IL GUSTO DELL’ARTE
Gironzolare per musei, tra mostre di vario tipo, non è difficile in un paese come il nostro in cui le eccellenze artistiche sono ovunque. E non è raro che, piacevolmente stanchi per aver ammirato certe opere d’arte, ci sia la possibilità di una pausa gourmet di alto livello.
Sapori di alta quota: AlpiNN al Museo Lumen
Plan de Corones, Brunico
La quota in questione è 2.275 metri, quelli dove si trova AlpiNN – Food Space & Restaurant. Siamo a Plan de Corones, Brunico (Bolzano), nello scenario unico patrimonio dell’umanità che sono le Dolomiti, all’interno del Museo Lumen, dedicato alla fotografia di montagna (firmato dall’architetto altoatesino Gerhard Mahlknecht).
Non è “semplicemente” (si fa per dire) un rifugio di montagna, né un classico ristorante.
Piuttosto si tratta di un progetto molto particolare, il Cook The Mountain, ideato dallo chef 3 stelle Michelin Norbert Niederkofler.
Tutto all’insegna della filosofia CARE’s – The ethical Chef Days: ingredienti di stagione, materie prime sostenibili, riutilizzo degli scarti. Ne risulta un menù centrato sui prodotti tipici locali, di qualità, il meglio che la natura e il lavoro degli uomini mettono insieme, alla base dei piatti realizzati dallo chef Fabio Curreli e dalla sua brigata.
L’atmosfera è intima e accogliente, in uno spazio che è un salotto a cielo aperto sul meraviglioso panorama visibile da qualsiasi angolo del ristorante. Non solo un vero e proprio concetto culturale, quello di Cook The Mountain, che parte dalla cucina di montagna, certo, ma arriva ad abbracciare tutto il mondo sociale, artistico, economico che al territorio montano è connesso. Qualche idea di menu dalle risorse tradizionali senza dimenticare l’innovazione.
Per l’antipasto: tartare di manzo locale dalla macelleria “Baumgartner”, speck croccante, polvere di funghi, chips di pane e crema alle erbe; fonduta di formaggio “Eggemoa” stagionato in corteccia di abete patate, pane e fieno; fonduta di formaggi “GenussBunker”, polenta croccante, speck della Val d’Ultimo e cetriolini, manzo affumicato.
Tra i primi piatti: carbonara tirolese (fusilli di farro Regiokorn “Felicetti”, crema di porri, speck, ricotta, tuorlo pastorizzato e lardo); orzotto e zucca (pane ed erbe orzo “Molino Merano”, zucca dei contadini di Brunico e pane profumato alle erbe).
Tra i secondi: petto di manzo polvere di spezie di montagna, salsa di vitello e Verjus con verdure del giorno; pancia di maiale (cotenna soffiata, salsa ai frutti rossi).
Tra i dolci: pane, latte e zucchero (pane e latte caramellato, sorbetto di frutta, salsa ai frutti rossi e chips d’orzo soffiato); Kaiser-misù e caffè Quota (in tre elementi da comporre).
La carta dei vini si ispira alla frase di Luigi Veronelli: “Il vino è il canto della terra verso il cielo”.
Quanto mai azzeccato in tale luogo a un passo dal cielo. Le etichette provengono da cantine situate nell’arco alpino, da produttori che lavorano nel rispetto dell’identità del territorio, raccontandone in ogni esemplare le sfumature, gli aromi, i contrasti.
Cucina identitaria al ristorante Palazzo Branciforte
Palermo
Nel cuore del centro storico di Palermo, ecco un altro luogo magico di cui è costellata questa breve panoramica, Palazzo Branciforte, nucleo cinquecentesco con ampliamenti del XVII secolo, sede tra l’altro del Monte dei Pegni intitolato alla patrona cittadina Santa Rosalia: dopo un attento restauro-recupero da parte dell’architetto Gae Aulenti, ritornato al suo splendore originario, è ora un importante polo culturale per la città, sede della Fondazione Sicilia.
