SYRAH & SHIRAZ, VIAGGIO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO

Sembrerebbe che uno dei vini simbolo del Nuovo Mondo porti il nome di un’antica città persiana, Shiraz.  Culla della cultura iraniana, consacrata come città antica dell’uva e della poesia bacchica, fin dalla notte dei tempi crocevia strategico di interscambio tra Occidente ed Estremo Oriente. In effetti non sembra infondata la tesi secondo cui proprio in quella regione abbia avuto origine la pianta della vite. E a quelle stesse terre si ispirò chi, forse  involontariamente, dovette dare il nome prima ad un grande vino francese come il Syrah, poi al più moderno Shiraz, principe indiscusso del vigneto australiano.

Shiraz (Iran), Moschea rosa

Una storia in cui antico e nuovo si fondono insieme, fino a svelare la natura singolare, fragile e bizzarra dei legami e delle connessioni di cui è fatto il mondo del vino.

L’unione tra Syrah e Shiraz è stata resa possibile da un viaggio disperato e al contempo coraggioso. Ad intraprenderlo fu un vecchio vigneron, nonno dell’attuale titolare, produttore tra l’altro di uno dei vini più prestigiosi della Francia del sud, l’Hermitage di Jean-Louis Chave. Un’icona intramontabile della Côte du Rhône.

Côte du Rhône

La sua fortuna, sfacciata e inconsapevole, fu quella di aver deciso di donare qualche barbatella di Syrah ad alcuni pionieri e precursori della viticoltura australiana, in visita presso la sua cantina e in cerca di piantine da innestare nei vigneti del Nuovo Mondo.

Quando poi intorno al 1860 la Fillossera sbarcò nel Vecchio Continente, prima in Inghilterra e poi in Francia, a bordo delle navi a vapore provenienti dalle Americhe, Chave capì immediatamente la gravità della situazione.  Si iniziò, infatti, ad osservare una misteriosa malattia mortale per la vite, di cui nessuno sapeva dare spiegazioni. Aveva cominciato a colpire le foci del Rodano, per poi dilagare in Provenza, avanzando senza sosta in Borgogna e in Champagne, risalendo terre e vigneti, intaccando grappolo dopo grappolo, da lì fino a compiere quello che verrà ricordato come un vero e proprio Olocausto della vite europea. Un’epidemia inarrestabile, capace di ridurre ogni pianta in un pugno di polvere esanime.

Notizie altrettanto terribili giungevano frattanto anche dalla Spagna, dall’Italia, dall’intera Europa. La viticoltura era giunta al capolinea e i viticoltori ridotti alla fame. Anche Chave, dal canto suo, notò che le radici delle sue viti brulicavano di insetti a lui sconosciuti, in grado di riprodursi velocemente e capaci di estinguere per sempre e in pochissimo tempo tutto il suo patrimonio. Subito intuì la minaccia reale per i suoi filari, adagiati sulle splendide colline di Tain, per l’Hermitage che li aveva consacrati come vigneron di primissimo ordine, per la sopravvivenza della sua cantina e della sua famiglia, forte di una storia che affondava  le radici nel lontano quattrocento.

Melbourne, Australia: Mount Dandenong, vigneti di Shriaz

Poi un’idea improvvisa gli balenò in mente, quasi un’epifania.  Il ricordo di quell’australiano a cui qualche anno addietro aveva generosamente regalato le barbatelle, da portare con sé come souvenir da innestare. Una richiesta certo impudente, a cui Jean-Louis aveva deciso di dare seguito per nobiltà d’animo. Quelle cinquanta piantine ormai esportate in Australia, dove il flagello della Fillossera non era ancora arrivato, rappresentavano l’extrema ratio.

Nonostante l’età avanzata non esitò ad imbarcarsi alla volta di Melbourne in un viaggio che durò mesi, per setacciare e ritrovare tra i vigneti del Nuovo Mondo quei cloni e quel patrimonio genetico che aveva donato per puro atto di altruismo a qualche farmer dundee intraprendente.

Cercò e trovò, il vecchio Chave.  Fu così che per far sopravvivere il più blasonato dei nettari della Côte du Rhône e del Midi francese, dovette fare un viaggio di andata e ritorno, stavolta ben incartato e custodito nella tasca di un vecchio e caparbio vigneron.

Un cammino a ritroso per reimpiantare, nei filari devastati dalla Fillossera, l’odierno Syrah e l’Hermitage celebrato in tutto il mondo. Una storia incredibile in cui si narra come ancora oggi viva uno dei più grandi e antichi vitigni di Francia, da cui deriverebbe uno dei più noti vini del Nuovo Mondo. E come quest’ultimo, per quanto moderno, porti in realtà il nome della più antica città dell’uva.

Tornate all’antico e sarà un progresso” suggeriva Giuseppe Verdi, proprio in quegli anni.