TANGERI, “BONJOUR MA BELLE”
“È una di quelle brutte giornate a Tangeri, una giornata di vento e solitudine per l’irascibile patriarca…. Nella sua stanza dai muri screpolati, il vecchio si annoia ricordando i figli ingrati, la moglie sottomessa, gli amici scomparsi o morti… Sorride al ricordo delle gambe delle ragazze o, ai seni di una serva, troppo liberi sotto il velo leggero delle sue vesti. Perché a volte immaginiamo la vecchiaia liberata dal desiderio?”. Il protagonista è il vecchio patriarca, costretto a letto dalla malattia. Egli ricorda il suo passato ed il presente nel racconto “Giorno di silenzio a Tangeri” dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun pubblicato nel 1989.
Chiudo il libro e guardo il mare, seduto su una delle tante terrazze-ritrovo dell’Haifa Cafè aperto nel 1921, istituzione irrinunciabile per gli estimatori della Tangeri mondana. La famosa “Tanger, danger” meta, nella sua infinita storia, di pirati, avventurieri, artisti, scrittori, pittori e bohémienne. Una città, per certi versi decadente. Un luogo maledetto per pittori come Eugène Delacroix e Henri Matisse; scrittori in cerca di ispirazione come Paul Bowles e William Burroughs. Quest’ultimo poliedrico saggista americano considerato l’ispiratore della Beat Generation. A Tangeri scrisse “Pasto Nudo”, un insieme di scritti ed appunti disordinati che i suoi due grandi amici Jack Kerouac e Allen Ginsberg, una volta che lo raggiunsero nella città corsara, lo convinsero a riordinare. Fu lui ad inventare la cut-up una scrittura creativa che consiste nel ritagliare parole di un testo già esistente, mischiandole in un ordine diverso, per generare un nuovo significato. Una procedura sperimentata precedentemente dal poeta dadaista Tristan Tzara. Pasto nudo è il libro più famoso di “Old Bull Lee” come veniva chiamato amichevolmente da Jack Kerouac. Pubblicato nel 1959, è ancora estremamente attuale, ha come metafora il controllo che lo Stato può attuare sui propri cittadini ed individui (il controllo della mente umana) e la telepatia per sfuggire a questo controllo.
Tutto ciò però è storia vecchia. La rinascita tangerina è iniziata nel 1999 con la costruzione di Tangeri Med, il porto commerciale più grande dell’Africa e continua tutt’ora regalando un’immagine completamente rinnovata dell’Antica città, al punto che camminando sull’interminabile Corniche su cui si affacciano sia palazzi dal volto antico che avveniristiche costruzioni, sembra di stare sulla Costa Azzurra, con ristoranti show room e ritrovi dal richiamo irresistibile (spettacolare la terrazza-bar dell’Hilton City Center Hotels & Residences da dove, si ammira l’infinita spiaggia cittadina). Una sorpresa piacevole che mette in risalto la meravigliosa Avenue Mohamed VI, tirata a nuova vita così, come le imponenti mura del forte di Borj Dar El-Baroud baluardo del vecchio porto e le candide mura bianche della medina, con le case affacciate a strapiombo e la rete intricata di vicoli, in cui scorre frenetica la vita di tutti i giorni.
Tangeri, “la città bianca”, è la punta più occidentale dell’Africa affacciata sullo stretto di Gibilterra, divisa dalla Spagna da soli 16 km di mare, lì dove finisce il Mar Mediterraneo ed inizia l’Oceano Atlantico. È una sorpresa infinita, con Place de France (non poteva essere altrimenti) che respira giorno e notte, con il Grand Socco e il suo mercato animato e multicolore, immancabile cornice dell’antico cinema Rif dove ci si può sedere all’aperto, sorseggiando l’onnipresente tè. La kasbah stretta tra le antiche mura portoghesi racchiude Dar El Makhzen, il Palazzo del Sultano, oggi trasformato nel Museo d’Arte Marocchina, ricco di mosaici e statue in bronzo di epoca romana.
Poco lontano, il Museo della Legazione Americana, con manufatti artistici dal XVII secolo fino ai giorni nostri. La medina si esplora a piedi perdendosi tra i vicoli, rincorrendo il profumo del pane appena sfornato, ascoltando il vociare confuso degli habitué e dei tangerini che affollano le terrazze dell’Haifa Cafè, aspettando il tramonto e osservando la linea costiera della Spagna sedici chilometri di mare più a nord. Ma per essere davvero insider non può certo mancare una serata elegante a El Morocco Club, situato nella kasbah, in Piazza Tabor, ristorante, piano bar, caffè-terrace, luogo di incontro e di fermenti artistici, sotto un ficus centenario. The place to be per vocazione per continuare nel mito della Beat Generation.
