VIN SANTO DI VIGOLENO, NELL’ANGOLO PIÚ NASCOSTO

Senti il profumo”. Mentre proferisce queste parole, Giuseppe Ballarini si avvicina a un piccolo caratello e ne estrae il tappo. Il legno è vecchio, decisamente più vecchio di lui. Sulla fronte della piccola botte una lieve patina di gesso sta a indicare un gesto ripetuto tante, innumerevoli volte: quello di scrivervi sopra un’annata e poi cancellarla, per riscriverne un’altra e un’altra ancora, vendemmia dopo vendemmia. “Aspetta” frena in tono secco Giuseppe. Si dirige verso uno scaffale e afferra un martello di legno dal manico sottile e dalla testa enorme, pesante, levigato dalle mani che lo hanno afferrato negli anni e inciso indelebilmente dal tempo. Come fosse il gesto più naturale della terra, Giuseppe sferra un leggerissimo colpo con il martello al fianco del caratello “Ecco, annusa ora”. Il profumo di quel Vin Santo di Vigoleno è qualcosa di indescrivibile. Un nettare concentrato, ricco, denso, mutevole come le girandole mosse dal vento. La parte dolce di albicocca disidratata, dattero, confettura di pesca è evidente seppur non sia neppure quella predominante. Esiste, in questo passito speciale, un mondo fitto come una foresta, fatto di note terrose, tracce di fungo, sfondi balsamici, punte di resina, suggestioni di the alla pesca, di amaretto, di mallo di noce, di miele.

Giuseppe Ballarini è solo uno degli 11 produttori di Vin Santo di Vigoleno appartenenti all’Associazione produttori Vin Santo di Vigoleno. La DOC Colli Piacentini Vin Santo di Vigoleno è una denominazione tra le più piccole d’Italia, acquattata nelle profondità della provincia di Piacenza, all’ombra del borgo medioevale di Vigoleno e del suo castello. In totale, tutti gli 11 viticoltori dell’ Associazione produttori Vin Santo di Vigoleno producono 1.500 bottiglie circa complessive, rendendo questo vino una vera e propria perla nascosta. Un minuscolo, veramente minuscolo scrigno prezioso, ottenuto da uve Santa Maria e Melara in una quota minima del 60%, con possibili aggiunte di Bervedino, Ortrugo e Trebbiano Romagnolo fino al 40%, lasciate appassire sui graticci posti nelle soffitte o nei locali più aerati delle case di campagna. Il periodo minimo di affinamento è di 60 mesi, di cui almeno 48 in piccole botti di legno. L’area di produzione è circoscrivibile a quella che un tempo coincideva con la diocesi di Piacenza e che oggi è più semplicemente identificabile con il comune di Vernasca e con le colline comprese tra la Valle dell’Ongina e la Valle dello Stirone. Il paesaggio è dipinto su tele fatte di suoli ora bianchissimi ora rossicci, con qualche fazzoletto di terra marrone scuro, quasi nero.

La ricetta del Vin Santo di Vigoleno venne messa a punto dai preti, che la custodivano gelosamente. Il vino veniva prodotto e mandato a Roma, ma anche utilizzato per celebrare le funzioni religiose locali certe volte. Fu un prete in particolare a cedere il segreto del Vin Santo a un contadino. Da lì, l’affascinante alchimia di Vigoleno si ripete ogni anno fra le mura di piccolissime cantine di privati. Sono donne e uomini che portano avanti una tradizione secolare, tramandata di padre in figlio e protetta dall’estraneità di un consumo di massa. Il puro divertimento nel veder accadere quella magica trasformazione ad ogni annata si legge sui loro volti. Sono volti firmati dal tempo di una vita trascorsa nei campi e spesa a toccare con mano la vita, tanto abituati a chiudersi al mondo quanto avvezzi ad accoglierne una certa componente umana. Attribuire a loro il termine “genuinità” potrebbe sembrare scontato, ma è davvero difficile trovarne uno più calzante di questo.

Pinèn è un uomo di 85 anni. Indossa un cappellino giallo, una camicia a righe, degli occhiali da sole e, soprattutto, un sorriso largo come le profondità di quelle vallate piacentine divise fra la dolcezza dei pendii e la ripidità dei calanchi. “Queste vigne sono del 1935, come me” dice, indicando una foto che ritrae delle piante estirpate per legge, qualche anno fa. Un patrimonio inestimabile andato apparentemente perso. Apparentemente, poiché esso sopravvive nell’animo di tutti questi uomini e di queste donne che sono possessori di una ricchezza rara e custodi di una vita concreta. Qui, nell’azienda Sesenna Giuseppe, viene preservata addirittura la madre, ossia quella partita di Vin Santo pressochè eterna, poiché racchiude in sé tutte le produzioni degli anni passati. Un piccolissimo caratello viene infatti rabboccato ogni anno con una minima quota di Vin Santo. Il contenuto di quel cofanetto è un nettare straordinario, dove la componente balsamica quasi prevale su quella dolce, nel profumo.

