VINO E TORTELLINI, UN BINOMIO “SERIO”
La paternità del tortellino muove le folle e scalda il sangue in Emilia, tanto che le sfide per decretare il migliore tra Modena e Bologna si susseguono puntuali come le maree. Se è vero che l’oste guercio della taverna Corona, in quel di Castelfranco Emilia (Mo), sbirciando dalla serratura, colse la perfezione dell’ombelico di Venere e volle riprodurlo sulla spianatoia della sua cucina, creando una specialità di pasta altrettanto unica, è anche vero che lo scrittore modenese Alessandro Tassoni quando scrisse la Secchia Rapita, tre secoli prima della leggenda di Giuseppe Ceri, includeva già i tortellini tra i piatti principe della tavola modenese, come successivamente fece il letterato Ludovico Antonio Muratori e fecero anche le famiglie nobili della capitale Estense, dai Molza ai Valdrighi. Tuttavia, la genesi delle paste ripiene ha a che fare con più aree della penisola italiana e non di rado le ricette delle famiglie aristocratiche migravano insieme alla dipartita dello chef percorrendo miglia e miglia per poi attecchire molto lontano da dove erano nate. Ma erano poi davvero nate lì? Di una specie di tortellino, quando ancora non era stata perfezionata la tecnica della sfoglia come la conosciamo, con il ripieno avvolto da una porzione di pasta e poi fritto, si parla nella corte Angioina di Napoli tra il XIII e XIV secolo. Il raviolis, come era chiamato, poteva essere ripieno di carne suina pestata al mortaio, uova, formaggio, latte e spezie, oppure di carne e fegato di maiale tritati fini a coltello, erbe odorose, spezie, zafferano e uova. Mastro Martino da Como, nel suo miliare ricettario che segna il passaggio fra cucina medievale e rinascimentale, a metà del ‘400 ci da conto di ravioli di pasta sottile, piccoli come mezza castagna, ripieni di carne di maiale non magra, polpa di spalla, pancetta di maiale fresca. Cristoforo da Messisbugo, cuoco degli Estensi, ce ne parla descrivendo tre ricette di tortelletti, nel volume ‘Banchetti’ del 1549. Bartolomeo Scappi, cuoco del pontefice, annovera quattro ricette di tortelletti chiamandoli annolini, nel suo famoso testo del 1570. Fino ad arrivare appunto ad Alessandro Tassoni che include i tortellini ne La Secchia rapita del 1614: “…tortellini cotti e bollenti…” (Secchia, IV, 5). Insomma, una specialità apparentemente divisiva che poi però a tavola mette d’accordo tutti, a partire dal poeta Giosuè Carducci, bolognese d’adozione, che tra il 1885 e il 1895, puntualmente ogni anno sotto le feste di Natale, veniva a pranzo a Modena con l’editore Zanichelli e altri ospiti modenesi e bolognesi alla trattoria Grosoli, oggi ristorante Carducci, concordando un menù a base di tortellini, giorni e giorni prima. E oggi? Nella città della Ghirlandina, patria di Enzo Ferrari e Luciano Pavarotti, dove l’agroalimentare grazie alle sue eccellenze rappresenta un’icona, in quale insegna è possibile assaggiare un tortellino, degno di questo nome? In un panorama ampio, dove non mancano le insegne di livello, la nostra scelta va sul ristorante Anna, in località Ponte Alto, nell’immediata periferia di Modena, un locale dove potrete scoprire la cucina sopraffina di Emilio Barbieri, chef stellato che molti ricorderanno al ristorante Strada facendo (1 stella Michelin conquistata nel 2011). Barbieri, figura iconica della ristorazione modenese, insieme alla moglie Rita, maître e sommelier, pur continuando a tenere aperto Anna, tra pochi mesi inaugurerà la nuova sede di Strada Facendo in località Tre olmi, un antico mulino di fine Quattrocento che ha richiesto una lunga ristrutturazione. Un luminoso percorso professionale quello di Barbieri fatto di un indissolubile sodalizio con le eccellenze emiliane più consolidate a partire dal Parmigiano, che da bambino vedeva preparare ogni mattina nel caseificio dei nonni, prima che la sua famiglia entrasse nella ristorazione. Gli abbiamo chiesto di parlarci della sua idea di tortellino e di realizzare per James quattro versioni classiche e creative, raccontandoci le fasi di preparazione. Vi abbineremo la migliore bottiglia possibile, prevedendo una volta tanto altri calici rispetto a quelli autoctoni più consueti, non ce ne vogliano i cultori dell’abbinamento Lambrusco-tortellini che rimane sempre tra i nostri preferiti.
Bon appetit!
Tortellini in brodo di cappone

