BOCA ON THE ROAD
Boca, a metà strada tra Milano e Torino, racchiuso in un arco collinare-prealpino nel Parco Naturale del Monte Fenera, è un sonnacchioso comune fatto di memorie e tempi che furono, popolato da padri che raccontano storie di nebbiolo e viticoltura. Il paesaggio è pura libertà. La strada della Traversagna funge da perno tra i laghi d’Orta e Maggiore. Poi c’è il Sesia che dal Monte Rosa scava la vallata omonima, laddove il bosco ha vinto sulla vigna, preferita negli anni ‘60 dal più sicuro lavoro in fabbrica.
Era il 1969 quando il disciplinare, unitamente alle regole di produzione e la denominazione di origine, evidenziava quanto questi luoghi fossero già ai tempi della colonizzazione romana unici per la vite. Si sa però che la natura non sempre concede di beneficiare del frutto delle proprie fatiche: non importa se la primavera è stata generosa e l’estate ha scaldato la vigna. Capita che in un istante, una calda sera di agosto tramuti un possibile grande raccolto in un anno da dimenticare. Si migra verso un reddito sicuro, un lavoro meno incerto e altalenante. Ecco allora la radicale diminuzione della superficie vitata, il bosco che avanza, rovi e robinie che coprono dolci colline un tempo occupate da quadrati di maggiorine. Terre che tacciono, vigne prive di foglie, vuote, anonime.
Poi l’inversione di rotta, il ricambio generazionale che muove passi sicuri raccontando calici di terre vulcaniche. Il Boca Doc torna a fare parlare di sé. Si sono conservate le migliori parcelle, quelle più vocate, quelle che vantano viti centenarie che, come un vecchio in affanno, concedono pochi frutti e impongono un lavoro artigianale, manuale, legato alla tradizione e a quella maggiorina che insiste solo a Boca e Maggiora. Un sistema di allevamento eseguito da pochi produttori, divenuto ora prerogativa da tutelare, realizzato piantando tre o quattro viti molto vicine al centro di un quadrato di circa quattro metri per lato.
I lunghi tralci si allungavano verso i punti cardinali, sostenuti da otto pali di legno. I ceppi erano a loro volta sorretti da un palo centrale e tenuti insieme da legature. All’interno vigneti con una densità bassissima, circa duemila ceppi per ettaro e nello stesso quadrato varietà diverse, antica consuetudine e specchio dell’uvaggio tipico del territorio, molto lontana dalla rigida monocoltura dei vigneti moderni. Passeggiare nei comuni di Boca, Cavallirio, Grignasco, Maggiora e Prato Sesia tra i vigneti di Costazzone, Le Piane, Montalbano, Garona o Cascina del Buonumore, diventa un’esperienza emotivamente coinvolgente: l’aria profuma di sottobosco, il suolo fa presagire la freschezza e la raffinatezza di un vino che cresce su terreni magri, subacidi, minerali, di porfido rosa.
Vino complesso, poco in sintonia con la gente del luogo (ancora oggi gli appassionati sono soprattutto al di fuori del territorio), avvicina enoturisti alla scoperta di assaggi di “Alto Piemonte”.
Il calice di Boca Doc chiede tempo: tempo per evolversi, per rendere quel tannino deciso e autoritario meno ispido e il sorso meno astioso, tempo per accogliere quella maturità che solo un lungo affinamento regala. Un vino che unisce l’eleganza e la regalità del Nebbiolo, qui detto Spanna, a vitigni semplici ma generosi come Vespolina e Uva Rara.
Solo undici le cantine impegnate a traghettare la memoria verso la rinascita, tenacemente, a volte anche con fatica estrema: Azienda Agricola Davide Carlone, Tenute Guardasole, Podere ai Valloni, Azienda Agricola Terrini, Azienda Vitivinicola Barbaglia, Società Agricola Santuvario, Le Piane, Cantine Rogiotto, Antonio Vallana e Figlio, Cantine del Castello di Conti Elena, Anna e Paola, Poderi Garona di Duella Renzo.
Piccole tessere di un antico mosaico, di un restauro dal ritmo lento quanto profondo.