CANTINE COLOSI: ASSERZIONE DI UN VIGNAIOLO

Nella vita di un essere umano esiste la storia, esiste il passato, esiste il tempo che ha scolpito le forme della scenografia che lo circonda, forse da sempre. E poi, nella vita di un essere umano, esiste anche la scelta. Quel momento di coscienza in cui la persona afferma il proprio essere, incanalandolo su una qualche strada e rischiando, sempre e per forza. “Venire al mondo è già un rischio” diceva Oriana Fallaci. E in effetti è proprio così, poiché nulla potrà esimere l’essere umano dalla responsabilità e dall’individualità che è strutturalmente solitaria.

Pietro Colosi nell’azienda vitivinicola che riporta l’omonimo cognome di famiglia, ci si è trovato. C’è nato, come tanti figli di vignaioli. Quello che distingue Pietro, però, è il fatto di averla scelta, questa strada. Non si è fatto trasportare dalla corrente, non ha lasciato che fosse il muscolo del vento a muovere i passi su uno specifico tracciato, accettandolo come già segnato e al riparo dalle contraddizioni. Ogni sillaba, ogni pausa, ogni accenno di vigore nel tono con cui Pietro parla del suo lavoro nella cantina Colosi, lasciano intendere un legame esistente in virtù di un desiderio, che ha assunto forza nel tempo fino a diventare una scelta di vita.

Pietro Colosi, ultima generazione a guida delle Cantine Colosi insieme alla sorella Marianna e ai genitori Piero e Lidia Colosi

Del resto, Pietro avrebbe potuto fare altro. Magari qualcosa di più comodo, che gli risparmiasse la sveglia all’alba o lo sforzo di muovere i filtri e le pompe in cantina. Oppure, avrebbe potuto mettersi a capo di un’azienda come fosse il guidatore di una macchina, delegando ai sottoposti il lavoro di fatica. Ma invece, no. Pietro Colosi, classe 1992, durante gli anni della scuola dell’obbligo rientrava a casa e andava a stare con suo padre, Piero, nella storica cantina di famiglia sita a Milazzo. Quello era lo stabilimento dove ebbe origine tutto, nel 1930. Là il bisnonno di Pietro imbottigliava il vino acquistato dai contadini circostanti. Furono poi il nonno e il padre di Pietro, ad imbastire un cambiamento netto e radicale nell’indirizzo aziendale, così come nelle aspirazioni umane. Erano gli anni 70, quando Piero e suo padre acquistarono il primo appezzamento di mezzo ettaro, a Salina. La vigna non esisteva ancora. L’impianto era da fare, permettendo a questi due neo viticoltori di vedere il loro vigneto crescere come una creatura. Scelsero la Malvasia delle Lipari, come da vocazione territoriale, con l’idea di produrne un passito.

Piero Colosi, papà di Pietro; fu Piero, insieme al padre a dare inizio all’azienda vitivinicola negli anni ’70

Quelli erano i tempi d’oro per questa tipologia di nettare, che subì tuttavia un’inflessione all’inizio degli anni 2000. Accadde, quindi, il momento del cambiamento, in cui era necessario mettersi in discussione, ancora una volta, per cavalcare quelle onde che ora erano cambiate, ma che chiamavano a gran voce esattamente come le precedenti. Fu così che, a Salina, si iniziarono a produrre vini secchi.

Pietro – giovane generazione oggi alla guida dell’azienda insieme alla sorella Marianna, sotto l’occhio paterno di Piero e quello materno di Lidia Colosi – si iscrisse quindi alla facoltà di Viticoltura ed Enologia, assumendosi tutti i tirocini e le esperienze lavorative esterne necessarie ad una crescita personale e professionale, per poi fare ritorno a casa. Sì, perché quella era proprio casa per lui e non un semplice luogo di lavoro, non una contingenza da accettare senza quasi accorgersi di esserci in mezzo. Una volta laureatosi, Pietro iniziò a lavorare a tutti gli effetti in cantina, affiancando sempre di più il padre alla guida e non svicolando mai da alcun lavoro pratico. Oltre ai due Colosi, infatti, in cantina vi sono solamente altri due dipendenti. Non ne servono altri. E non tanto perché le dimensioni non lo richiedano – l’estensione vitata oggi conta 12,5 ha – ma piuttosto perché Pietro e Piero Colosi sono operativi alla stregua di un cantiniere. Guai a togliere loro la bellezza delle mani sporche, mai vorrebbero privarsi del tatto e dell’olfatto, per poter condurre i propri grappoli e respirarne, in qualche modo, l’anima implicita e soffusa, che rende l’aria di Salina quasi materica, quasi viva.

