MARIO LOPRETE, LA DUPLICITÀ SIMBOLICA DEL CEMENTO

Testo critico a cura di Lara Caccia

 

Mario Loprete ha assecondato la sua passione per l’arte frequentando lo studio di un pittore da cui ha imparato i trucchi del mestiere: la tecnica e il saper osservare la realtà che ci circonda. Questa sua capacità pittorica permane nel suo fare arte e negli anni si è evoluta, anche grazie agli studi accademici, in una sperimentazione materica tra la pittura a olio e i supporti differenti, fino ad approdare al suo elemento distintivo dell’uso del cemento. Quindi pur rimanendo fedele a un medium espressivo che riconosce nella tradizione tecnica un valore insuperabile dal punto di vista storico, l’artista ha inserito al tempo stesso questo elemento extra-pittorico, prima come preparazione delle tele, poi come pigmento per dipingere.

Raige & Zonta, oil on concrete, 18 x 25 cm

Il fare di Loprete rispecchia quell’antico bisogno fisiologico di lavorare quotidianamente in studio alle sue tele, atteggiamento che si riscontra spesso solo nei racconti di artisti più grandi, quelli della vecchia guardia nati intorno agli anni Cinquanta. Ed ecco il nostro andare tutti i giorni “a bottega” e per chi volesse conoscerlo dovrebbe semplicemente bussare alla porta dello studio a Catanzaro e vederlo lì assorto nel suo lavoro mentre ascolta la musica rap e hip-hop. Sono state proprio le sue passioni musicali a farlo avvicinare alla cultura e al mondo underground, in tempi in cui in Italia ancora non era popolare e di moda e a fargli scegliere i soggetti tra i cantanti, i ballerini e le star di quel genere così vicino alla street art e ai murales.

Pharrel, oil on concrete, 24 cm x 30 cm

L’uso pittorico del cemento, differenzia Loprete dai tanti artisti che a partire dai movimenti degli anni Sessanta lo identificavano come materia extra-pittorica ed anti-naturalistica per eccellenza. In questo caso esso viene nobilitato a pigmento e allo stesso tempo, in un atteggiamento di riappacificazione estetica, viene riconosciuto come medium globalizzante della modernità.

Club Dogo, oil on concrete, 40 cm x 120 cm

Certo il cemento, essendo il materiale da costruzione più adoperato nel mondo, diviene elemento distintivo di una certa non-bellezza che sovrasta le città. Allo stesso tempo, però, è il supporto più utilizzato da quella stessa cultura underground cara a Loprete e riconosciuta come la più attuale arte popolare.

Self portrait, concrete sculpture, 25 cm x 110 cm

 

Self portrait concrete sculpture 70 cm x 110 cm

Il nostro non utilizza la vernice spray o la rielaborazione dei caratteri tipica dei writers, ma la sua ricerca si riconosce comunque in quel modo di pensare e di vedere di una generazione in espansione. Nella serie WORDS il lettering è stato costruito in forme tridimensionali di cemento e come un contemporaneo Gutenberg l’artista le utilizza in un puzzle di parole. La lettera esula così dalla pura estetica, dall’essere solo significante e riacquista il suo essere significato, perché nella composizione è parte integrante di un senso compiuto, di uno specifico messaggio rivolto al fruitore/lettore.

Così il cemento dapprima era il supporto ideale su cui fermare le immagini dei personaggi scelti da Loprete, poi gradualmente man mano che l’artista ha sperimentato le caratteristiche del materiale, in contemporanea all’esigenza di fuoriuscire dalla bidimensionalità della tela, sono nate una serie di sculture di oggetti e di abiti dislocati su parete o disseminati nello spazio. Quindi nella serie CONCRETE SCULPTURES, all’invasione della terza dimensione corrisponde un desiderio di inserire la realtà nell’opera. Anzi che la realtà diviene essa stessa opera, anche attraverso la componente di tempo e di memoria intrinseca agli oggetti cementificati, spesso anche personali, di uso quotidiano.

Tutto è stato raccolto e affidato al rito dell’arte di Loprete. Ogni oggetto viene meticolosamente “dipinto” con il cemento ripercorrendo gli stessi gesti che il nostro dedica ai ritratti più cari, fermandoli in una corazza dura e grigia e trasformandoli in possibili reperti della contemporaneità. L’oggetto industriale, identificato per la sua riproducibilità e per la sua determinata funzione, attraverso l’atto creativo dell’artista entra nello statuto di autenticità estetica. Prassi che viene identificata per prima nel ready-made rettificato dell’artista Marcel Duchamp.

Untitled, oil on canvas, 150 cm x 150 cm

Ma in queste opere si può supporre anche un successivo stato. L’oggetto divenuto opera d’arte, viene esposto spesso nei luoghi da cui è stato prelevato e torna ad essere presente nella realtà, accanto alla quotidianità della sua natura. Diviene ciò che lo stesso Duchamp aveva teorizzato come un reciprocal ready-made (associabile più alla pratica della pop art): l’opera d’arte perde in questa occasione la sua funzione estetica avvicinandosi per un momento alla sua reale e iniziale funzione: “come succederebbe se una tela di Rembrandt venisse usata come un tavolo da stiro(Marcel Duchamp, in V. Magrelli, Profilo del Dada, Lucarini, Roma 2001, p. 110).

Si è visto, allora, come nella ricerca di Mario Loprete ci sia la condivisione di due anime: una antica e una contemporanea. Queste si riflettono nel paradosso della sua naturale diffidenza verso una parte del mondo artistico e allo stesso tempo nella sincera fiducia riposta nelle persone che credono nel suo lavoro, lasciando a questi ampia libertà di interpretazione e creando continui momenti di numerose collaborazioni con artisti, musicisti, critici, ecc.

Fabri Fibra, oil on concrete, 25 x 30 cm

Atteggiamenti che riflettono il suo credere fermamente nella forza comunicativa delle arti.

 

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