DESPERATE HOUSEWINES. CAPITOLO 1

Sono una donna seduttiva, molto corteggiata e amante, autentica, del buon bere. Poi la quarantena. Ecco come e perché mi sono trasformata in una perfetta, irrimediabile, eppur felice…

Settanta giorni. Sembran tanti, vero, fanno anche più effetto di “due mesi”, ma tanto è passato da quel 9 marzo, corrente anno, giorno in cui hanno comunicato a me e a 60 milioni di italiani “e mò stattene a casa”. «Ooooh, figata!», ho pensato…

Senza voler nascondere i risvolti della tragedia, ancora in atto, ho provato comunque ad approfittare della situazione a mio vantaggio. Finalmente sola, finalmente avrei scelto cosa fare e trascorso il tempo con chi avessi avuto voglia di condividerlo. Prima azione: bloccare sul cellulare i contatti di quelli che fino a quel momento mi hanno cercato esclusivamente per chiedere favori. A seguire: i trombamici, gli ammiratori che tanto sapevi già che ti avrebbero trombato per il solo gusto della conquista. Stop anche a chi mi ha invitato a cena per poi pagare alla romana, a chi ha stappato una bottiglia versandola dal collo della bottiglia e nel bicchiere sbagliato, come se non bastasse, prendendolo dalla pancia. Addio anche alla mia collaboratrice domestica che è tornata in Romania, non senza regalarmi – prima di andarsene – un triste sguardo di commiserazione. Vai quindi di aspirapolvere, lavatrici, lavastoviglie doppie per piatti e pentole incrostate da esperimenti ai fornelli, più o meno, riusciti. E di bicchieri, tanti, lavati rigorosamente a mano. E qui comincia la parte più interessante di questa quarantena: i vini bevuti con il giusto tempo e l’opportuna predisposizione.

Da lì a qualche giorno ho cominciato con degustazioni in solitaria, dirette live con tanto di abbinamento al cibo, video chat infinite con produttori e organizzatori di eventi. I miei migliori amici oggi sono Zoom, Skype, StreamYard, Instagram e Be.Live. Ho messo mano alla riserva in cantina ma anche ai tanti vini arrivati a casa, da bollicine italiane e straniere, rossi, bianchi, rosati. La custode del palazzo comincia ad avere grandi sospetti sulle mie abitudini ma, ogni volta che gentilmente porta su una nuova scatola, sorride con gli occhi e dice: «Questa è più pesante dell’ultima, è roba buona!». Insomma, tra strazio e divertimento, ecco perché dopo due mesi ho scoperto di essermi trasformata in una perfetta, irrimediabile eppur felice Desperate Housewine.

 

Prima settimana

Bollicine

Per i primi sette giorni organizzarmi il tempo con il ritmo desiderato e desiderabile mi è sembrata una prospettiva quasi onirica. Dopo piccoli lavoretti (e qualche danno…) in casa, sono ricominciate le degustazioni delle nuove annate di produttori a me meno conosciuti. Ho dato priorità alle bollicine. Non solo la tipologia di vino da me più apprezzata, ma anche quella che rispecchiava l’umore del momento.

Ho cominciato così con un’azienda di Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, Merotto: tra le più apprezzate il Brut Integral 2018, fresco e minerale, con spiccate note di frutti a pasta bianca. Dal gusto agile, scattante, sapido e asciutto. Seconda posizione per la cuvée del fondatore, Graziano Merotto, brut millesimato, sempre 2018: fine e intenso, con immediate note di frutta bianca, agrumi e piacevoli sensazioni floreali. Ho tirato fuori pancarré del panettiere sotto casa, una noce di burro vegano (qualcosa in contrario?) e un quadrotto di salmone fresco marinato al limone e alla menta che crescono, miracolosamente, sulla mia terrazza.

A metà settimana ho cambiato regione e mi sono avvicinata a casa (ah vivo a Milano, non a Hollywood), stappando il Franciacorta di Castello Bonomi, Brut, Cuvée 22. Il nome nasce da una speciale selezione di uve proveniente da porzioni di 22 cru aziendali selezionate di Chardonnay. Al naso presenta note esotiche di ananas e albicocca matura, in un secondo momento subentra la freschezza della mela e una punta di fior d’acacia. Un vino spumante coerente, una beva piena e rotonda, perfetto per il mio riso basmati ai gamberi con crema di cocco speziato al curry.

Il fine settimana l’ho dedicato a due champagne. Ho preferito iniziare con il Blanc de Blancs Grand Réserve Brut di Comte de Montaigne: al naso regala note agrumate, di frutta esotica e fiori bianchi. In bocca è morbido e rotondo, come è giusto che sia, essendo Chardonnay 100%. Grande persistenza, lungo in bocca e minerale. Ho riesumato un barattolino di caviale russo, senza companatico. A cucchiaiate.

La domenica l’ho dedicata alla “vedova”: risultato dell’assemblaggio di circa 50-60 diversi cru, il corpo della cuvée del Veuve Clicquot Rosé è composto da un 45% di Pinot Noir, un 25% ca. di Meunier e un 30% ca. di Chardonnay. Colore arancione ramato, al naso mi ha ricordato le fragoline di bosco mature che raccoglievo da bambina pataccando la salopette, ovviamente, bianca. Pur mantenendo un’inalterata freschezza, al palato è un vino corposo, strutturato, vinoso. La lunghezza e il carattere sono il suo biglietto da visita. Perché chi ha perso qualcosa trova sempre la forza per ritrovarne un’altra. L’abbinamento è pleonastico.

 

 

to be continued….