AL VÈDEL, IL CARRELLO PERFETTO
Risalgono all’incirca al 7000 a.C. i primi formaggi della Storia, lo sappiamo grazie al lavoro degli archeologi che hanno trovato tracce di allevamenti ovini e caprini in Asia e Nord Africa. Una produzione artigianale antichissima che secondo la mitologia Greca avrebbe a che fare con la ninfa Cirene, compagna di Apollo e madre di Aristeo, a cui si riconosce di aver tramandato agli uomini l’arte casearia, insieme alla pastorizia e all’apicultura. Ma anche gli antichi Romani, che lo chiamavano Caseus, ne scoprirono la longevità grazie agli effetti della stagionatura indotta dalle lunghe marce per conquistare e difendere l’Impero. Tuttavia un’ancestrale leggenda ricorre nelle più autorevoli ricerche sulla genesi del formaggio. Essa riguarda l’intuizione di un pastore che, riempiendo di latte uno stomaco di pecora dove era rimasto del caglio e usandolo come otre, vide che il latte si trasformava e cagliava, diventando formaggio. Un cibo prelibato di cui parlerà anche Plinio il vecchio nelle sue cronache, elogiando in particolare la produzione di alcune tribù Elvetiche, fino al Medioevo, quando l’antico Caseus verrà perfezionato dalle comunità monastiche diffondendosi con diverse modalità produttive in tutta la penisola, per arrivare sulle tavole nobiliari e diventare una prelibatezza amata e celebrata anche dalla letteratura, da Moliere che ne richiese addirittura un pezzetto in punto di morte, fino a Stevenson, Dumas, Boccaccio, Tolstoj. Una tradizione che si origina dalla sussistenza e oggi si riverbera in un comparto di piccolissimi produttori artigianali e professionisti della ristorazione che hanno saputo dare visibilità all’universo caseario creando percorsi di conoscenza dedicati, abbinando con successo marmellate, mieli e vini, ed esprimendo la loro competenza con sontuosi ‘carrelli’.
Tra le più autorevoli insegne della ristorazione che hanno collocato i formaggi al primo posto, senz’altro c’è il Ristorante Al Vèdel di Colorno (Parma) dove Edgarda Meldi, moglie dello chef Enrico Bergonzi, dedica una particolare attenzione ai caci d’Italia e del mondo. Una passione enorme, che l’ha portata a ricevere, nel 2014, l’importante Premio Alma Caseus, un autorevole riconoscimento attribuito da Alma, la Scuola internazionale di cucina fondata da Gualtiero Marchesi.

Enrico Bergonzi, Chef del Ristorante Al Vèdel
“Una delle maggiori soddisfazioni che ho ricevuto in questi anni è che ora i clienti si fidano di me, delle mie proposte e dei consigli di assaggio” spiega Edgarda Meldi, “e soprattutto sono disponibili ad assaporare i formaggi senza salse, nella loro purezza, per comprendere davvero fino in fondo le specificità di ognuno. Propongo il carrello soprattutto nel weekend, uscendo in sala verso la fine del pranzo e della cena, attirando l’attenzione dei commensali, che spesso rinunciano al dolce per dedicarsi ai formaggi. Ma anche durante la settimana, per chi lo desidera, i formaggi sono sempre a disposizione per una degustazione. Solitamente al tavolo cerco di dare una spiegazione generale delle tipologie di prodotti che in quel momento sono presenti nel carrello, creando un racconto emozionale delle particolarità e curiosità che ogni formaggio porta con sé. Cerco di non entrare troppo nei tecnicismi, a meno che mi accorga che il cliente lo richiede, perché l’esperienza ristorativa è fatta di emozioni e suggestioni e il mondo caseario ne è ricco. Il mio carrello è infatti in continua evoluzione, mai la stessa proposta, ma una selezione che cambia spesso, in base alle rarità trovate in quel momento e alla stagionalità: ad esempio con il periodo estivo entrano i caprini, perché in quei mesi le capre vanno in alpeggio e i formaggi, ottenuti dal loro latte, sono ricchi di sapore. Questo mondo mi appassiona molto e sono sempre alla ricerca di novità, soprattutto per quanto riguarda le piccole produzioni”.
