PRINCIPI DI BUTERA, IL SOGNO RITROVATO
Di certo arrivarci non è molto facile: le strade sono poche, anguste, spesso dissestate. Siamo in provincia di Caltanissetta, nel suo interno, il mare della Trinacria non è vicino. Dal nulla, incastonato tra una collina e l’altra, appare Principi di Butera. Potrebbe sembrare quasi un miraggio, in una zona della Sicilia abbastanza povera, disseminata di borghi e paesi non molto vicini tra loro, eppure il miraggio tale non è, basta percorrere un breve vialetto ed ecco, poco oltre un’antica fontana a dare il benarrivato, le mille nuances, dal color mattone fino all’ocra, proprie del baglio.
La proprietà si estende nelle antiche terre del feudo Deliella e si colloca lungo l’asse che collega due dei sette siti siciliani dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, la Valle dei Templi di Agrigento e l’incredibile Villa Romana del Casale, a Piazza Armerina. Si dice che il nome Butera derivi da Re Bute, il primo re dei Siculi, che con i Sicani e i coloni greci abitarono, in antichità, questo territorio così strategico per l’isola centro meridionale.
Tralasciando forse colpevolmente la storia di questo baglio, legato comunque alle vicende millenarie della sua terra, crocevia di tutte le civiltà del Mediterraneo, alle sue genti e alle nobiltà che l’hanno posseduto e vissuto, il 1987 segna l’acquisto di Principi di Butera da parte della famiglia Zonin. Sono anni di fermento, di intervento e tutela del territorio; l’antico feudo viene completamente restaurato nel rigoroso rispetto delle sue strutture secolari, per diventare un resort esclusivo, elegante ma mai opulento nella sua architettura, un’oasi di pace, colori, profumi e suoni. È un luogo da scoprire in un’atmosfera di intima suggestione: sono il giallo e l’arancione dei fichi d’India fioriti, il verde degli ulivi secolari, l’azzurro del cielo di Sicilia che dialoga con le vallate dorate che avvolgono il baglio, il viola acceso delle bouganville. Ma è anche il silenzio del vento, che accompagna i canti delle cicale nascoste e il cinguettio dei pendolini in volo; il naso coglie il profumo delle rose in fiore e dei gelsomini. E anche la tavola regala la Trinacria più autentica attraverso mani e virtù non di uno chef ma della casiera, termine mutuato dal lessico toscano che si presta perfettamente per raccontare una padrona di casa che sovrintende a una cucina generosa e semplice, piena di gusto. Sono le arancine, le panelle, le mille verdure declinate in altrettanti modi che qui hanno un sapore diverso, sono i dolci fatti in casa da assaporare nella terrazza che guarda alle colline, magari in compagnia di un calice di vino, che qui sanno bene come fare.
Le camere, come gli ambienti comuni, hanno un’eleganza tipicamente locale e sussurrata; sono charme e garbo, i colori, agli occhi, sono quelli del sole. Nulla è fuori posto né fuori luogo, nulla è eccessivo e neppure volgare, tutto qui racconta il baglio, la sua storia e vita, la sua Sicilia avvolta nel silenzio. Se Principi di Butera non è un miraggio ma un punto di arrivo è anche partenza, per scoprire una parte dell’isola, quella più interna, che forse a molti non parrà così interessante ma che, al contrario, si rivela inaspettata.
Piazza Armerina, città dei mosaici e delle cento chiese, non così vicina ma nemmeno tanto lontana merita la visita, come si scriveva nei vecchi atlanti del Touring Club Italiano, per il barocco e il normanno del suo centro storico, di impianto medievale; è perdersi nelle viuzze e nei vicoli con il naso all’insù, per scoprire palazzi, angoli, scorci che la raccontano; è entrare ad ammirare la sua cattedrale, al tempo stesso gotica, manierista e barocca, la chiesa di San Rocco.
Sono i dintorni delle sue aree naturalistiche, archeologiche e del vicino lago di Pergusa. Quattro, forse cinque, di sicuro pochi chilometri separano la cittadina dagli incredibili mosaici della Villa Romana del Casale, dal 1997 patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, città d’arte già definita Urbis Opulentima, dall’importantissimo patrimonio archeologico, storico, artistico e naturale. La definizione di villa pare impropria, si può al più pensarla come palazzo urbano imperiale; ha datazione e origini in gran parte misteriose seppur di certo antiche, per quanto i più recenti studi tendono ad attribuirla a un alto esponente dell’aristocrazia senatoria romana, forse un Praefectus Urbi, responsabile dell’ordine pubblico della città di Roma, e attrae ogni anno visitatori da ogni parte del mondo, in virtù dell’eccezionalità del luogo.
Gli occhi si aprono allo stupore dei suoi mosaici, in gran parte in ottima condizione di conservazione, grazie anche al costante ed enorme lavoro di restauro, che descrivono la vita di chi qui ha vissuto. È un incredibile e lunghissimo racconto di diverse migliaia di tessere che coprono una superficie complessiva, nei diversi ambienti della dimora, di più 3.000 metri quadrati di pura arte e manualità.
Se Piazza Armerina vale la visita, Villa Romana del Casale vale di certo il viaggio; non è un caso, si scriveva più sopra, che nella lunga ed esaustiva visita si sentano parlare tutte le lingue del mondo. E non è lontana neppure Caltagirone, con le sue ceramiche, lo stile tardo barocco che la contraddistingue, patrimonio UNESCO dal 2002, le riserve naturali a lei vicine, le necropoli e le sugherete della vicina Niscemi.
Il ritorno è a Principi di Butera, dove tutto avuto inizio, per sensazioni di pace, garbo e profonda identità; emozioni comuni a quelle provate visitando una parte dell’isola eterno patrimonio dell’intera umanità.