NOBUYA MILANO: LA CASA CHE ABITA DUE CULTURE
A Milano, in via San Nicolao, c’è un rifugio intimo e raffinato nato dall’incontro di due mondi che qui dialogano con naturalezza e rigore. Nobuya, progetto dello chef Niimori Nobuya insieme all’imprenditore Andrea Lin, è molto più di un ristorante: è una dimora gastronomica dove memoria, tecnica e delicatezza si intrecciano senza fratture. Originario di Tokyo, lo chef ha attraversato esperienze tra Giappone e Italia che gli hanno permesso di costruire una visione nitida: una cucina essenziale ma meticolosa, salda nella tradizione e al tempo stesso reinterpretata attraverso un’estetica contemporanea che riflette la sua indole calma, la sua calligrafia interiore, il suo modo di pensare per gesti misurati.

Niimori Nobuya
L’ambiente di Nobuya è una composizione architettonica cesellata con cura. Progettato da Maurizio Lai in collaborazione con Rugiano, unisce legno scuro, porfido, vetro e geometrie in una trama coerente, dove ogni materiale contribuisce a un equilibrio culturale sottile. Il simbolo dell’esagono ricorre nei tavoli, nelle grafiche, nelle bacchette: non è un semplice motivo ornamentale, ma un richiamo alla fortuna e alla fibra della canapa, pianta che nel quartiere d’origine dello chef cresceva dritta e veloce, incarnando insieme solidità e purezza.

La sala è raccolta, calibrata, con poco più di quaranta coperti distribuiti in due ambienti. I pavimenti dialogano con l’idea del tatami, mentre un lampadario di Murano composto da 270 elementi sospende una costellazione luminosa che si apre all’ingresso come un albero di prugne stilizzato, la stessa forma evocata nel rosa che ritorna come segno grafico e simbolico del locale. È un luogo che non ostenta: chiede attenzione, la ottiene, e la restituisce attraverso un senso di calma impeccabilmente costruita.

Crudo Dry Aged
La cucina segue lo stesso passo. Il percorso si apre con il Crudo Dry Aged leggermente scottato sulla brace, servito con koji di soia, olio allo zenzero ed erba cipollina È un’introduzione sobria e precisa, dove la maturazione asciuga il superfluo e lascia emergere una morbidezza pulita, dall’aroma appena affumicato. Segue l’Aburi di ventresca di tonno, con saikyo miso allo yuzu, rucola wasabi e gel di aceto Yusen. Qui la grassezza della ventresca trova un contrappunto aromatico verticale e agrumato, una progressione che apre senza mai forzare. Il King Crab gratinato arriva come un conforto contemporaneo: polpa dolce, maionese, panko, lattughino di Planet Farm e uno shokupan tostato che profuma di forno. Un piatto che conserva la golosità del gratin ma la alleggerisce con una costruzione più ariosa, quasi domestica nella sua immediatezza.

Aburi di ventresca di tonno
L’Uramaki Nobuya raccoglie in sé un mosaico di ingredienti: pesce bianco al Josper, tonno, salmone, capesante, gamberi rossi, shiso, avocado e maionese al wasabi. È uno dei piatti-identità del locale: complessità controllata, armonia istintiva, una sintesi del pensiero dello chef. Poi arriva l’Anguilla Kabayaki, cotta sulla brace e servita con takikomi gohan. È un piatto che scalda profondamente. Il riso, impregnato del suo fondo, rappresenta uno dei gesti più intimi della cucina giapponese, un atto che parla di casa e di radici. Il percorso dolce si snoda in due capitoli.

Uramaki Nobuya
Il Parfait al mango e passion fruit, con granita al sudachi, sorbetto e crumble alle ha la limpidezza aromatica di un frutto appena aperto. Il Musubi, un Dojima Roll al matcha con crema al mascarpone, gelato al matcha e sabbia di cioccolato bianco cristallizzato è un ponte diretto tra Italia e Giappone, dolce nella forma e rigoroso nella struttura. In sala, la direzione è un capitolo a parte. Lorenzo Gentile, sommelier, si muove con una discrezione che non sottrae scena alla cucina ma la amplifica, costruendo percorsi liquidi che non accompagnano semplicemente il piatto: lo interpretano. La presenza della cantina illuminata e la cura delle referenze riflettono una sensibilità che non cerca clamore, ma profondità. Nobuya è un luogo di piccoli rituali. I percorsi di tè e sake non sono abbinamenti, ma momenti narrativi; il servizio procede con una calma che appartiene solo ai posti che non hanno fretta, ai posti che sanno cosa vogliono dire. Questa cucina può essere lingua comune, un ponte che attraversa oceani culturali senza perdere la propria grammatica. A Milano, Nobuya è esattamente questo: un dialogo gentile e profondo tra l’arte del Giappone e la materia italiana, tracciato con mano sicura su una tela che appartiene a entrambi.