SINE, L’ALTA CUCINA FUORI DAL CORO
Ho sbagliato. Per fortuna, perché chi sostiene di non fare mai errori mente a se stesso e sbaglia, appunto. Sostenendo da tempo che gli chef, stellati o quasi, sono si virtuosi ma spesso tra loro uguali ho avuto modo di provare SINE, ristorante milanese vicino alla Palazzina Liberty, tempio di cultura e controcultura degli anni ’70. Sono entrato abbastanza prevenuto, ne sono uscito con ben altre sensazioni.
Lo chef Roberto di Pinto e la sua crew partono con il piede giusto: la location è di forte identità, con giochi di chiaro e scuro che non litigano con i colori e gli arredi del ristorante. Già, il ristorante: talmente particolare nella sua architettura che non sembra neppure tale. Del resto, in origine era un’officina di moto, recuperata con garbo e idee. Piuttosto, in certi angoli, parrebbe quasi parte di un’abitazione signorile.
Qua e là rimandi, originali e mai eccessivi, alla napoletanità di Roberto di Pinto e alla sua cucina. Charme e visione professionale di esprimono, al SINE, anche nella scelta di rinunciare a un numero eccesivo di tavoli, che vanificherebbero la privacy; decisione coraggiosa e apparentemente controproducente per il portafoglio del locale ma in realtà virtuosa, a tutto vantaggio della piacevolezza della serata e alla fidelizzazione.
È una cifra, stilistica e non, ben precisa che si completa con un personale di sala garbato e attento, pronto a prendersi cura dei clienti senza star loro addosso; cosa non facile, ci sono ma non si vedono ma, se e quando hai bisogno loro sono già lì. Anche la mise en place è coerente, c’è personalità, non ci sono eccessi e nemmeno facili luccichii per gli occhi. Ma cuore e mente del ristorante è la cucina, è Roberto di Pinto con la sua brigata.
Partiamo dal nome: la traduzione, dal latino, di SINE e “senza” per un naming che quindi significa privarsi, nelle proposte gastronomiche, di tutto quello che si giudica superfluo. Non si pensi però a proposte semplici, limitate magari a due ingredienti per ogni piatto; c’è un’immediatezza al palato importante, ci si libera però degli orpelli gastronomici che lo chef ritiene inutili. Sono tradizione ed estro misurati con un rimando alla realtà e alle origini partenopee dello chef, ed è un inchino, anche, alla grande cucina francese, del resto Roberto di Pinto ha un notevole curriculum e ha lavorato con i più grandi.
Nel piatto c’è tutto quello che il tempo e le esperienze gli hanno trasmesso, a partire dal risotto Milano/Napoli per arrivare al Babà tra sacro e profano abbinato a un gelato al pop corn, passando attraverso astice, cavolo viola, caprino e gazpacho d’uva o lo sgombro ’45’, tzatziki, rapa rossa e salicornia.
Pochi esempi per un’esplosione di sapori, eleganti ed equilibrate sinfonie senza il banale desiderio di stupire. Sono percorsi gastronomici così come lo sono “Sine Confini”, composto da nove piatti e “Sine Tempore”, da sei. Notevole e originale anche la carta dei vini che privilegia etichette campane di rara qualità cui sovrintende il giovane ed esperto sommelier. E anche lui, come tutti laggiù, ne sa.
sinerestaurant.com
Photo credits: Antonio Monti, Rolando Paolo Guerzoni