Siamo in un momento storico complesso nel quale le relazioni socioculturali sono in evoluzione e la visione del futuro appare incerta e quantomai eterogenea. In questo quadro si inserisce il convegno “Il vino che verrà. Contaminazioni multidisciplinari per un’evoluzione necessaria” organizzato dalla società di consulenza nel settore vitivinicolo Uva Sapiens nel suo decimo anniversario di fondazione. Le contaminazioni sono l’unico modo per trovare nuovi punti di vista; nuove idee si ottengono solo mettendo insieme più competenze. L’iper-specializzazione, oggi tanto praticata, impedisce di avere una visione globale delle problematiche e delle soluzioni. A riflettere su tutto questo Uva Sapiens ha chiamato un manipolo di esperti di differenti settori per discutere sulle problematiche che i vignaioli si troveranno ad affrontare nel prossimo futuro. Sensibilità e professionalità diverse per discutere del vino, figlio della sensibilità degli uomini.
Partendo proprio dalle radici del problema, dalle piante, l’intervento di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale e autorevole esperto di etologia vegetale, è stato illuminante. “Le piante non sono soltanto la base della vita ma sono la possibilità che ci sia la vita stessa. Noi animali, invece, siamo una porzione insignificante del pianeta: lo 0,3 % della biomassa mentre le piante rappresentano l’85% degli organismi viventi. Eppure, noi non ne abbiamo percezione”. A noi il compito di modificare questa percezione: l’intelligenza vegetale supera decisamente quella umana, “e ci vuole poco per capirlo, vista la velocità con cui stiamo depauperando la nostra Terra. Il riscaldamento globale sta avvenendo a causa delle emissioni di gas serra, ma anche per il drammatico e continuo taglio di alberi che stranamente viene quasi sempre sottaciuto mentre si tratta di una evidente concausa”. La conclusione è lapidaria: “Considerando che l’intelligenza è la capacità di risolvere i problemi, le piante si sono dimostrate molto più intelligenti del genere umano; la vita media, infatti, di una specie vegetale è di 5 milioni di anni, mentre noi, con poco più di 200.000 anni, stiamo già fronteggiando gravi problematiche di declino”.
In un altro intervento, Mattia Binotto, ex team principal della scuderia Ferrari, si è concentrato sul tema della ricerca e sviluppo, evidenziando come queste due azioni, strategiche e fondamentali per la crescita di qualsiasi impresa non siano il frutto di creatività ma “di un processo fatto di programmazione, metodo e approccio rigoroso. La Formula 1, a questo riguardo è un esempio molto concreto di ricerca e innovazione totalmente programmata e rigorosamente codificata”. Anche gli errori aiutano nello sviluppo: “È fondamentale anche accettare il rischio del fallimento. Attraverso i fallimenti, infatti, si può crescere”. Consapevolezza e sviluppo sono funzionali a uno stile di vino o di territorio. Uno stile che deve essere facilmente comunicabile e percepibile dal consumatore. Sugli stili del futuro si è concentrato il neo Master of Wine Andrea Lonardi, direttore operativo del gruppo Angelini Wines & Estates. “Lo stile consente di far conoscere chiaramente la propria identità senza dover parlare, senza doverla spiegare”. Negli altri Paesi gli stili sono ben delineati e individuabili mentre “il principale limite del sistema vitivinicolo italiano è di non essere stato in grado fino ad oggi di evidenziare stili di vini ben codificati e riconoscibili a livello internazionale”. Lo stile non deve essere fisso ma in continua evoluzione anche se duraturo, coerente e con visione di lungo periodo; gli elementi dello stile vanno ricercati sia a livello produttivo, che organolettico, che estetico. Occorre poi coerenza comunicativa e commerciale consapevoli che i risultati arriveranno solo con il tempo e non nell’immediato.