla a ogni sorso. Il bello della storia di Monte Maletto, nome della montagna scelto in rappresentanza della azienda, non è da intendere come un “dare e avere” economico, ma come un senso di vita. Siamo di fronte a uno di quei ragazzi, oramai uomo spassionatamente innamorato del vino, che da quei primi vini scoperti e vissuti col padre Giovanni – nel Monferrato compravano damigiane di vino per imbottigliarle – non si è mai arreso per seguire quella sua parte più sentimentale fatta dell’ascolto del suo essere. Anche se a un primo approccio non può sembrare, quella di Gian Marco è un’esperienza che entra nel (suo) percorso e che resta nel (suo) silenzio sino a quando, dopo esperienze in ristoranti della Gran Bretagna – senza professione e conoscenza dell’inglese – e in qualche stellato italiano, e poi in una blasonata cantina di Barolo, emblema del Bricco delle Viole, capisce che versare e spiegare il vino non gli bastava più. Voleva costruire. Quello che aveva appreso del mondo dei consumi del vino, lo voleva riversare in qualcosa di suo, e per uno scopo personale. Ciò che è certo è che non sapeva che quel suo scopo sarebbe diventato quello di altri. Oggi è un faro per altri giovani produttori canavesani che lo vedono come uno che ce l’ha fatta e lui, così silenzioso e rigido, risponde con umiltà e con quella leggerezza di chi sa di stare operando con un pugno di vigneti dei 22 della denominazione piemontese. E che non ha di certo timore di dire la sua, ma neanche paura di ascoltare. L’atteggiamento umano è quello che ha verso le piante. Non a caso questo giovanissimo viticoltore è stato nominato dai Worlds 50 Best e dal Basque Culinary Institute tra i 50 Next, uno degli under 35 leader che cambieranno il mondo dell’enogastronomia. E, oggi, con questi pesi sulle spalle, è ancora più orgoglioso di essere uno dei portavoce del Carema e che, proprio per questo, decide di renderlo ancora più prezioso e proporlo in versione cru. E se poche, pochissime, erano le bottiglie, con La Costa si parla di un privilegio, sono 500 appena le bottiglie prodotte.

 

Carema DOC

 

Nasce, perché un singolo appezzamento si faceva notare in vendemmia, come quei cavalli che scalpitano, anche senza volerlo, e dunque perché non provare a veder cosa succede se lo si isola? Diventa un solista che non piange certo per la solitudine, anzi. Si lascia vivere in tutta la sua gioiosa e vivacità fruttata, e innata, data da una silenziosa eleganza. Una pacatezza e compostezza tannica, così abbracciante, ma energica… È un nebbiolo di montagna che ha voglia di divertirsi, e si libera da quel fiato trattenuto nel vetro. Un fiume di fiori che lasciano passare le note più salaci e che, incolpevolmente, regalano una somma piacevolezza. È un sorriso, non ci sono spigoli o rumori.