Un carrello ampio e variegato con proposte che riportano a bellissime storie di famiglia e parlano di sveglie all’alba e di notti insonni per accudire il gregge e lavorare il latte appena munto, dove tradizioni plurisecolari trovano la sintesi in piccoli assaggi prelibati: “nel nostro carrello c’è tanto Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna, soprattutto con le varietà di pecorino delle fosse, scelto insieme a Renato Brancaleoni. Ultimamente ho scoperto gli ottimi pecorini dell’Abruzzo e propongo in particolare quello con caglio suino dell’Altopiano del Gran Sasso, una vera unicità nel panorama caseario, protetto dalla Dop, oppure il pecorino a cui si aggiunge pera fresca durante la cagliata, che dona al formaggio un retrogusto delicato e leggero, assolutamente inaspettato. Fra gli ultimi arrivi c’è il Caciocavallo Cocciuto dell’Irpinia, stagionato all’interno di un coccio, realizzato artigianalmente da un vasaio e che quindi stagiona quasi in assenza di aria, raggiungendo una notevole piccantezza. Ma non c’è solo Italia, offro sempre un assaggio anche di estero, a partire dalla Francia affidandomi a Mons, oppure di Inghilterra con i suoi erborinati, con il Blue Stilton, a sua volta declinato in diverse varietà come lo Shropshire affinato in Porto rosso e uva di Corinto che creano un mix di dolce e salato, con una forte intensità. La ricerca spazia poi in Svizzera e in questo momento ho anche una proposta belga, l’Herve Bière, prodotto a confine con la Francia. Si tratta di un formaggio a latte vaccino, fatto affinare nelle birre nordiche, quindi di grado alcolico elevato, che conferisce al prodotto un carattere deciso. Si tratta di una prelibatezza per appassionati, perché sembra quasi di degustare due formaggi diversi, con l’esterno compatto, mentre il cuore si scioglie piacevolmente in bocca, quasi fosse un cioccolatino, regalando al palato un’intensità persistente. E infine il Parmigiano Reggiano, ‘il nostro formaggio’, a cui dedico una particolare attenzione. Nel carrello i clienti trovano sempre una sua declinazione particolare, o in base alla stagionatura, arrivando fino a 100 mesi e oltre, oppure in base alla tipologia, dalle Vacche rosse alle Brune. Mi piace dare valore al Parmigiano Reggiano, portandone in tavola una punta che i clienti possono divertirsi a fare in scaglie e degustare in un clima conviviale, come si è abituati a fare nelle nostre famiglie alla fine del pasto”.
La storia del Vedel è lunga. Era il 1780, quando Cleofe apriva un semplice negozio di alimentari con cucina, offrendo cibo ai viandanti di passaggio. Guidata sempre dalla famiglia Bergonzi, nei decenni si connota sempre di più per l’accoglienza e la buona cucina, mutando nome ma mai filosofia, con prodotti naturali della terra e dell’ingegno dell’uomo e cucina semplice e autentica, attenendosi con rigore alla leggendaria tradizione culinaria parmense. Nel 1927 si chiamerà “Marietta”, nel ‘62 “Da Ernesto”, fino al ’76 quando diverrà ristorante ‘Al Vèdel’, che è il nome dialettale della minuscola frazione di Colorno, chiamata ‘Le Vedole’.
Al timone della cucina il patron e chef Enrico Bergonzi, da oltre trent’anni a ispirare la proposta gastronomica della riconosciuta meta gourmet, attraverso piatti delicati e a tratti creativi che affondano le proprie radici nella tradizione parmigiana, riproposta in una riuscita rilettura senza estremismi, insieme a Marco Pizzigoni, Monica Bergonzi, Matteo Bersellini, Riccardo Ragazzini. Tra le novità pensate dopo la lunga pausa imposta dal lock-down, la nuova cantinetta, una sala ristrutturata a vista all’interno della cantina di stagionatura dei culatelli, dove sono state collocate bottiglie rare ed eccellenze enologiche tratte dalla collezione di Marco Pizzigoni (socio e sommelier del ristorante), che cura una carta dei vini con 1500 etichette. Un privè con pochi tavoli ben distanziati, circondati da bottiglie memorabili, dove cenare con i piatti di chef Bergonzi.
Ma non solo, nel corso degli anni accanto alla trattoria è nata un’attività di produzione artigianale salumi tipici, con il culatello di Zibello Dop, il fiocchetto, la spalla cruda di Palasone, la spalla cotta di San Secondo, il salame gentile, lo strolghino, la mariola, la coppa, la pancetta, il cotechino, attraverso una filosofia che anno dopo anno si afferma per produzioni di elevata qualità, che si rifanno a tradizioni secolari, da conoscere in un suggestivo tour che conduce alla scoperta delle storiche cantine di stagionatura dove riposano oltre settemila pregiati culatelli.
“Mi piace definire la cucina del Vèdel come una cucina matura, che non si è mai fatta travolgere dalle mode del momento” racconta Enrico Bergonzi, Chef patron del ristorante Al Vèdel “ma che negli anni ha saputo rimanere fedele alla sua identità. Penso che la cosa più difficile del nostro lavoro sia la costanza: tutti i giorni dobbiamo alzarci, indossare la giacca da cuoco e interpretare la materia prima per creare ricette. Dobbiamo essere capaci di metterci sempre in gioco, senza paura, ma consapevoli di quello che siamo, quali sono le nostre radici e la nostra storia. E al Vèdel abbiamo sempre cercato di fare questo. Chi varca questa soglia non entra in un ristorante, ma in famiglia, deve sentirsi come a casa, trovare i sorrisi e il calore dell’accoglienza emiliana. E anche la nostra cucina è così, un’espressione del territorio che ci ospita, ma senza stereotipi o finzioni. I clienti questo lo percepiscono e quando li vediamo tornare e cercare nel menù il loro piatto preferito, siamo felici. Oggi li chiamano ‘comfort food’, a noi piace chiamarli ‘piatti del cuore’, a partire dagli anolini in brodo o dai tortel dols, tra le nostre ricette simbolo, oppure i salumi della tradizione, pensiamo al Culatello o alla rara Spalla Cruda di Palasone, tutti prodotti nel salumificio di nostra proprietà. Questa è la sicurezza, la certezza di quello che siamo. Ma non dobbiamo però impedire allo sguardo di andare oltre l’orizzonte, perché uno chef deve essere curioso e capace di evolversi, per sorprendere ed incuriosire i clienti con proposte nuove e creative che sappiano fondere le varie anime di chi con passione e dedizione tutti i giorni mi affianca in cucina”.