I VINI DELLE COLLINE BIELLESI
Ci sono corsi e ricorsi storici, che si ripetono a distanza di tempo, diceva Giambattista Vico. Più che la Divina Provvidenza, teorizzata dal filosofo napoletano, ha potuto in questo caso la caparbietà e il lavoro incessante di un gruppo di viticoltori. Le Colline Biellesi, col Lessona Doc in testa, hanno alle spalle un glorioso passato misconosciuto, che l’omonima Associazione di vignaioli sta faticosamente cercando di rifondare.
Pochi sanno che sin dall’Ottocento in questa zona si producevano vini di altissimo livello, tanto da essere stata la prima, assieme alla Borgogna, a fare analisi chimiche, imbottigliare ed esportare quasi l’80% della propria produzione all’estero.
Un’età dell’oro, in particolare per il Lessona ribattezzato dall’allora Ministro delle Finanze Quintino Sella come “Il vino d’Italia”, durata fino all’arrivo della fillossera e dell’industria tessile sul finire del XIX secolo, che hanno causato l’abbandono quasi completo della coltivazione della vite.
A rimettere le lancette dell’orologio all’indietro ci hanno pensato la recente crisi economica e il ritorno a dei profondi valori agricoli, che hanno spinto alcuni vignaioli negli ultimi 5-10 anni a credere nuovamente nella vocazione vinicola del territorio.
La forza delle Colline Biellesi, la cui estensione va da Sostegno sino a Cavaglià, da nord a sud, sta nel suolo che cambia composizione in una manciata di chilometri, da quello calcareo di Villa del Bosco a sabbioso con ferro di Mottalciata, passando per Lessona, dove è forte la presenza di porfidi generati dal super vulcano della Valsesia, esploso svariati milioni di anni fa. Ne segue una miriade di caratteristiche aromatiche e gustative, che segnano in modo netto i vini di ogni microzona, accomunati da un pH medio piuttosto acido, che conferisce buona longevità e splendida beva. I vitigni più coltivati sono il Nebbiolo, qui detto Spanna, e l’Erbaluce, ma ogni vignaiolo ha una serie di uve diverse, tra cui la Barbera, la Croatina, l’Uva Rara e la Vespolina.
Un territorio ancora a misura d’uomo, costellato da boschi di faggi e noccioleti, dove la vite si sta rimpadronendo del proprio spazio. Ancora una manciata di ettari vitati, sia beninteso, con una parcellizzazione dei terreni, che sembra favorire un’impresa di piccola-media dimensione.
Vignaioli
Gli eroi di questo “rinascimento” hanno le mani segnate dal lavoro, testa e cuore per credere nella valorizzazione dell’Alto Piemonte.
Daniele Dinoia di Villa Guelpa a Lessona, 15 mila bottiglie, è uno di questi. Torinese d’origine, Daniele ha vigneti a Lessona, Sizzano, Mottalciata e Dorzano, dove produce quattro vini, tra cui un Lessona Doc e tre della linea “Longitudine 8”. L’affinamento viene effettuato in vasche di cemento per i vini da pronta beva e in grandi botti di rovere per quelli da invecchiamento. Nella sua splendida Villa, che offre l’ospitalità di un B&B dove essere coccolati e sentirsi come a casa, Daniele e la moglie Sonia hanno ritrovato dei documenti storici dell’Ottocento, che testimoniamo le periodiche analisi scientifiche effettuate sui vini di Lessona, a riprova del loro alto livello qualitativo.
La Badina è un sogno realizzato per Ermido Di Betta, la moglie e la figlia Linda, che dopo una vita nella ristorazione hanno creato da zero questa cantina. Ermido ha dovuto conquistarsi ogni zolla di terreno con fatica, strappandola al bosco con le unghie e con i denti, per riportare alla luce la parcella di quella che, in passato, era già stata una vigna. Appena un ettaro e mezzo tra i boschi di Lessona, un’azienda agricola che sembra una bomboniera, piccola, curata, i cui vigneti sono allevati con attenzione paterna secondo il sistema biologico. La produzione sfiora le 1500 bottiglie, destinata a crescere dopo il recente impianto di nuove vigne, nella Doc Lessona e Coste della Sesia.
Massimo Clerico ha un cognome altisonante e una vigna che si chiama Gaja. Lui scherza su queste strane coincidenze, ribadendo con orgoglio le storiche origini della sua famiglia, vignaioli sin dal 1700 a Lessona. L’azienda, tre ettari vitati, ha quattro vigne, Leria, Gaja, Putìn e Gorena, da cui nascono meno di 15 mila bottiglie nelle Doc Coste della Sesia Nebbiolo, Lessona e Cà di Leria. Vini strutturati, franchi e di meravigliosa bevibilità.
Tenute Sella
Tenute Sella è il gigante della zona, 24 ettari per 70 mila bottiglie. Di proprietà della famiglia Sella, oggi è gestita da Marco Rizzetti, promotore lungimirante dell’Associazione Vignaioli Colline Biellesi, che ha dato un’impronta completamente diversa all’azienda, rilanciandone il marchio. La cantina produce nelle regioni di Bramaterra e Lessona, su suoli con porfidi, sabbie e argille marine, segnati da un pH compreso tra il 4.5 e il 5.5. La proposta è ampia, con dodici etichette capaci di declinare il territorio in rossi strutturati e setosi, come l’Omaggio a Quintino Sella, a vini che disegnano sul palato la forza della terra, come I Porfidi Bramaterra, sino al Pas Dosé Insubrio, riprova che un Metodo Classico può venire bene anche qui.
Il Castello di Montecavallo è Maria Chiara Reda, su questo non c’è dubbio. E’ lei che ha creduto nella vocazione della collina di Vignano, dove il suolo è composto da sedimenti di “ferretto”, una sostanza che dà un apporto organico ideale per la vite. Se Chiara è l’anima del progetto, il vero autore della rinascita enoica è Andrea Manfrinati, che ha dato alla cantina un’impronta biologica integrale. Ne nascono cinque vini, tra cui un rosato da Nebbiolo in purezza, il Kylix, due rossi a base Nebbiolo e un interessante passito da uve bianche autoctone.
Donna Lia è un po’ l’outsider dell’Associazione per la sua posizione, che la fa rientrare nella denominazione Canavese, a San Secondo di Salussola, dove gode dell’influenza climatica del vicino lago di Viverone. Un’azienda molto giovane dallo spirito rock, come uno dei suoi fondatori, Paolo Grimaldi, artefice di una bella sinergia tra vino e musica, tanto che nella loro tenuta, Villa Cà Bianca, si sono concluse da poco le riprese del nuovo video di Kristian Marr. Una location prestigiosa, appartenuta alla famiglia degli Avogadro di Casanova, il cui stemma campeggia nelle sale bellamente affrescate e dove presto si potrà soggiornare in tre appartamenti appena realizzati. Quattro ettari coltivati a Nebbiolo, Erbaluce e Barbera, per una produzione annua di 20 mila bottiglie, su sei etichette estremamente interessanti. Imperdibile il loro rosato da Nebbiolo, La Mezza, dal bouquet ammaliante, e il San Siond, 12 mesi in acciaio e 12 in barrique e tonneaux.