Poco distante da Pinèn e dalla sua azienda, c’è Eredi Corsini. Con i suoi 86 anni di esperienza, la signora Maria sa perfettamente quando aprire le porte del piccolo locale affianco alla casa dove appassiscono le uve destinate al Vin Santo, e sa quando chiuderle, per metterle al riparo dalle api. L’energia che emanano quei passi fragili e voraci di vita, supportati da un bastone e mossi da un innato spirito di convivialità, è la stessa che si coglie nei suoi grandi occhioni azzurri. Qui, nella piccola azienda Eredi Corsini – oggi curata dalla figlia Germana – i graticci se li sono fatti costruire appositamente, su un’idea elaborata in base alle esigenze produttive e alla comodità del lavoro. Perché tradizione non significa affatto incapacità di evolversi, e qui, a Vigoleno, lo sanno bene.

Esattamente come Paolo Loschi. Lui lascia appassire le sue uve in una piccola soffitta. Una mansarda grande quanto quella di una casa sull’albero, ma con una ventilazione naturale da fare invidia alle cantine più moderne del Paese. I vari piani dei graticci riportano una targhetta con scritto, a mano, il nome della varietà adagiata su di essi. Osservare le grinze di quegli acini dalla buccia spessa e le loro variazioni di colore che dal giallo virano verso l’oro, poi al bruno, fino al marrone e addirittura al violaceo, è uno spettacolo che si potrebbe stare a contemplare per ore. Il cromatismo dell’appassimento ricorda quasi quello dell’autunno, come se ci fosse un’analogia sincrona e meravigliosa tra tutte le fasi della natura. Paolo Loschi è un produttore di Vin Santo di Vigoleno, ma è anche un ottimo cuoco, nel suo privato: probabilmente quel palato esercitato da anni nell’assaggio dei suoi vini ha trovato una straordinaria affinità anche con la cucina e con il gusto in generale. L’annata 2011 del suo Vin Santo è estremamente fresca, elegante, con una precisione di sorso bellissima e con il solito corredo di intensità aromatica che contraddistingue il Vin Santo di Vigoleno.

Giuliano Visconti è invece il volto dell’azienda di famiglia Visconti Massimo. Le sue uve riposano su graticci ampi, larghissimi, posti all’ultimo piano della cantina più strutturata della zona. Lui e la sua famiglia, infatti, di vitivinicoltura ci vivono, coltivando anche altre varietà oltre a quelle destinate al Vin Santo e trasformandole in diverse etichette. La cantina di Giuliano gode di uno dei panorami più belli dell’area di produzione del Vin Santo di Vigoleno, aperto come un libro sulla valle e sulle sue colline. Le varie annate di Vin Santo, qui da Giuliano, hanno nella freschezza e nella compostezza il loro fil rouge, la loro coerenza stilistica. Un vino fatto non solo per la convivialità ma anche per la fluidità di beva.

Giuliano rappresenta una buona parte del futuro del Vin Santo di Vigoleno. Se infatti restano in pochi a portare avanti questa tradizione – appesa solamente al filo della passione di una scarsa manciata di donne e uomini – sono ancora di meno quelli che, come Giuliano, investono, rilanciano, sognano guardando ancora più in là.

Il rischio dell’abbandono delle terre, qui, è altissimo. Eppure, esiste un paradosso. Sono in pochi, anzi forse in pochissimi, a portare avanti la storia del Vin Santo di Vigoleno, ma il loro attaccamento alla propria terra, ai loro caratelli, alle loro minuscole cantine artigianali è uno dei più forti di sempre. Uno di quelli che sembrano indissolubili, indistruttibili sotto il colpo impietoso dei tempi, del moderno, dei bagliori di una viticoltura asservita al marketing e di un marketing basato sull’apparenza. Qui, nella terra del Vin Santo di Vigoleno, l’inconsistenza non ci arriva. Non ci entra nemmeno, perché loro, i produttori di Vigoleno, non le apriranno la porta. Fieri come sono del loro vino, amanti come sono del loro tempo trascorso a interpretare la vigna e a bussare sui caratelli, impegnati come sono a costruire le loro giornate, indipendentemente dall’età anagrafica delle loro membra e delle loro vigne. Donne e uomini che restituiscono un sorriso finalmente vero, capace di dissolvere il sottile ghigno delle maschere e di ammutolire i discorsi fasulli. Perché loro qui parlano in dialetto, ma si fanno capire. Sempre.

 

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