Il 2011 fu la prima annata del vino di punta della cantina, la “Secca del Capo”. Si tratta di una Malvasia delle Lipari vinificata secca, che ha subìto numerose limature nel corso del tempo. Un tempo di sperimentazione durato quattro anni, che ha portato ad avere il bianco più rappresentativo del territorio secondo l’occhio e la sensibilità – in un certo senso artistica – dei Colosi. Alla Malvasia, vinificata secca e passita, si affiancano Catarratto, Inzolia, Grillo, Nerello Mascalese e il particolare Corinto Nero, il cui nome dialettale è Minutedda per via dei suoi acini piccoli e privi di semi.

Se l’azienda dà soddisfazioni è perché la viviamo” spiega Pietro “Spuntano problemi ogni giorno, ogni minuto, ma in fondo è anche questo il bello: se fosse tutto semplice, che gusto ci sarebbe? L’azienda va seguita, va vissuta”. E, soprattutto, un’azienda va voluta. Va amata ogni mattina al suono della sveglia, va rispettata quando la pioggia ritarda la vendemmia e va riconosciuta nella sua bellezza quando i guasti danneggiano i macchinari. Un’azienda chiede tanto, se non addirittura tutto. Ma per alcuni, come Pietro, questo tutto non è mai abbastanza. Ed è lì che abita la differenza, poiché è lì che gli abiti dell’enologo si alternano a quelli del cantiniere e del vignaiolo, confondendosi con la pelle umana senza più possibilità di distinguerli.

 

 

DEGUSTAZIONE

 

 

SALINA BIANCO 2019

91/100

Si ripartisce equamente fra Inzolia e Catarratto. Le erbe aromatiche e il frutto citrino si contendono il protagonismo del naso, risultando in un armonico accordo fra le parti. Lo sfondo è tessuto in una tela minerale, che assume una particolare accezione gessosa. Beverino, leggero, godibile e, soprattutto, sapidissimo. Ricorda il mare, ricorda la salsedine. Si protrae in una persistenza di grande freschezza, regalando una bellissima pulizia di bocca.

 

SECCA DEL CAPO 2019

93/100

Naso di impronta sulfurea, che accenna a una lieve traccia di frutta matura per poi muovere nuovamente su qualcosa di affatto scontato: le spezie, le note balsamiche, la menta e poi ancora il frutto, ora connotato dalla pungenza tipica dell’agrume. Tridimensionale al naso, tridimensionale al sorso. L’ingresso ripropone l’impalpabile polvere sulfurea, che dopo poco cala la maschera in favore di una morbidezza gentile, la stessa che si potrebbe trovare nel gusto dolce e acido del mango o del litchi. La sapidità emerge come fosse lo strascico di una brezza che si solleva dal mare e lascia la traccia del sale sulla pelle. Un vino di spessore, in fatto di corpo e in fatto di tempra. Porta in dote il corredo aromatico che lo definisce per stirpe, ma si veste di un’eleganza tutta sua, che supera la genetica varietale e sconfina nella singolarità.

 

SALINA ROSATO 2019

93/100

Corinto Nero e Nerello Mascalese, entrambi al 50%. Bellissimo colore cerasuolo, che ricorda il succo del melograno maturo. Il naso si mostra con una gentilezza fruttata e floreale, che sottende a una nota vulcanica e che muove il profumo con una sinuosità elegante, fine, di classe. La bocca ricalca il naso, intensificandolo ancora di più. La sapidità, seppur ben marcata, cede il protagonismo alla freschezza, scolpendo un sorso teso e piacevolissimo, fatto di fragolina di bosco, ribes e ciliegia selvatica.

 

SALINA ROSSO 2019

91/100

Nerello Cappuccio per il 50% e Nerello Mascalese per il restante 50%. Ricorda il profumo delle corniole e del piccolo frutto rosso di bosco, su uno sfondo di leggere tinte balsamiche e propoli. Il sorso è fresco e piuttosto tannico. È un vino di carattere, è un vino di personalità, certamente capace di svilupparsi nel tempo e cambiare. Equilibrato e composto, porta in sé la sapidità della sua isola.

 

MALVASIA DELLE LIPARI NATURALE 2016

93/100

Malvasia delle Lipari per il 95% e Corinto Nero per il 5%, come previsto dal disciplinare e come voluto dalla tradizione del luogo. Un passito che mescola la dolcezza del miele, della frutta gialla disidratata e del dattero con un timbro più pungente che proviene dal mondo balsamico, senza scordarsi la spezia, fine e piacevolissima. Il sorso è pieno, di ottimo corpo e di confortante morbidezza. Non è quest’ultima, tuttavia, la protagonista della bocca, che viene sedotta invece da un equilibrio dovuto alla salinità fine, tesa, minerale, traccia inconfondibile della sua terra. Il sole e il mare si mescolano in questo nettare tanto esuberante quanto, forse, ancora un po’ misterioso, che potrà stupire anche nel tempo.

 

 

cantinecolosi.it