PROCIDA, DOVE LA BELLEZZA NEL BLU TROVA RIPARO
Viviamo in un Paese circondato dal mare e colmo di bellezza. Ecco perché il blu e l’arte ci salveranno, curando le ferite della mente che la pandemia ha lasciato a tutti. Chiamata a rappresentare questa dimensione è Procida, l’isola che ha fatto da sfondo al film Il Postino, ultima pellicola di Massimo Troisi, nonché l’isola di Arturo di Elsa Morante. Già nota per il pellegrinaggio letterario e cinematografico, la perla del Golfo di Napoli si appresta a diventare un indirizzo must per la cultura dopo aver ottenuto il prezioso riconoscimento di Capitale Italiana della Cultura 2022.
La natura, che è l’ingrediente più raro, dal 2 al 5 settembre abbraccia cinque secoli di storia dell’arte, dall’antichità al contemporaneo, con grande attenzione alla produzione italiana e un focus specifico sul contesto napoletano. Un percorso espositivo a cura di Vincenzo de Bellis, direttore associato e curatore per le arti visive del Walker Art Center di Minneapolis che ha sottolineato la natura esperienziale di un progetto che vuole portare “il valore estetico dell’arte a essere davvero inclusivo, sostenibile e in rapporto di scambio reciproco con il territorio” e che è il risultato del dialogo tra Agostino Riitano, direttore di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022 e ITALICS Art and Landescapes, il consorzio che riunisce per la prima volta in Italia oltre sessanta tra le più autorevoli gallerie d’arte antica, moderna e contemporanea attive su tutta la Penisola. È lo sguardo dei galleristi italiani a promuovere la bellezza del Paese, rendendo chiaro che ancora una volta l’arte è capace di creare relazioni. Nessun luogo poteva essere meglio di Procida, che ha fatto dell’incontro il suo slogan perché La cultura non isola come annunciava il nome del dossier presentato da Procida Capitale della Cultura 2022.
“L’isola è luogo di esplorazione, sperimentazione e conoscenza, è modello delle culture contemporanee. Conserva i significati dell’esistere eppure è coinvolta dai processi di costruzione/de-costruzione identitaria, dall’abbandono/lontananza, dalla perdita e dalla costruzione di legami: l’isola è rischio di separatezza e confino; l’isola è opportunità di inizio e rifondazione, riscoperta e rigenerazione, antico e nuovo; l’isola è l’altrove per eccellenza, nasconde tesori o è meta di fuga, espediente di ricerca della felicità” ha osservato il direttore di Procida 2022, Agostino Riitano e da questo assunto parte Panorama sconfinando sulla terraferma, con l’obiettivo di offrire un’esperienza il più possibile completa della dimensione culturale del territorio.
Si tratta del proseguo nel mondo reale dello straordinario viaggio iniziato a ottobre 2020 tra le pagine web della piattaforma Italics.art e del primo di una serie di appuntamenti espositivi in presenza che, sempre con il titolo di Panorama, Italics dedicherà con cadenza annuale al racconto di alcune tra le località più affascinanti del paesaggio italiano.

Concetto spaziale. La fine di Dio (1963) di Lucio Fontana
Dal porto Marina Grande sino all’antico borgo fortificato di Terra Murata, dominato da Palazzo d’Avalos (1563) un tempo cittadella carceraria, il visitatore viene traghettato in dimensioni inedite tra architetture pubbliche e private, chiese, palazzi storici e aree popolari e due progetti speciali si configurano come mostre nella mostra.
Come quello che si sviluppa nella suggestiva cappella di Santa Maria Regina della Purità nel complesso dell’ex Conservatorio delle Orfane a Terra Murata, arricchendosi di nuovi significati grazie alle opere esposte. Qui, infatti, dialogano l’Adorazione dei pastori di Matthias Stomer, dipinto proveniente dalla preziosa collezione del Museo e Real Bosco di Capodimonte, scelto dal suo direttore Sylvain Bellenger, con Concetto spaziale. La fine di Dio (1963) di Lucio Fontana, uno dei principali artisti della storia dell’arte contemporanea italiana e non solo. Si tratta di una delle trentotto tele che compone la serie caratterizzata dalla forma ovale e dalle costellazioni di buchi, squarci e graffiti che in alcuni casi interessano solo parte della tela monocroma, in altri tutta la superficie ricoperta di colore a olio. Fontana li definiva “l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla”.