Lo spazio museale è dunque condiviso con il ristorante omonimo, il cui ingresso è su via Bara all’Olivella.
Una pausa tutta da vivere dopo (ma non solo) aver visitato gli oltre 5mila metri quadrati in cui sono posizionate prestigiose collezioni (come quelle della maiolica o la Cuticchio, straordinaria esposizione di 109 pupi siculi), prestati periodicamente a mostre temporanee.
Nel Ristorante Palazzo Branciforte si coniuga archeologia, tradizione, arte moderna e contemporanea, con una cucina raffinata e identitaria, votata a semplicità e buongusto, in grado di valorizzare il meglio dei prodotti del generoso territorio siciliano, dopo il know how tecnico dello chef prima di approdare in tavola. Chi è lo chef? Gaetano Billeci, palermitano, classe 1982, che ha iniziato la sua carriera al Ristorante Charleston, primo locale ad essere insignito delle stelle Michelin a Palermo. Anni di giri per il mondo ad affinare la sua arte culinaria e poi il ritorno a Palermo dove ha messo su il ristorante assieme alla socia Teresa Dawidowska, che si occupa dell’accoglienza.
La caratteristica di chef Billeci? Cotture veloci, olio di oliva buono e quella tecnica, appunto, che non si vede ma si assapora nei piatti. Piatti che rimandano alla cultura locale ma con una visione cosmopolita.
Nell’ambiente elegante con una corte interna risalente alla fine del Cinquecento e una bella fontana con giochi d’acqua, gli ospiti possono scegliere proposte che cambiano ogni tre mesi.
Tra i piatti identificativi ci sono la Carbonara di gamberi, semplice e gustosa, realizzata con crema di patate allo zafferano servita nel guscio dell’uovo, gambero rosso di Porticello, uovo e guanciale affumicato; il Tortello nero di bufala e cappesante con ceviche ed emulsione di ricci in olio d’oliva (un piatto fusion, sintesi delle esperienze culinarie dello chef in Francia, Inghilterra e, naturalmente, Sicilia); la Tentazione di Adamo, dessert rivisitazione di un grande classico della pasticceria francese, il dolce di pasta sfoglia e mele. In questa versione, è presentato con sfoglia, petali di mela alla cannella e gelato alla vaniglia, golosamente avvolgente e succulento.
Delizie meneghine vista Duomo
Milano
Chi viene a Milano, tra le tante meraviglie artistiche, non può perdersi il Museo del Novecento e la sua collezione di oltre quattromila opere di arte italiana del XX secolo, all’interno del Palazzo dell’Arengario in piazza del Duomo. E qui è collocato un centro gourmant da lode, il Ristorante Giacomo Arengario dove si può mangiare (appunto), contemplando le guglie più famose d’Italia, accomodandosi nello spazio dehors, una ampia loggia di ferro e vetro: un piacere indescrivibile, va provato. Punto.
Già lo stile è molto glam, in un totale trionfo di art decò, con suddivisione in diverse period rooms caratterizzate da stili e colori diversi. Dalla galleria, tra l’altro, si può osservare il lavoro dello chef nella bella cucina a vista.
Il capo dei fornelli è da aprile 2019 il romano Emanuele Settel, classe 1984, cresciuto con lo chef Philip Guardine tra Miami e Ibiza: padroneggia tecniche e ingredienti della cucina italiana nel rispetto della tradizione, da sempre grande cardine della cucina di Giacomo (il marchio che a Milano è una vera istituzione). Ed anche con un occhio alla rivisitazione dei piatti tipici meneghini, come i culurgiones sardi ripieni di ossobuco.
Allo chef Settel abbiamo girato alcune domande.
Cosa significa cucinare in un luogo destinato all’arte, circondato di arte, e che dunque punta soprattutto al “senso” della vista?
Sicuramente è una grossa sfida lavorare in una location così spettacolare, che crea subito stupore in tutti coloro che vi accedono. E il mio compito è quello di stupire gli ospiti una seconda volta, attraverso la nostra cucina. La mia brigata ed io lo facciamo utilizzando solo la migliore materia prima, dalla carne al pesce alla verdura e ispirandoci alla grande tradizione mediterranea e italiana, alle ricette eccellenti che hanno fatto la storia della nostra cultura gastronomica.
