LE “UTOPIE ENOICHE” DI RONCHI DI CASTELLUCCIO

Gian Vittorio Baldi, lughese di nascita, è regista e produttore acclamato in tutto il mondo. Vive a Roma, anche se si tratta del classico intellettuale cosmopolita. Nel 1969 si sposa con Macha Méril, attrice francese figlia di un principe russo, di mestiere agronomo e viticultore, musa di Buñuel e Dario Argento. In viaggio di nozze Baldi rimane folgorato dallo Château Lafite-Rothschild. Gli sembra incredibile che il vino possa essere concepito come prodotto intellettuale, anzi, come opera estetica. Tra un film e l’altro inizia a muoversi per l’Italia alla ricerca di qualcosa, non sa ancora di preciso cosa. È alla ricerca di una location idonea per realizzare un progetto che gli gira in testa. Prima pensa alla Sardegna, ma poi l’investimento non decolla. Alla fine, mentre è sul set a Brisighella, si imbatte per caso nei terreni di quella che sarebbe diventata Castelluccio “cercavo un territorio di grande bellezza, che avesse storicamente una presenza della vite e che fosse né troppo vicino al mare, né troppo lontano”, come ebbe a dire) e si innamora. Decide che il posto sarà quello. Come suo solito ha le idee cristalline, perché nel frattempo Baldi ha capito cosa sta cercando. Incredibile da credere, sta cercando un posto per fare vino.

L’idea di puntare alla migliore qualità possibile, senza imporre limiti creativi a nessuno dei professionisti con cui collaborerà, è il principio stesso della fondazione di Castelluccio. Insieme a considerare lo stesso vino come un prodotto artistico. Baldi, non a caso, sceglierà i sodali tra i giovani più antidogmatici e talentuosi della sua generazione. Per questo nel 1974, con l’intermediazione di una figura chiave come Gianfranco Bolognesi – poi patron della seminale Frasca di Castrocaro – appena eletto miglior sommelier d’Italia, arriva a Castelluccio un altro personaggio destinato a fare storia come l’agronomo Remigio Bordini, anche lui di origine lughese, direttore dell’azienda Sperimentale Naldi che a Tebano, sede staccata della facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, sta lavorando al censimento dei cloni di Sangiovese allo scopo di ‘fabbricare’ la DOC. Con lui studia i terreni alla ricerca delle barbatelle più adatte da utilizzare.

Castelluccio, c’è da dirlo, è un piccolo miracolo di collocazione, adagiata nelle splendide colline fra Brisighella e Modigliana, a cavallo delle province di Forlì e di Ravenna, ad un’altitudine compresa tra i 253 e i 411 metri, con una pendenza che sfiora il 40%; è situata proprio sopra a quella che storicamente è chiamata “Vena del Gesso”, vasta area di calanchi formati dalla precipitazione dei sali di calcio dell’acqua quando, all’incirca sei milioni di anni prima, in quella zona c’era in mare. I sottosuoli, soprattutto, sono ricchissimi, composti di marna e calcare. Castelluccio segna l’inizio dell’appennino dove affiora la marnosa argnacca, i suoli perdono la conformazione argillosa e diventano sciolti, sabbiosi e poveri. La zona è circondata da vastissime formazioni boschive, ginestre, sorbi, giuggioli, ciliegi e melograni. Ci sono anche querce, castagni e faggi, con antichi olivi a completare il panorama, estremamente biodiversivo. In mezzo a loro, storicamente, viene coltivata la vite, proprio in quelle zone individuate da Baldi come parcelle ad altissima vocazione.

La Romagna appare a Gian Vittorio come una sorta di Jura, una Terra Promessa enoica: un’area dalla profonda vocazione che per oscure motivazioni non è mai riuscita a raggiungere l’affermazione che merita. Imperterrito prosegue nel lavoro. Decide di selezionare i cloni di Castelluccio tra quelli scartati per la DOC, scegliendo quelli che possono garantire risultati qualitativi migliori, a scapito della quantità. Quando nel 1975 inizia a piantare imposta il lavoro sugli impianti fitti e sulle basse rese, piantati a giropoggio come in Piemonte. Gli sembra una soluzione sensata. E poi farà come gli ha consigliato l’amico Gino, produrrà vini da singole vigne. È l’unica maniera di raggiungere i risultati che ha in mente. La stessa cura riservata al Sangiovese viene dedicata ad un vitigno che Gian Vittorio venera e che negli anni qui uscirà in letture incredibili, ovverosia il Sauvignon Blanc, che si decide di destinare al Ronco più disagiato: esposto, talmente impervio da risultare quasi impossibile da vendemmiare, con rese potenziali di meno di un ventesimo di quelle medie. Nasce il Ronco del Re.

Scelti i vitigni e i cloni, dal 1975 a Castelluccio vengono impiantati, anche qui con metodo scientificamente creativo, (ad esempio con uno strumentale rifiuto del rittochino): 8 ettari di Sangiovese e 2 di Sauvignon Blanc. Nel 1999, a sorpresa, 10 anni dopo la sua uscita di scena, Castelluccio diventa di proprietà della famiglia Fiore. Nei 10 anni successivi si modernizza, realizzando etichette che vanno più incontro al gusto del pubblico, letture se vogliamo più ‘facili’, che se in parte tradiscono le visioni degli esordi ne rileggono in chiave moderna i presupposti, conservando memoria storica dei Ronchi nelle etichette. Un sogno che prosegue fino ai nostri giorni, quando Castelluccio che è stata una delle pochissime utopie vitivinicole realizzate, è pronto ad entrare in una nuova fase della sua vita grazie alla nuova proprietà dei fratelli Paolo e Aldo Rametta, che insieme al socio Cristiano Vitali hanno acquisito la storica azienda vinicola di Modigliana a luglio 2020.

 

Lunaria 2020

Sauvignon Blanc in purezza prodotto dalle vigne più giovani di Castelluccio, Lunaria è un vino che non svolge macerazione, con fermentazione in cemento ed affinamento esclusivamente in acciaio. Di un bel color giallo paglierino con riflessi dorati, il Lunaria al naso gioca su note fruttate e complesse di albicocca e rosmarino, con tocchi di macchia mediterranea. All’assaggio risulta teso e croccante, sapido, con ritorno fruttato-officinale. Un vino che lascia il segno, dal finale molto persistente, fresco e al contempo di ottimo corpo e, soprattutto, di personalità.

 

Le More 2020

Le More è un vino che nasce da un omaggio al sottobosco. Il Sangiovese parla normalmente un linguaggio (di frutti e di fiori) di colore blu. A Modigliana il microclima e le grandi estensioni dei boschi che la contraddistinguono fanno virare il colore verso il dark. Ecco spiegato il perché delle more in etichetta, una delle grandi intuizioni di Gian Vittorio Baldi. Le More 2020 nasce come lo si faceva tradizionalmente a Castelluccio, da una selezione di quelle che sono le vigne più giovani, ovverosia Vigna Sottovento e la cosiddetta Grossa Vigna, ma anche, in parte, dai Ronchi. Le More 2020 nasce da 15-20 giorni di fermentazione spontanea in acciaio e affinamento di circa 8 mesi sulle fecce fini, parte in cemento e parte in acciaio, per poi riposarsi altri tre mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. È un vino beverino e fruttato, fragrante, con tannini leggiadri, mai eccessivo, una vera fotografia del Sangiovese d’altura.

 

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