TESSUTO E ARTE: LA SETA COMASCA DI CARLO POZZI

Artista è colui che sa dare una forma all’invisibile. Non per abilità ma per eccedenza, per potenza trainante nel sentire. Essere artista significa trovarsi addosso un particolare istinto, e sapere che questo è impastato a caldo nella propria carne. Appartiene esclusivamente all’artista, quasi tracciasse a penna i confini della sua solitudine, eppure diventa il più sottile filo di relazione con il mondo, tanto fine quanto indistruttibile. Perché comunicare significa rompere un argine e sconfinare. E perché artista lo si è, non lo si fa.

Un artista cammina portando accanto a sé l’ombra ingombrante di questo istinto. Un’ombra a volte pesante, un’ombra a volte così leggera da poter danzare da sola. Dovunque vada, l’artista crea, a partire da quella che per gli altri è banale circostanza o monotona quotidianità. Per l’artista non esiste abitudine, esiste solo occasione.

Questo è quello che fanno Simona Pozzi Crotti e Katia Zampieri della Tessitura Carlo Pozzi. Siamo a Como, sponda italiana della seta. Qui l’alchimistico legame fra l’uomo e la lavorazione della seta sopravvive dal 1400, quando Ludovico Il Moro pose le fondamenta di un’attività che divenne a tutti gli effetti patrimonio culturale dei comaschi. Un tempo la si produceva anche, la seta, qui a Como, e pure con una certa abbondanza. Si coltivavano i gelsi, si allevavano i bachi e si creavano quei fili che erano la base di tutto. Oggi, restituita alla Cina la supremazia nella produzione della materia prima, a Como rimane la reggenza in ciò che è arte allo stato puro: il disegno, la progettazione, la tessitura, la finitura. In una parola, la creatività.

Quando venne fondata, nel 1945, la tessitura Carlo Pozzi destinava le sue sete alla realizzazione di cravatte. Si alternavano le mode e il gusto estetico seguiva l’onda dei tempi. Le mani che rendevano grande la Carlo Pozzi avevano imparato a lavorare diverse fantasie, interpretandole con quello stile che le faceva uniche. Accadde in epoca più recente, invece, l’approdo all’abbigliamento. Fu all’incirca 25 anni fa, a seguito della partecipazione ad una fiera in cui la lucentezza delle loro sete spingeva gli avventori a richiedere tessuti atti a diventare gonne, abiti, camicie o sciarpe. La scelta di concentrarsi su una moda femminile fu il completamento dell’offerta, fino a quel momento esclusivamente maschile, delle cravatte. E chiuse il cerchio.

Oggi sono Simona e Giancarlo Pozzi a dirigere l’azienda, con il supporto di Katia, una donna tanto esile quanto vulcanica, che ha vissuto affacciandosi ad ogni possibile finestra sul mondo per assorbire i colori e l’energia di ogni scorcio. Prima dell’emergenza sanitaria da Covid-19 Katia viaggiava spesso: America, Giappone, Cina, Europa; dentro ogni immagine si nascondeva un’ispirazione, in ogni incontro germogliava un’idea e un’intuizione prendeva forma nell’osservazione solitaria.

E se l’arte di Katia è effusiva, quella di Simona assume sfumature decisamente più romantiche. Per Simona talvolta è sufficiente notare un fiore, uno soltanto. Perso nel marasma del tutto, viene trovato da lei, e dalla sua sensibilità viene colto per essere trasformato in disegno su una delle sue stoffe.

I tessuti Carlo Pozzi – di seta ma non solo – riforniscono numerose case di moda e stilisti di altissimo livello – Armani o Valentino, giusto per citarne due – ma anche atelier, sia in Italia che all’estero, e tutto ciò che è capace di trasformare la sartoria in una forma d’arte. Con firme di questo calibro, Simona, Katia e Giancarlo dialogano tutti i giorni, portando avanti non una mera attività di assegnazione e produzione, ma un vero e proprio lavoro di team. Qualcuno rimane affascinato dalle loro sete e dai loro tessuti e decide di mescolare la creatività dei Pozzi alla propria, elaborando insieme un’unicità grafica. È simile a ciò che succederebbe durante un casuale incontro fra due musicisti: uno seduto a un pianoforte, l’altro di passaggio. Attratto dalle note del primo, il secondo si avvicina; prende posto accanto alle mani che già stanno scivolando sulla tastiera e comincia ad aggiungere le proprie, quasi senza chiedere il permesso. È quella che si chiama sonata a quattro mani, e rappresenta una differenziazione dell’armonia.

Alla moda “da red carpet”, la Carlo Pozzi ha affiancato anche una linea di abbigliamento più tecnico, così come la lavorazione di altri filati, sebbene rimanga la seta a calamitare l’occhio che si posa sul pantone abbagliante dei tessuti. Ciò che attrae è la capacità di questo materiale di riflettere la luce, quasi come se ne nutrisse avidamente e la restituisse in una forma elaborata, ai limiti del magico. Ma è anche quella peculiarità al tatto, che definire “liscezza” era talmente limitante da rendere necessaria la definizione di un aggettivo apposito, noto appunto come “setosità”.

Ci sarà pure un motivo, del resto, se questo tessuto è stato fonte di movimento da parte dei popoli, motore degli incontri, obiettivo dei viaggi, simbolo di ricchezza, paradigma dell’eleganza e, soprattutto, segreto tenuto accuratamente celato da chi, per primo, ne elaborò la formula. La sua dose di mistero rimane racchiusa tra le fibre, probabilmente comprensibile soltanto a chi le tesse.

 

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