MOLTO PIÚ DI UN AMBASSADOR: WALTER GOSSO PER RINALDI 1957
Carmagnola è un paese di trentamila anime e mille anni storia, a meno di mezz’ora da Torino. Ha l’atmosfera dei fasti medioevali, dell’esplosione industriale e del tempo di provincia che scorre con i suoi tempi. In strada, in casa e soprattutto al bar: se lo ricorda bene Walter Gosso, oggi alla soglia dei cinquant’anni, che prima di diventare uno dei professionisti della miscelazione più apprezzati, aveva mosso i primi giri di shaker proprio qui.
“Mi innamorai delle bottiglie colorate sulle pareti del bar di mio cugino. Faceva tre cocktail appena, ma erano i movimenti e la miscela dei prodotti a tenermi incollato“. Formazione e lavoro al glorioso istituto alberghiero di Mondovì, poi un servizio militare “importante, mi ha dato alcuni tratti di mentalità di gran valore. Poi iniziai a fare stagioni in Piemonte, furono i primi contatti con l’estero e i primi calci nelle caviglie, che servono sempre. E forse oggi lo si capisce troppo poco“.
Il Piemonte gli si sente nell’inflessione, e quindi dove altro se non Torino, all’inizio degli anni ’90: erano anni tumultuosi sotto più punti di vista, ma per Walter fu la svolta. “Torino è dove ho davvero appreso la mia dimensione lavorativa. Iniziai in un luogo magico come il Caval d’Brons, e dopo in via Roma, al bar Zucca, entrambi oggi chiusi. Era il salotto della Torino bene, l’ombelico dei giri dei turisti, e soprattutto mi confrontai con grandi maestri esperti: capii cosa volesse dire preparare il Martini, che all’epoca era un rituale ben più profondo di oggi e già cominciava ad avere un valore anche economico importante“.
È un trampolino, perché da lì parte un pellegrinaggio denso di miscele ed esperienze, dal giardino di casa fino ai confini del mondo: “Nel ’96 comprai il bar della Posta a Bra, dove vivo adesso, ne aprii un altro ad Alba. Erano realtà classicissime, bar di paese dalla colazione al dopocena, di quelli che adesso resistono solo in provincia ma hanno fatto grande l’ospitalità delle metropoli. Poi mi spostai a Tenerife e iniziai a lavorare per una grande firma americana: ho girovagato per dieci anni, mi occupavo di gestione e nuove aperture per cocktail bar, alberghi, locali. Quello che oggi chiamerebbero food&beverage supervisor“, ma allora la smania per i termini inglesi ancora non esisteva. “Fu un periodo che mi permise il grande salto, mi abituai a consumi e volumi ben diversi da quelli del Piemonte“. E il bar della Posta di Bra che fine ha fatto? “È sempre lì. Ci lavora mio figlio“.
Viaggi per conoscere, sudore per crescere. L’Italia alla fine chiama sempre, e difficilmente si rimane in silenzio quando accade: “Tornai nel 2010, sempre a Bra. Ero al posto giusto nel momento giusto, ma non credo sia stata solo fortuna. Negli Stati Uniti si era già cominciato a togliere polvere dalla miscelazione, in Italia stava ormai arrivando. Mi presentavano prodotti che nessuno comprava, ma io già usavo tranquillamente; usavo il jigger e mi chiedevano se fosse perché non ero capace a misurare le dosi“. Gosso era avanti dieci anni; la nascita dei Gin Day e delle manifestazioni simili, l’onda di miscelazione contemporanea che investe l’Italia, da Roma a Milano e adesso ovunque. Tutto questo cambiare alla fine è un bene o un male? “Aver proposto novità ha permesso al cliente di capire che c’era altro. Non tanto sull’aperitivo, perché su quello siamo da sempre i primi della classe, piuttosto nel dopocena. Paradossalmente i problemi riguardano i professionisti, non i consumatori“.
Walter ha infatti in bacheca titoli roboanti come Bacardi Legacy 2014, Martini Grand Prix 2015, Brand Amabassador dell’anno 2019 (“il più soddisfacente, perché fu un voto unanime e vidi gratificato il mio impegno” dice); altri tempi però. “Le prime competition erano occasioni per stare insieme, fare comunità, quasi una scusa per frequentare altri bartender. C’era un cameratismo che adesso viene un po’ a mancare. Oggi la mentalità è diversa, c’è troppo desiderio di apparire. Si perde di vista la chiave, ovvero riconoscere che si tratta di occasioni per stimolo, spinta, confronto, creatività. Nulla di più, si rimane bartender, il focus principale è il cliente. Se vinci una gara, ma il tuo locale è vuoto, in realtà hai perso di brutto“.
La carriera è ormai decollata, ma dei primi istinti e delle prime esperienze non ci si dimentica mica. Torino è di nuovo una calamita, Walter risponde dando fuoco al suo entusiasmo: “Ho realizzato un sogno, aprire uno speakeasy nella città dove sono diventato grande professionalmente. Il Mad Dog è stato il bar che volevo, come lo volevo. È stato il centro di gravità per la vita dei bartender fuori dal loro lavoro, e in generale la mia idea di ospitalità finalmente tra le mie mani“. Un impegno con sè stesso e con l’ambiente in cui si sente tale, accantonato solo quando il momento era maturo per la sua ultima avventura, inutile dirlo, di successo. Walter Gosso è oggi il Trade Advocacy Manager per Rinaldi 1957, compagnia di distribuzione per la quale ricopre anche il ruolo di brand ambassador per firme d’altissimo profilo come Don Papa, Santiago de Cuba e Ramsbury. “Curo tutto il catalogo Rinaldi, anche lo champagne Jacquart e i vini, essendo sommelier. E sono il filo tra commerciale e marketing, cucio il rapporto tra i due rami che storicamente sono sempre in guerra. C’è sempre qualcosa da fare, insomma“.
Un portfolio d’eccezione, impreziosito dalla mentalità familiare e la cura estrema per le necessità dei brand coinvolti e dei consumatori: “Rinaldi 1957 rappresenta, non distribuisce. La qualità dei nostri prodotti parla da sola, noi portiamo avanti l’ideologia di finezza e competenza che è da sempre simbolo dell’azienda. Ci concentriamo sull’Ho.re.ca con una rete capillare di circa centocinquanta agenti sul territorio, e coltiviamo un rapporto diretto con i clienti. L’identità di Rinaldi si traduce nel perseguire alta qualità sia per vini che per spirits, con l’obiettivo di migliorare, prima di tutto. Vogliamo dare il masso di noi stessi, non imporci in assoluto e perdere di tipicità“.
A chi guarda alla figura dell’ambassador come dorato punto d’arrivo, nel percorso oltre il bancone, Gosso è comunque pronto a tirare le orecchie: “L’ambassador oggi a volte manca di formazione vera. Io mi sono formato a contatto con brand e persone che hanno letteralmente fatto la storia del mercato. Oggi vincono una competition e diventano ambassador. Non è quello il percorso, è un lavoro pesante: la vera vita di chi fa questo lavoro è fatta di code, traffico, maleducazione di chi non ti capisce, bottiglie rotte, sonno che manca, chilometri da un evento all’altro. Per questo dico, andate in giro, viaggiate, sbagliate. Il mondo del bar è fatto di personalità meravigliose e possibilità che nascono ogni notte: ma entrambe si conoscono solo scendendo dal piedistallo“.