DON ALFONSO, LO SPAGHETTO AL POMODORO
Il simbolo più fulgido della nostra identità gastronomica, lo Spaghetto al pomodoro, deriva in realtà dall’intreccio di pratiche e ingredienti che provengono da luoghi e tempi diversi. Un intersecarsi di prodotti e saperi che ha trovato in Italia un’altissima espressione, fino a diventarne icona. Condensato di semplicità e materia prima d’eccellenza, il piatto cela una complessità culturale di grande valore. Non si può menzionare lo Spaghetto al pomodoro senza parlare del Don Alfonso 1890, punto di riferimento nell’ambito della ristorazione e dell’accoglienza, che ha reso questa pietanza vessillo della propria filosofia in cucina e continua a narrarlo come centrale nel proprio universo di gusto. Un piatto universalmente riconosciuto come emblema della cucina italiana ma che affonda le radici lontano. A partire dal suo ingrediente principe, il pomodoro, che ha origine in America Latina e che approda in Europa nel XVI secolo, dopo la scoperta delle Americhe, per poi essere impiegato più ampiamente in cucina intorno al 1700. In Italia, in particolare al Sud, incontra condizioni climatiche e di terroir talmente favorevoli da diventare un ortaggio chiave della cucina autoctona, imprescindibile per il “gusto mediterraneo”. A dimostrazione di come l’orto è da sempre multiculturale e aperto a contaminazioni, che arricchiscono la biodiversità in campo e la gamma di sapori nel piatto. “La pasta e il pomodoro sono l’esempio di come il “nuovo” possa diventare “tradizione” se, sviluppandosi sul territorio, si trasforma in eccellenza”, Alfonso Iaccarino.
Per la famiglia Iaccarino lo Spaghetto Don Alfonso (ossia al pomodoro) ha rappresentato nei decenni passati un elemento di rottura rispetto alla tendenza dell’epoca di strizzare l’occhio alla cucina francese, attraverso un piatto rivoluzionario nella sua semplicità, portatore dell’identità storica, culturale e gastronomica italiana. La volontà di fare una cucina fine dining con il coraggio di utilizzare ingredienti “poveri”, che esprimono la loro ricchezza nell’eccellenza di una materia prima che non ha bisogno di espedienti per manifestarsi in tutta la sua bontà. È stato così per Alfonso Iaccarino ed è così ancora oggi per Ernesto Iaccarino, da oltre un ventennio chef del Don Alfonso 1890. Creativo ed eclettico interprete della dieta mediterranea, in un’accezione estremamente contemporanea, porta scritto nel DNA il significato di questo piatto, attribuendogli un valore trasversale alle generazioni. Lo ha respirato fin da bambino, figlio di un pensiero costruito intorno alla genuinità e naturale bontà dei frutti della terra.
Una ricetta fatta non solo di ingredienti, ma di memoria, gesti e vibrazioni dell’anima, che amalgamano la materia secondo regole non scritte ma dettate dal tempo, per un sapore irripetibile nella sua unicità. Cinque gli ingredienti che Ernesto utilizza: olio EVO, aglio, spaghetto, pomodorini e basilico. Le teste d’aglio tagliate vengono cotte a bassa temperatura nell’olio, due- tre ore, per ottenere una base delicata nella dolcezza e nell’umami. Qui lo chef tuffa i pomodorini vesuviani, quelli di Punta Campanella quando è stagione, che richiedono una cottura breve, per non asciugarsi e offrire un meraviglioso bilanciamento tra acidità e dolcezza, in perfetto equilibrio nel succoso sugo. E la pasta di Gragnano, rigorosamente artigianale, con filatura al bronzo ed essicazione lunga, pronta a catturare l’oblio della salsa. Il boccone è potente, nella semplicità di sapori che portano al palato l’impatto di una materia eccelsa e di una cucina netta, pulita e sana.
“Eleganza non significa farsi notare, ma farsi ricordare”. Ernesto Iaccarino fa proprie queste parole per esprimere l’essenza del piatto, capace di tracciare un segno indelebile a livello sensoriale e concettuale, nella sua elegante naturalezza e di toccare corde di gusto e di memoria profonde. Intramontabile la percezione che gli italiani hanno di questa ricetta, in cui si riconoscono e che continuano ad amare perché ognuno ha una propria storia legata a uno spaghetto al pomodoro dentro il cassetto dei ricordi. E perché rappresenta a colori la cultura e il profumo dell’Italia, in terra nostrana e nel mondo. Quel senso di appartenenza, di convivialità, di cucina verace che inonda la mediterraneità delle coste fino ad arrivare su ogni tavola, forte nel suo gusto, nel suo morso tenace e in quel gesto di arrotolare la forchetta che celebra il valore di un paese visceralmente genuino. Chef Ernesto Iaccarino racconta di come, nella loro azienda agricola biologica di Punta Campanella, anche i pomodori abbiano subito l’influsso del cambiamento climatico. Il mese che prima era il fulcro della raccolta, agosto, ora è quello più complesso (a causa di ondate di caldo che tendono ad asciugare il pomodoro, lasciando più buccia che polpa). Una stagione dilatata che ormai parte a luglio per arrivare fino anche a ottobre, con le piante secche ma ancora in grado di produrre. Mutamenti che sono ragione di un impegno sempre più forte da parte della famiglia Iaccarino verso la tutela del pianeta, nell’ottica di una sostenibilità ambientale e umana più trasversale e consolidata. Ci piace pensare lo Spaghetto al pomodoro di Don Alfonso come ad un contenitore “gustoso” di tutto il loro percorso avanguardista e visionario, capace di riconoscere nell’autenticità e salubrità della cucina il senso più vero dell’approccio al cibo come ecosistema gastronomico, culturale e sociale.