Photo credits Roberto Carnevali
“Il piatto che più ci rappresenta” racconta Emilio Barbieri “un grande classico di cui sono orgoglioso, che ci ha sempre accompagnato in tutti i locali che ha fatto la mia famiglia. Una pasta sfoglia con 24 rossi d’uovo e 4 uova intere per chilo di farina 00 del Mulino Grassi, sale e un filo d’olio, a cui aggiungo 200 gr. di farina di grano duro, che conferisce ruvidezza. Nel ripieno metto carne di vitello e maiale rosolati in padella con alloro, poi aggiungo prosciutto crudo, mortadella, parmigiano reggiano stagionato e noce moscata. Una volta chiusi, i tortellini andranno cotti e serviti immersi nel brodo di cappone ‘che deve aver gli occhi’, quei piccoli anelli che galleggiano in superficie e sono indice di grassezza e qualità”.
Vi abbiniamo una Schiava Sonntaler Alte Reben 2020 di Kurtatsch. Fresca, croccante, gioca su frutti piccoli, lamponi, fragoline, ribes e restituisce un ottimo contrasto, buona dolcezza, ma anche leggerezza ed eleganza, insieme ad un finale lungo e persistente. Una Schiava di pregio, con prevalenza di Schiava grigia, ottenuta con le vigne più vecchie dell’azienda che variano tra i 60 e i 90 anni e affinamenti in botti di rovere sloveno.
Tortellini in crema di Parmigiano

Photo credits Roberto Carnevali
“Un tempo si dava ai bambini nei giorni di festa, mentre gli adulti prediligevano i tortellini in brodo. Un piatto che oggi è ritornato di gran moda e di cui abbiamo tutti riscoperto la notevole piacevolezza e intensità. Preferito da alcuni d’estate in luogo del brodo, esprime grande succulenza, ma a patto che gli ingredienti impiegati siano di elevata qualità. Una volta cotti i tortellini nel brodo di cappone e scolati, si aggiunge una crema di latte al 38% di grasso, una noce di burro e Parmigiano, spadellandoli, fino a quando si raggiunge la cremosità voluta”.
Insieme a questo piatto opulento berremo un Langhe DOC Nebbiolo di Giovanni Rosso. Il vino di un grande produttore, dai tannini levigati e dall’ottima acidità, che neutralizza la parte grassa e ben si combina con la crema di Parmigiano, andando a sostenere l’intensità del ripieno e le sue note speziate, rivelando tutta la sua potenza, in equilibrio tra classico e moderno. Al naso viola, ciliegia, rosa e in bocca fresco, fine e di facile beva.
Tortellini in scrigno

Photo credits Roberto Carnevali
“Un piatto rinascimentale che viene fatto risalire alla corte Estense di Ferrara e al cuoco Messisbugo, particolarmente capace nella preparazione di pasticci di pasta frolla dal contrasto dolce e salato, come il celeberrimo pasticcio di maccheroni, che grazie alle migrazioni dei cuochi si diffuse nelle corti europee. Ma l’usanza di racchiudere all’interno di un involucro di pasta, carne, verdura, volatili, pesce, è una specialità che potrebbe essere ancora più antica e risalire alla cultura araba. L’esecuzione dello scrigno di venere, parte sempre dai tortellini, che una volta chiusi con il loro delizioso ripieno, vengono cotti in brodo di cappone e poi scolati. Si prosegue aggiungendo ai tortellini crema di Parmigiano, in modo che rimangano cremosi, non troppo asciutti, dovranno essere contenuti in uno scrigno di pasta frolla, preparata a parte. Nel contempo si cucina un ragù di vitello bianco dal sapore delicato bilanciando erbe e spezie, non dovrà prevaricare il tortellino, ma accompagnarlo. Il ragù andrà posto sul fondo dell’involucro di pasta, prima di riempirlo con i tortellini in crema”.
Per questo piatto sontuoso scegliamo il Brut zero di Enrico Serafino, che ci restituisce contrasto dolce salato e croccantezza. Un Pas dosé molto molto secco, che colpisce per la notevole pulizia che lascia in bocca e per l’effervescenza, una combinazione che non sfigura accanto ai grandi Lambrusco metodo classico a cui gli estimatori di tortellini sono abituati, una cuvée di Chardonnay e Pinot Nero, con note classiche di crosta di pane, croissant, frutta gialla, pera e mela molto mature.
Tortellini con foie gras e tartufo

Photo credits Roberto Carnevali
“Una versione creativa del tortellino ma che ne conserva le caratteristiche peculiari, rispettando il più classico dei ripieni, con carne di vitello e maiale rosolati in padella insieme all’alloro, a cui aggiungere prosciutto crudo, mortadella, parmigiano reggiano stagionato e noce moscata. La cottura prevede immancabilmente brodo di cappone e una volta scolato, il tortellino verrà impiattato come da foto, aggiungendo un fondo di foie gras e tartufo fresco”.
Per raggiungere il massimo godimento con questo piatto, ricorriamo al Cjarandon di Ronco dei Tassi, un gioiello creato a Cormons nel Collio Goriziano da Fabio Coser e dalla moglie Daniela. Una piccola realtà produttiva con 4 ettari di vigneto disposti a terrazza, in prossimità del Parco naturale di Plessiva, che deve il suo nome a una colonia di Tassi che vive in zona. Un riuscito uvaggio di Merlot 60% e Cabernet Sauvignon 40%, che impegna un ettaro della tenuta e si produce dal 1994. Un taglio bordolese del Collio che migliora col tempo e si distingue per eleganza, complessità, rotondità, freschezza e per i tannini non invadenti, che insieme a note di prugna e ciliegia caratterizzano un entusiasmante facilità di beva.
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