MONCHIERO, RITRATTO DI FAMIGLIA

Iniziare il 2020 alla scoperta di autentici vini piemontesi come quelli di Monchiero, che vanta quasi 100 anni di storia, è uno dei miglior viatici possibili. Vittorio Monchiero e Daniela, sua moglie, sono i volti solari di questa azienda a conduzione familiare: due persone semplici, umili, grandi lavoratori, innamorati del vino, dotati di grande esperienza e dedizione. Uno dei figli, Luca, il più grande, ha già preso il suo posto in azienda, l’altro, Stefano, sta finendo gli studi. Daniela scherza: “Speriamo che decida di lavorare in famiglia pure lui”, e subito aggiunge: “Ma se prima vuole andare a fare delle esperienze altrove, deve farlo assolutamente”.

Monchiero, ritratto di famiglia

Nel calice in mano nel frattempo è stato versato l’Arneis del 2019, freschissimo, imbottigliato da soli due giorni, frutto della sperimentazione riguardante il tappo a vite. Questa sperimentazione, racconta Vittorio, coinvolge anche un rosato di Nebbiolo, una parte di Dolcetto e il Moscato secco. Col tempo si valuteranno i risultati, ma per adesso il patron è soddisfatto, così com’è soddisfatto anche dell’Arneis. L’annata 2019 è stata ottima, dice, di un’importanza storica, con maggio piovoso che ha donato la giusta freschezza alle uve. In effetti, è morbido e setoso, ed è anche una parte integrante della conversazione. Insomma, è un vino che non distrae, ma accompagna, sia una chiacchierata sia un piccolo fritto misto in abbinamento.

Arneis

I nonni di Vittorio Monchiero erano agricoltori, e già prima della guerra possedevano poco più di un ettaro in località Roere di Santa Maria. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Remo e Maggiorino Monchiero hanno deciso di continuare a coltivare queste terre, anziché seguire l’esempio dei fratelli che avevano trovato fortuna negli Stati Uniti. Dopo il 1954 loro si sono spostati più a sud, acquistando terreni nella zona di Castiglione Falletto e La Morra, e fondando l’azienda vera e propria. I fratelli Remo e Maggiorino hanno imbottigliato il loro Barolo per la prima volta nel 1971.

Attualmente l’azienda si estende su 12 ettari, la produzione annua è di 40.000 bottiglie. La parte del leone, ovviamente, appartiene al Barolo di cui si producono 4 etichette, lasciando, comunque, un po’ di spazio anche a Nebbiolo, Barbera, Arneis e Moscato secco.

Langhe Nebbiolo

La filosofia di Vittorio Monchiero è molto semplice: il tempo è importante, i vecchi insegnano ad avere pazienza e non cercare scorciatoie. Fare vino è questione di attenzione, competenza e fiducia. Non ci si deve far trascinare dalle logiche commerciali. La terra non rende ricchi ma saggi. In azienda non si usano diserbanti, le piante infestanti vengono tagliate con piccole macchine automatiche, usate nella viticoltura di precisione. La vendemmia, che è completamente manuale, coinvolge tutta la famiglia e prevede una selezione accuratissima delle uve.

Ed è convinto che saper aspettare, prolungando l’affinamento, conferisca un‘impronta con il massimo delle qualità organolettiche, che promettono complessità e grande bevibilità, per gustare un capolavoro.

Il vino senza cibo è un piacere a metà, ma al ristorante romano Al Ceppo, nel cuore dei Parioli, è impossibile restarne senza. Il menù studiato ad hoc ha accompagnato la degustazione delle migliori etichette di Monchiero, guidata da Vittorio stesso.

Barbera d’Alba Superiore

Si parte con Barbera d’Alba Superiore 2017: Vittorio racconta che la brinata in primavera ha contribuito ad una drastica selezione delle uve. E anche se in estate le temperature erano molto alte, è venuto fuori un risultato strepitoso che ha donato al vino un’ottima struttura, e un tannino secco. Piacevolmente speziato, si è abbinato perfettamente alla pera con zafferano. Langhe Nebbiolo 2017: color rosso rubino, profumi di frutta rossa matura e pepe, un po’ tannino, è stato un secondo abbinamento, diverso, ma interessante, per gustare il flan di Castelmagno con la riduzione di vino, pera allo zafferano e radicchio tardivo.

Barolo Monchiero

Barolo Rocche di Castiglione

Per assaggiare le etichette di Barolo, ci volevano portate importanti, come ravioli di castagne ripieni di cinghiale sulla fonduta di scorzonera e crumble di parmigiano. Sapori forti, perfettamente supportati sia dal Barolo Rocche di Castiglione DOCG 2016, molto elegante, dai profumi speziati, anche se, secondo Vittorio, ci sarebbe da aspettare almeno 2 anni per berlo al meglio. Il secondo Barolo, Castiglione Falletto DOCG 2016, è stato un altro abbinamento. Rosso intenso, profumi importanti tra spezie e liquirizia, tannini persistenti. Esaltato dai sapori forti di castagna e cinghiale.

Una tenerissima guancia di manzo con nocciole e cremoso di cavolfiore è stata servita con i due Barolo 2015, messi a confronto: Barolo Roere di Santa Maria DOCG 2015, risultato più morbido e rotondo, che con le sue spezie e sentori di frutti rossi ha abbracciato delicatamente la carne, e Barolo Rocche di Castiglione DOCG 2015, risultato più tannico e intenso, che ha sfidato il collagene avvolgente e ha perfettamente pulito il palato.

La cosa bella e intelligente di un pranzo-degustazione così importante, è il dolce-non dolce alla fine. Un sorbetto di ananas, rinfrescante, con una nota dolce di dattero, un po’ di croccantezza di pinoli e la pulizia finale dell’arancia, e … si potrebbe ricominciare.

 

 

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