Cap Spartel si staglia 14 chilometri ad ovest della città, con il suo faro che traccia la rotta per lo Stretto di Gibilterra. Poco lontano le Grotte di Ercole, una delle attrazioni più visitate della zona. E non importa se Ercole non vi abbia mai abitato, la leggenda vince e mentre cammino tra questi antri che sfociano in mare, mi piace pensare che qui viveva Ercole e che le sue colonne segnassero, nella mitologia antica, l’Atlantico, l’inizio del mondo sconosciuto. Dall’altra parte dello stretto di Gibilterra il Mediterraneo con le sue attraenti spiagge affollate di una moltitudine variopinta.
Con la bella Marina Smir, simile alla Rimini anni ‘90, per i suoi caffè e hotel affacciati su un mare dai riflessi smeraldo. Mi concedo una pausa dal caldo opprimente, nell’affascinate e mondana atmosfera dell’Hotel Sofitel Tamuda Bay Beach & Spa, gustando un prelibato filetto di San Pietro al succo di line, tra musica contemporanea e una sfilata continua di camerieri palestrati.
A fatica lascio la mia oasi di benessere per cimentarmi in quad, assieme ad alcuni amici, sulle propaggini di Cabo Negro da dove si ammira il rosario di spiagge assolate che continuano verso est.
Siamo alla fine di giugno e il caldo si fa sentire, è appena finita la festa dell’Eid al-Adha, una delle più importanti del calendario islamico e la gente ne approfitta per un fine settimana di svago. Sarei rimasto volentieri nel voluttuoso “dolce fa niente” del Sofitel ma, il richiamo della vicina Tetuán a soli 60 km da Tangeri, mi attrae. Superata la fertile vallata del Martil, ecco la città stagliarsi sui contrafforti del ripido altopiano roccioso del Jbel Dersa. Tittawin il nome marocchino, ex capitale del protettorato spagnolo e attuale capoluogo amministrativo del Rif occidentale, è la sede di numerose imprese specializzate negli alimentari e nelle aziende tessili e cementifere. Ma, innanzi tutto, è famosa per la sua meravigliosa medina, considerata tra i migliori esempi di città storiche dell’VIII secolo e dichiarata patrimonio mondiale dell’Unesco nel 1997. È circondata per tre lati da mura con sette porte monumentali.
Oggi è giorno di festa perché il Re Mohamed VI è a Tetuán, le strade della ville nouvelle di stampo spagnolo e della medina, sono un invito a passeggiare. Cammino, senza fretta, tra basse volte dove la luce penetra a fatica, mi fermo nelle botteghe artigianali ricolme di mercanzie tradizionali e nel caratteristico suq di El-Fuki, tra venditori di spezie e delle tipiche pagnotte di pane chiamate kesra. Mi perdo nel Museo Etnográfico d’Arte Marocchina, tra mobili, tappeti, ceramiche, utensili ed abiti tradizionali del nord del Marocco di chiara influenza araba-andalusa. Infine, stanco ma contento, mi siedo sotto la fresca ombra di un’enorme bouganville rossa osservando lo sciamare di turisti con il naso all’insù.
Sorseggio l’immancabile tè forte e profumato, miscelandolo vorticosamente. Un proverbio marocchino mi ricorda che “le tempeste dell’anima sono peggiori delle tempeste di sabbia”, ma in questo caso, la mia tempesta personale si è scatenata perché sono alla fine del mio viaggio. Un viaggio affascinante che mi ha fatto scoprire una Tangeri nuova e inaspettata e un mare dal cuore grande così. Ed è ancora Tahar Ben Jelloum a soccorrermi. “In Marocco il mare e il deserto si sono intrecciati in un vortice di domande, e nessuno è in grado di svelarne il significato molteplice, devastante, impossibile… Ma i pittori marocchini sanno che il mare che hanno scelto non è quello dei marinai e dei pirati… è il mare interiore, quello che ogni artista porta dentro, quello che immagina, che vuole liberare e rendere visibile”.
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Photo credits Mauro Parmesani