FEDERICO GRAZIANI, VIAGGIO A RITROSO SULL’ETNA

Sull’Etna il concetto di terroir assume connotazioni trascendentali, più comunemente l’enologia dei vulcani tratteggia le caratteristiche minerali del suolo, ma alle latitudini comprese tra il magma perpetuo dei crateri sommitali ed il mar Ionio, la terra fertilissima “cade dalle stelle”.

La trama dei lapilli, l’ordito delle sabbie lunari e dei sedimenti inerti e la filosofia di Federico Graziani fanno convergere i fattori geofisici ed enologici nella trama di un cosmopolitismo screziato dall’eleganza e dalla memorabilità dei suoi vini.

Lasciando alla natura il vero lavoro in vigna ed all’uomo i gesti sapienti che ne accompagnano lo sviluppo, areando manualmente le zolle, sostenendo i tralci con le carezze delle fibre naturali, assecondando fermentazioni autocratiche ad opera di lieviti indigeni, utilizzando il legno per dare ossigeno e non per leziose estrazioni, i tre vini di Federico GrazianiProfumo di Vulcano, Etna Rosso e Mareneve – rivelano la musicalità etnica mediterranea ed il patrimonio storico delle viti centenarie dei vigneti da cui hanno origine, dove pluralismo e molteplicità dei vitigni e dei biotipi sono autentico valore.

Ciò che nasce da un’intuizione ha la totipotenza artistica, espressa anche dalle etichette iconografiche scelte sia per i vini che per la prestigiosa cuvée di olio extra vergine di Nocellara Etnea, ha soprattutto l’audacia della consapevolezza che l’autenticità di un vino sia da ricercare nel saper veicolare identità ed essenza di quell’enclave di Sicilia in cui gli ossimori tra fuoco e rigori altimetrici, tra mare e neve e tra correnti di pensiero traspaiono nella molteplicità dei valori da divulgare.

 

Federico Graziani

 

 

Federico, quali sono le potenzialità che hanno radicato sull’Etna i tuoi progetti imprenditoriali?

 “Sono sicuro di aver trovato qui sulla Montagna, un nuovo spazio creativo e un banco di prova importante per la mia crescita professionale; le potenzialità sono enormi, l’Etna vanta una tradizione millenaria di viticoltura che si sposa con una terra fertile e generosa tanto quanto ostica e impegnativa nella gestione in campo; senza dimenticare l’unicità della luce e del clima siciliano di montagna, l’altitudine e le relative escursioni termiche, i vitigni dal grande carattere e dalla straordinaria biodiversità. Direi che non manca nulla perché questo possa ambire ad essere uno dei territori più dinamici del mondo del vino”.

 

Un brand definisce la cultura di cui fa parte e che contribuisce a costruire, quali sono le prospettive di fedegraziani winery?

 “La mia azienda ha come obiettivo primario quello di portare in giro per il mondo l’unicità della viticoltura e dell’espressività enologica etnea e raccontare una cultura del lavoro in vigna, etica e rispettosa, supportata da conoscenza e buonsenso. La prospettiva di produrre vini che siano espressione di unicità, e che possano confrontarsi con quelli delle aree vitivinicole più celebri”.

 

Dopo le esperienze internazionali, dopo il titolo di Miglior Sommelier d’Italia a poco più di vent’anni, già interprete della letteratura enologica, consapevole delle esperienze accademiche e professionali al fianco di Gualtiero Marchesi, Carlo Cracco ed Aimo Moroni, dove trova oggi ispirazione la sete di autenticità che ti definisce?

“Credo che la risposta sia un insieme di cose, la curiosità come tratto distintivo, l’orgoglio di provenire dal più bel paese del mondo e il desiderio di mettermi continuamente in gioco. Il mio è un percorso atipico, a ritroso se vogliamo, partendo dalla sala dei più grandi ristoranti italiani, dove si aprono le più celebri e buone bottiglie del pianeta, verso la terra, povera, umile e preziosa, origine e matrice che ha creato questi liquidi magici. Certamente le esperienze passate aiutano a definire il futuro, a immaginarlo. Conosco molto bene le caratteristiche che connotano un grande vino, perlomeno per il mio palato, e lavorerò continuando a rincorrere questo obiettivo che, con certezza, la lingua di terra che abbraccia il vulcano da Rovittello a Montelaguardia, ha la forza di trasmettere”.

 

Il ruolo di mentore spesso resta sospeso nel saper essere ispiratore, quale messaggio programmatico vorresti divulgare con incisività a chi oggi intraprende un percorso enologico?

 “Arriverà il momento di insegnare e trasmettere, per ora sento ancora un forte bisogno di confrontarmi con il territorio, con i colleghi della montagna e con chi ha lustri di esperienza nella viticoltura etnea. Come principio, la forza espressiva e la consapevolezza che la strada per raggiungerla passa solo per l’essenzialità; poi la concentrazione su pochi obiettivi, senza fronzoli, tanta concretezza e passi ben fatti e meditati”.

 

Nel decennale della tua produzione etnea, quali sono le caratteristiche che ti emozionano nell’apprezzare l’affinamento dei tuoi vini?

 “Aprire le prime bottiglie prodotte dall’annata 2010 rimane una sensazione magnifica e indelebile, che esprime la buona capacità di maturazione del Nerello Mascalese sull’Etna. Allo stesso tempo mi mostra come in così poco tempo si sia evoluta e sia mutata la mia interpretazione del vino, alla ricerca di una precisione stilistica che per ora è solo nella mente. Il meglio deve ancora venire”.

 

Il vigneto di Mareneve a 1200 metri sul livello del mare conduce verso uno stile di vinificazione adamantino, che si percepisce nell’evoluzione delle percezioni sensoriali sorso dopo sorso: è questo il valore da perpetuare per donare al vino ricercata bevibilità?

 

“Il valore di un vigneto così estremo per la coltivazione della vite, porta con sé i limiti e le unicità del confine. Proprio lì si nascondono quelle sensazioni di unicità che rendono un vino concettualmente impossibile, un vino magico, come avviene oramai in modo sottinteso ma per nulla scontato, quotidianamente nella Champagne”.

 

 

In attesa di tornare ai simposi in presenza, quali dati delle masterclass digitali ti hanno dato stimoli e spunti di riflessione?

Come prima cosa, questi nuovi modi di degustare, hanno confermato l’interesse del pubblico per il mondo del vino, in modo sempre più consapevole. Le persone che ho incontrato hanno fame di nozioni e di sapere; di vivere, nonostante la distanza, un’esperienza condivisa con gli uomini e le donne che hanno dedicato al frutto dell’uva e alla sua trasformazione, le loro vite”.

 

 

 

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