In che modo l’arte la ispira?
Penso che in qualche modo la stessa cucina sia una forma d’arte, soprattutto quando si parla della composizione del piatto: la geometria degli ingredienti e le loro forme, i colori che prendono spunto dalle stagioni e dalla varietà dei prodotti, giocando e incastrando anche sapori e abbinamenti. Oltre al gusto e alla bontà, pure questi sono elementi importanti.
Piatti d’arte o arte nel piatto?
Personalmente, credo di metterla, l’arte nel piatto. Penso anche che ognuno abbia un modo diverso di farlo. Per me al primo posto c’è la semplicità. Sempre più spesso si cerca di creare qualcosa di spettacolare a effetto wow, facendo però venire a meno la qualità del piatto. Preparare qualcosa di buono nella semplicità più assoluta è sempre più difficile, ed è per l’appunto una vera e propria arte.
Qual è il piatto cui è più legato in tale contesto e che bisognerebbe provare assolutamente?
Sicuramente lo spaghetto al datterino giallo con salame di coda ed erbe provenzali. Io sono romano, amante delle mie origini e dalla cultura gastronomica con cui sono cresciuto e ho voluto ricordare la coda alla vaccinara così. E poi è un piatto di estrema semplicità, però dai sapori intensi e golosi, ben equilibrati.
L’arredo e il design del locale sono legati a ciò che “mette nel piatto”?
La location è molto elegante, ma anche unica e singolare. Nel menù cerchiamo di riproporre la stessa unicità e ovviamente raffinatezza.
Mangiare nella Reggia di Venaria Reale
Torino
Mancano le parole per commentare la maestosità e la bellezza della Reggia di Venaria, capolavoro architettonico, culturale, artistico.
Un fascino maggiore anche grazie al Ristorante Dolce Stil Novo, posto all’ultimo piano, appena sopra la Galleria di Diana e uno scalino sotto il cielo. E la vista? Assolutamente mozzafiato sui Giardini, sulla Peschiera, sulla Corte d’Onore e la Fontana del Cervo.
Insomma, un connubio tra il piacere culinario e l’emozione della storia.
Capo della cucina, è lo chef Alfredo Russo, torinese, classe 1968. A lui, che ha scoperto la sua passione per pentole e pietanze a solo 13 anni, chiediamo come si sente a cucinare in una tale scenografia, in cui “il vedere” è importantissimo.
“È un vero privilegio che sollecita tutti i sensi e ovviamente anche la vista”, risponde e prosegue: “Si dice che il bello salverà il mondo; io questo non lo so, sono convinto certamente che il bello aiuta a cucinare meglio, come succede i questo posto artistico. Penso che l’arte dia un senso di benessere, ti faccia riflettere, sia una necessità primaria di esprimere un stato d’animo… tutti esercizi che ritroviamo nella cucina”.
Quali ingredienti usa? E sono legati al territorio?
Io uso tutti gli ingredienti, perché mai non dovrei godere di qualche ingrediente specifico? È come se si chiedesse ad uno scrittore di non usare alcune lettere dell’alfabeto nei suoi scritti, a un musicista di fare a meno delle note quando compone una motivo o a un pittore di non ricorrere a questo o quel colore nei suoi dipinti.
Chi sono i clienti che arrivano nel suo ristorante? Giungono a lei solo dopo aver visitato le mostre e la Venaria o no?
Quest’anno il ristorante festeggia trenta anni di attività e abbiamo un’ampia clientela che ci segue da molto, indubbiamente la sinergia con la Reggia è notevole e quindi si verificano entrambe le situazioni.
Chi è lei?
Sono uno chef che è sempre stato sufficientemente ambizioso, estremamente appassionato e dal “pensiero libero”, non seguo le tendenze ma ho un mio stile di lavoro ben preciso influenzato dalla cultura gastronomica italiana.